Sin dall’epoca delle repubbliche marinare, Genova e i suoi lavoratori hanno dato lustro alla Val Polcevera, un angolo di Liguria aggrappato alla roccia e sospeso sul mare. Dalla fine del ’900, questa vallata ha accolto le grandi aziende dell’acciaio, della petrolchimica, del refrattario. Industrie, Ferrovie dello Stato e Autorità Portuale hanno dato lavoro a intere generazioni di genovesi e non.
Tuttavia, alla fine della Seconda guerra mondiale, la crescita economica di questi settori subì una battuta di arresto. Tante realtà industriali abbandonarono l’area lasciando sul territorio stabilimenti, impianti dismessi e inquinamento del suolo. La cronica mancanza di fondi, le periodiche contese politiche e il disinteresse a più livelli – sia del pubblico che del privato – hanno fatto sì che le necessarie bonifiche abbiano richiesto decenni per essere messe in atto, abbandonando i residenti in un’insalubre attesa.
Eppure ci si accorge facilmente di quanto negli anni ogni piccolo spazio della Val Polcevera sia stato brutalmente sfruttato. In una regione morfologicamente inospitale, dove il rischio idrogeologico è tangibile e si manifesta nelle ormai periodiche inondazioni, la massiccia urbanizzazione del territorio ha portato le attività industriali a ridosso dei centri abitati. È un fenomeno che ha innalzato drammaticamente i pericoli per la salute dei residenti. L’immagine del ponte Morandi che sfiora le case è solo la proverbiale punta di un iceberg grande quanto tutta la Val Polcevera.
Sfruttata e abbandonata
Dopo essere stata intensamente sfruttata, oggi l’intera Val Polcevera sembra essere stata dimenticata. Da nord a sud, dal centro di Genova fino al quartiere occidentale di Pra’, il territorio rivela una serie di conflitti ambientali dei quali gli organi di stampa nazionale raramente si interessano. Ma soprattutto nessun organo statale sembra prenderli seriamente in considerazione.
Nell’agosto del 2018, il collasso del viadotto – che attraversando il torrente Polcevera collegava est e ovest della Liguria – ha funzionato da catalizzatore mediatico per portare alla luce gravi problemi ambientali diffusi su tutto il territorio. L’evento ha permesso a tredici comitati cittadini di attirare l’attenzione su problematiche che non coinvolgono solo l’area a ridosso del ponte, ma tutta la valle.
Seguendo il corso del fiume, partendo dalla sorgente e scendendo verso mare, analizzeremo dodici aree che rappresentano altrettanti conflitti presenti in Val Polcevera.
TAV/Terzo valico
Nel 2013 a Trasta – frazione del quartiere di Rivarolo, nella bassa Val Polcevera – iniziarono i lavori per la costruzione della galleria principale del Terzo Valico dei Giovi. Si tratta del collegamento ad alta velocità finalizzato principalmente al trasporto di merci da Genova al nord Europa.
«Con un indennizzo più alto del valore dell’esproprio hanno pagato il nostro silenzio, e nessuno si è opposto» ricorda Alessandro Bianchi, un residente. «Questa casa è del 1910, puoi immaginare la mia preoccupazione. Ci hanno fatto firmare una rinuncia a fare causa in caso di futuro danno ai fabbricati. Sono stato l’ultimo a firmare, ma non ho avuto la possibilità di fare altro, nemmeno di andarmene». I lavori del Terzo Valico iniziano nel cortile di casa sua.
Nel versante opposto della Val Polcevera, a nord, aree periferiche come la frazione di Isoverde nel comune di Campomorone o il quartiere San Quirico di Genova vengono invase dai cantieri di scavo delle gallerie di servizio. La cava di inerti Castellaro a Isoverde, che doveva essere chiusa nel 2009, viene invece utilizzata per ammassare i detriti di scavo. La cava accoglie le stesse rocce amiantifere che potevano causarne la chiusura.
Il Consorzio Collegamenti Integrati Veloci (COCIV) – a cui è stata affidata la progettazione e la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità – è protagonista di una complicata vicenda sullo smaltimento dei materiali amiantiferi. Il caso è condito da dichiarazioni controverse e dettagli ancora da chiarire. Il Comitato Valverde, punto di riferimento per i chi protesta nella alta valle, chiede da anni l’immediata chiusura del cantiere per la linea Alta Velocità. Dalle cave, nell’estremo nord della Città Metropolitana di Genova comincia un viaggio lungo alcuni dei luoghi simbolo dell’abbandono e dell’incuria dell’intera valle.
Demolizione di un edificio all’interno del cantiere dell’ex ponte Morandi tramite pinza idraulica con getti d’acqua che mitigano la nube di polvere prodotta. Certosa/Sampierdarena (GE), 2019.
Traghetto della compagnia Moby Lines in sosta al porto. Genova, 2019.
Gronda di Genova
Approvata dal Ministero delle infrastrutture nel 2017, la Gronda di Genova mira a ridurre il traffico dei circa 60mila autoveicoli che quotidianamente percorrono la A10. È l’autostrada di cui sia il vecchio che il nuovo viadotto sul Polcevera fanno parte. Con un tempo di realizzazione stimato in dieci anni e un costo di 4,5 milioni di euro, i 65 chilometri che uniranno i quartieri di Voltri e Bolzaneto col centro di Genova saranno per l’80% costruiti nelle 23 gallerie. I restanti chilometri saranno distribuiti su 13 nuovi viadotti, che andranno ad aggiungersi agli 11 già esistenti.
Come documentato più volte da Società Autostrade, tutte le colline interessate dagli scavi sono composte di rocce verdi del gruppo delle ofioliti, rocce amiantifere. In caso di perforazione, come per gli scavi del Terzo Valico, il rischio di dispersione e di inalazione di particelle cancerogene risulta elevato. Il rapporto RENAM2018, diffuso dall’Associazione Italiana Esposti Amianto, dichiara che ogni giorno in Italia tre persone muoiono di mesotelioma. Il dato non tiene conto di tutte le altre patologie asbesto correlate.
Il Comitato Spontaneo Anti Gronda Polcevera si batteva per impedire la costruzione dell’opera. Inquinamento, dissesto idrogeologico, disagio per il cantiere, espropri e costi eccessivi erano le obiezioni principali, tuttora attuali. I lenzuoli bianchi appesi dai manifestanti ai balconi di via Porro, area che avrebbe subìto espropri e demolizioni, hanno temporaneamente bloccato la realizzazione. Per ironia della sorte, agli stessi residenti che manifestavano sono comunque arrivati espropri e demolizioni a causa del crollo del ponte.
Restando nell’alta valle, poco più a ovest rispetto al quartiere di Bolzaneto, si incontra la discarica di Scarpino.
Discarica AMIU
Nata nel 1968, la discarica comunale AMIU di Scarpino è stata per anni l’unico punto di raccolta dei rifiuti dell’intera area portuale di Genova. Nonostante il concreto rischio di contaminazione dei bacini d’acqua dolce nelle vicinanze, la discarica comunale ha operato fino al 2014. Era l’anno nel quale la discarica ha esaurito i volumi autorizzati.
Le analisi delle acque del porto di Sestri Ponente, volute nel 2005 dal nucleo operativo ecologico dei carabinieri e operate dall’Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica Applicata al Mare. In prossimità del depuratore, i tecnici hanno registrato sia nei sedimenti che nella fauna ittica un alto tasso di sostanze inquinanti. Le sostanze erano riconducibili al percolato proveniente dalla discarica.
Nel dossier viene riportato che nei cefali esaminati «si evidenziavano gravissime alterazioni della struttura e della morfologia dei loro organi». Le alterazioni riscontrate nei pesci non rappresentano solo un danno ambientale. Esse minacciano anche la salute umana di chi consuma il pescato.
Scendendo pochi chilometri a valle si incontra la frazione di Fegino. Nell’area sorgono le inconfondibili sagome cilindriche dei serbatoi di un’industria che ha segnato la storia della vallata.
Fabio Coiana, 47 anni, mentre raccoglie i pomodori sul suo terrazzo affacciato sul porto traghetti. Genova, 2019.
IPLOM
In località Fegino, a circa 30 metri dalle case dei residenti, l’Industria Piemontese Lavorazione Oli Minerali (IPLOM) ha 12 cisterne per lo stoccaggio di idrocarburi. Negli anni, l’azienda è passata dallo stoccaggio di greggio a quello di sostanze volatili come il benzene. La somma delle esalazioni, che comprende le sostanze stoccate e i prodotti utilizzati per abbatterle, spesso rendono l’aria del paese irrespirabile.
«Con le posate e i bicchieri dovremmo mettere sui tavoli anche la maschera antigas» dichiara il proprietario del ristorante “La Baracchetta” Germano Biggi, ex operaio antincendio della raffineria. A questo disagio si aggiunge un ulteriore rischio. A causa di un’erronea interpretazione della direttiva Seveso, la rete delle tubature di stabilimenti a Rischio Incidente Rilevante come la IPLOM, non rientrano nei piani di emergenza che la prefettura deve redigere ogni due anni.
UNA RETE DI TUBATURE
Questa anomalia comporta l’incertezza della localizzazione delle tubature in caso di pericolo. Inoltre manca la certificazione del loro stato di conservazione da parte di un organo garante esterno. La cittadinanza ignora qualsiasi piano di evacuazione in caso di incidente. Esattamente quanto accaduto nel 2016.
«Il nostro comitato si è creato nell’aprile 2016 dopo aver visto sfiorare il disastro ambientale» spiega Antonella Marras, presidente del Comitato spontaneo cittadini Borzoli e Fegino. Dopo la rottura di una tubatura a monte del paese, la mancata interruzione del pompaggio ha fatto riversare nel rio Fegino 700 mila litri di greggio provocando un danno incalcolabile. Il disastro ambientale è stato contenuto solo dal fatto che nel fiume non era presente acqua che potesse defluire nel Polcevera e quindi in mare.
Prosegue il viaggio verso sud lungo il corso del Polcevera, e da Fegino si arriva al quartiere di Certosa.
Discariche tossico-nocive
Le discariche tossico-nocive in via Mansueto e in via Piombelli a Certosa sono a soli 50 metri dalle abitazioni e sotto il viadotto autostradale della A7. Nelle vicinanze, l’interramento dei barili da smaltire che la Shell aveva affidato alla EcoGeS.r.l. ha provocato la contaminazione delle falde acquifere del rio Maltempo. Le analisi fatte da ARPAL nel 2009 non hanno però riscontrato la presenza di agenti inquinanti nel terreno.
«Il comitato si batte per dare voce al quartiere e per salvaguardare il territorio da problematiche come questa» racconta Enrico D’Agostino, presidente del Comitato dei Liberi cittadini di Certosa. Enrico è segretario della Casa della Legalità e della Cultura, un’associazione che negli anni si è battuta contro mafia e illegalità nei settori della pubblica amministrazione, dell’economia e dell’ambiente. Gli alti costi hanno fatto sì che le bonifiche dell’area contaminata non siano mai avvenute, costi che invece hanno pagato Enrico e la sua famiglia vivendo sotto scorta per il loro impegno civile.
Certosa è a ridosso del nuovo viadotto sul Polcevera e ha vissuto sulla propria pelle il dramma del crollo del ponte Morandi e ha vissuto da testimone diretto la ricostruzione.
Vista degli edifici popolari del quartiere di Cornigliano. Cornigliano (GE), 2019.
Vista del cantiere TAV/Terzo Valico dei Giovi da una collina antistante. Isoverde (GE), 2019.
Cantiere Ex Ponte Morandi
La polvere, il rumore costante e il disservizio creatisi durante i 20 mesi di lavori necessari per la costruzione del nuovo viadotto Genova San Giorgio hanno messo in forte difficoltà gli abitanti dei quartieri genovesi di Certosa e Sampierdarena. Grazie al sostegno dell’Ecoistituto di Reggio Emilia-Genova è stata installata nelle case limitrofe al cantiere una rete autonoma di mini-centraline per il monitoraggio dell’aria.
Avendo accesso ai dati in tempo reale e non essendo obbligati ad aspettare settimane per la pubblicazione ufficiale, comitati e cittadini hanno potuto far leva sulla struttura commissariale per ottenere più velocemente le necessarie misure di mitigazione alle polveri durante i lavori.
L’ulteriore allarme lanciato dal Comitato dei liberi cittadini di Certosa in collaborazione con l’Osservatorio Nazionale per l’Amianto in merito alla presenza di amianto nel ponte, ha fatto sì che venisse impiegata maggiore cura nella ricerca delle opere di mitigazione delle polveri durante l’esplosione della restante parte del ponte e la successiva fase di demolizione degli edifici sottostanti.
Il viaggio lungo la valle ci conduce fino al mare, dove le tante attività del porto di Genova hanno plasmato la vita degli abitanti di queste aree.
Porto Traghetti
L’attività marittima a Genova è responsabile del 62% dell’inquinamento dell’aria, contro il 26% di quello su strada. Nel 2018 il porto di Genova ha accolto 6.625 navi, oltre 3 milioni di passeggeri e il 50% dei container che transitano in Italia. A causa della incompleta elettrificazione delle banchine, lo stazionamento a motori accesi crea nell’area del porto inquinamento acustico e dell’aria.
I gas inquinanti – NOx e SOx – rilasciati nell’aria, oltre a peggiorare irritazioni delle mucose e delle malattie respiratorie già presenti, sono la principale causa di malattie cardiache come scompensi, aritmie e ischemie. «Un punto fondamentale della nostra battaglia è l’istituzione ed il riconoscimento di un’area ECA – Emission Control Areas – del mar Mediterraneo, sullo stesso modello di quella già esistente nel Mare del Nord e nel Mar Baltico» mi dice Elisabetta Ravi, attivista del Comitato Tutela Ambientale Genova.
L’area del porto di Genova non è mai stata oggetto di indagini epidemiologiche. L’unico studio che può essere preso a paragone è quello del 2016 relativo all’area di Civitavecchia. I residenti nel raggio di 500 metri dal porto avevano una mortalità rispetto al resto della cittadinanza pari a + 51% per malattie neurologiche e + 31% per tumori al polmone.
A ridosso della foce del Polcevera si incontra lo storico e popoloso quartiere di Sampierdarena.
Carta delle località citate:
1 – Tav/Terzo Valico – Isoverde/Trasta
2 – Quartiere San Biagio – Pontedecimo
3 – Gronda – Bolzaneto
4 – Discarica – Scarpino
5 – Iplom – Fegino/Borzoli
6 – Discariche – Certosa
7 – Ex Ponte Morandi – Certosa/Sampierdarena
8 – Imbarco Traghetti – Genova
9 – Lungomare Canepa – Sampierdarena
10 – Ex Ilva – Cornigliano
11 – Polo petrolchimico – Multedo
12 – Psa – Prà/Palmaro
Liguria, 2019.
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Lungomare Canepa
«Il lungomare di Sampierdarena è l’emblema di quanto devastante possa essere l’intervento umano sul territorio». Così esordisce Fabio Valentino, responsabile documentale del Comitato Lungomare Canepa. «Del borgo marinaio che era un tempo, oggi è rimasto ben poco».
Dal tetto di casa sua si può chiaramente vedere che in un solo chilometro si concentrano il cono di atterraggio dell’aeroporto, le banchine di attracco delle navi, una centrale a carbone appena dismessa. A ciò si aggiungono i depositi costieri dei quali 5 a Rischio Incidente Rilevante, 9 binari con motrici alimentate a gasolio e una strada urbana convertita da 4 a 6 corsie. Il crollo del ponte Morandi ha portato circa 80.000 veicoli al giorno su questo tratto di strada, rendendo insostenibile o una situazione già grave, come i residenti denunciano da anni.
Come rivelano i dati ARPAL prodotti dalle centraline installate durante i lavori, il solo allargamento stradale ha portato ad un inquinamento del 50% sopra i limiti consentiti. Per ridurre i danni, il Comitato lungomare Canepa ha proposto la costruzione di una galleria fonoassorbente e l’allargamento della fascia di rispetto per le case che distano solo 5 metri dalla strada.
Ad oggi, 200 famiglie hanno dovuto rinunciare agli ambienti che affacciano sul lungomare a causa del rumore e dell’inquinamento. La proposta del comune di abbattere gli edifici a ridosso del lungomare e di indennizzare i residenti che si troverebbero obbligarti a traslocare, non è stata accettata.
Da Sampierdarena il viaggio prosegue verso ovest, lungo la costa. In pochi minuti si raggiunge il quartiere di Cornigliano.
Vista delle cisterne di stoccaggio della IPLOM dai tavoli del ristorante “La Baracchetta”. Borzoli (GE), 2019.
Ex ILVA
Paola è presidente di Cornigliano Borderline, associazione per la promozione della diffusione della cultura, ma da dieci anni è anche una paziente affetta dalla sindrome da allergia sistemica al nichel (SNAS). Si tratta di un’allergia causata dall’assimilazione in eccessive quantità di nichel e metalli pesanti. L’inquinamento industriale come quello prodotto dall’ex ILVA è la prima causa della patologia. Negli studi condotti nel 2004 dal Sistema Europeo di Vigilanza sulle Allergie da Contatto (ESSCA) poneva l’Italia al primo posto in Europa con un allarmante 32% di casi di SNAS.
Paola racconta che «i 50 anni di servitù industriale del quartiere di Cornigliano hanno aumentato i tassi di mortalità per malattie del sistema circolatorio-encefalo, tumori dell’apparato emolinfopoietico (leucemie). A ciò vanno aggiunti gli incrementi di casi demenza degenerativa e arteriosclerotica, tumori alla prostata, malattie dell’apparato respiratorio e digerente, malattie del sistema nervoso centrale. Va segnalato inoltre un aumento dei casi di allergia e asma infantile».
Dopo anni di attività, a seguito dell’interruzione nel 2005 da parte dell’ex ILVA della produzione siderurgica a caldo negli stabilimenti genovesi, l’azienda ha consegnato 266.840 metri quadrati di aree alla Società per Cornigliano. Si tratta di un’associazione che si occupa anche della bonifica da impianti e manufatti presenti sul territorio. Ad oggi, l’unico edificio in attesa di messa in sicurezza rimane l’ex centrale elettrica dell’acciaieria.
Muovendosi lungo la costa verso il ovest, si incontra l’area di Multedo, segnata dalle attività di industriali e di commercio marittimo degli ultimi decenni.
Polo petrolchimico
Il paese di Multedo si trova interamente inghiottito dal Polo petrolchimico. A nord h sede l’Eni, a sud il porto e la pista aeroportuale, a est la raffineria Superba e ad ovest opera l’industria chimica Carmagnani. «Questo palazzo, dove abito, è del 1901. Il porto petroli è nato nel 1963. Quindi, chi è arrivato prima?» mi dice Alberto Bruzzone, giornalista.
A causa della natura delle attività coinvolte, i rischi per i cittadini sono molteplici. Tra i maggiori c’è il rischio esplosione, come l’incidente che nel 1987 ha portato all’interno della Carmagnani 4 morti e decine di feriti. Non da meno, vi è l’inquinamento del suolo e delle falde acquifere, come dimostrano le analisi ARPAL svolte nel 2018. Le analisi hanno rilevato agenti inquinanti nel terreno e delle acque del rio Rostan, fiume tombato nel secondo dopoguerra che sfocia in mare.
L’interramento di oleodotti e cisterne per lo stoccaggio di greggio fa sì che nessuna delle aziende presenti sul territorio si prenda la responsabilità dell’inquinamento causato da perdite o rotture. La fonte principale di inquinamento non può essere verificata. L’idea futuristica di spostare il Polo petrolchimico in un’area in mezzo al mare risulta economicamente irrealizzabile. Altrettanto utopica è la proposta di ricollocare tutti gli abitanti di Multedo in una nuova area. Recenti notizie vedono invece accordi per trasferire alcuni depositi alla foce del fiume Polcevera a Sampierdarena, area Urbana al pari di Multedo.
Spingendosi lungo la costa ancora più a ovest, verso i confini del comune di Genova, si raggiunge il quartiere di Pra’.
Vista della centrale elettrica dismessa dell’ILVA. Cornigliano (GE), 2019.
Domenica Certo, 71 anni, attivista del Comitato Spontaneo Anti Gronda Polcevera, mostra l’articolo di giornale che la ritrae suonare una conchiglia durante una delle manifestazioni di protesta del comitato. Genova, 2019.
Vista della discarica AMIU. Scarpino (GE), 2019.
PSA
Ad appena 50 metri dalle loro abitazioni, gli abitanti di Pra’ e Palmaro possono vantare autostrada, ferrovia, porto container e pista di atterraggio dell’aeroporto. La somma di tutti questi elementi fa sì che questa zona sia attiva ventiquattro ore al giorno. Per i residenti come Paola, che in questo tratto di litorale ci è cresciuta, comporta l’impossibilità di vivere una vita serena.
Oltre all’impossibilità di accedere al mare, stress e alterazioni del ritmo sonno/veglia alimentano discussioni quotidiane per strada. Ciò che oggi è il porto container, fino agli anni ’70 era una località di villeggiatura con stabilimenti balneari. Il litorale compreso fra Pra’ e Palmaro è stato negli anni abbandonato a se stesso per poi essere essere proposto dalle stesse amministrazioni comunali come riqualifica in cambio di un ampliamento.
«Dei 5 mila posti di lavoro promessi ai residenti in cambio della fascia di litorale sottratta, soltanto 700 sono quelli realmente creati. Gli unici ad averne beneficiato sono multinazionali come PSA e imprenditori locali come Spinelli Group» dichiara Roberto Di Somma, presidente del Comitato Palmaro. Nel 2018 il Comitato, in collaborazione con l’Azienda Ligure Sanitaria – e l’Istituto Scientifico Tumori dell’ospedale San Martino – ha richiesto alla Regione Liguria uno studio relativo alle malattie nell’area del PSA. I dati acquisiti, non ancora pubblicati né pubblicabili, suggeriscono una flessione delle malattie respiratorio nella fascia 0-14 anni e un aumento, rispetto al precedente studio, di linfomi sia negli uomini sia nelle donne.
SIN E SIR IN VAL POLCEVERA
Queste dodici realtà sono solo un esempio di quelle presenti nell’anagrafe dei siti da bonificare della Regione Liguria. L’art. 36-bis della Legge 07/08/2012 n.134 ha apportato delle modifiche ai criteri di individuazione dei Siti di Interesse Nazionale (SIN).
Sulla base di tali criteri il numero dei SIN è stato ridotto e la competenza sui siti che non soddisfano i nuovi criteri è passata alle rispettive Regioni. Nello stesso anno, la Giunta della Regione Liguria censisce 201 siti in attesa di bonifica. Nel 2019, anno nel quale è iniziata la ricerca per questo reportage, ARPAL dichiarava che i siti in anagrafe sono 231, ma che sono solo una minima parte di quelli effettivi sul territorio.
Genova si trova al secondo posto in Italia per mortalità da tumore e questo dato, per sua natura, è inevitabilmente in crescita. In Liguria i 10 mila nuovi casi di tumori ogni anno avranno sicuramente accesso alle cure, ma è il sistema Regione che necessita di essere modificato, dando priorità alla salute. Il ponte Morandi è collassato perché malato. Il suo clamoroso crollo è stato il simbolo di una malattia che da decenni corrode ambiente, persone e sistema, aprendo gli occhi sulla difficoltà che si incontrano a dover sopravvivere, e non vivere, nella Val Polcevera.