Non era la prima volta che succedeva. Se i mercanti di pesce statunitensi dell’Ottocento si fossero trovati in una bettola del porto con i loro colleghi europei del Medioevo, avrebbero ascoltato resoconti simili. Grazie ai resti di pesce ritrovati dagli archeologi nei pressi degli insediamenti di questo periodo,
oggi sappiamo che attorno all’anno Mille le specie di pesce consumate in Nord Europa cambiarono nel giro di pochi decenni: dai pesci di fiume e di lago – come trote, lucci e trinche – a quelli di mare, in particolare aringhe e merluzzi. A causa di tecniche di pesca sempre più efficienti e della costruzione di dighe e canali per controllare l’acqua, i fiumi europei si erano svuotati; i pescatori si rivolgevano al mare, prima sulle coste e poi sempre più al largo, man mano che le riserve di una specie si esaurivano e perdevano il loro valore commerciale.
Eppure, per secoli abbiamo faticato a scrollarci di dosso la percezione che i mari e gli oceani fossero ambienti incontaminati, troppo vasti e misteriosi per essere modificati dagli esseri umani. Forse perché «gli oceani, diversamente dalle foreste, ci appaiono a prima vista sempre uguali, anche se li abbiamo svuotati del loro contenuto», come si leggeva in
un editoriale di
Conservation Ecology di qualche anno fa. Ma se sappiamo che gli oceani di oggi sono più poveri di vita di quelli del passato, è difficile stimare con precisione come dovevano apparire gli ecosistemi marini prima dei danni causati dallo sfruttamento umano. La raccolta di dati scientifici sulla vita marina è iniziata solo a partire dalla seconda metà del Novecento, ma i biologi marini cercano di ricostruire questi scenari con la collaborazione di esperti di settori diversi: storici, paleontologi, storici dell’arte, ma anche pescatori.
«Le tecniche dipendono da quanto indietro si vuole andare nel tempo», mi spiega Tomaso Fortibuoni, ricercatore all’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale (ISPRA) di Ozzano dell’Emilia. Durante il periodo del suo dottorato, Fortibuoni si è occupato di studiare come è cambiata la vita nel Mar Adriatico negli ultimi due secoli. Un’impresa complessa, perché i dati sul Mediterraneo vengono raccolti in modo sistematico da pochi decenni. «Alcuni monitoraggi scientifici risalgono al secondo dopoguerra, ma sono state esperienze limitate nel tempo e nello spazio. Negli anni Novanta invece è iniziato
un monitoraggio delle popolazioni marine continuo negli anni e con una buona copertura spaziale, che va avanti ancora oggi con le stesse metodologie; questo ci permette di ricostruire gli andamenti temporali delle abbondanze e delle caratteristiche delle popolazioni marine studiate. Nel 1994 però la situazione era già altamente compromessa, perché la pesca industriale si era già sviluppata dal secondo dopoguerra».