Non ci sono alternative: privare l’industria europea dei PFAS comporterebbe una perdita di competitività in settori strategici e la conseguente perdita di posti di lavoro. Questi sono due dei principali argomenti sostenuti nell’intensa campagna di lobbying promossa da industrie e associazioni di categoria, che godono del supporto di politici di alto profilo. L’obiettivo di questa campagna è indebolire una proposta dell’UE per vietare i PFAS, i cosiddetti “inquinanti eterni”, composti persistenti e dannosi per la salute. Il Forever Lobbying Project ha svelato i meccanismi e le argomentazioni che alimentano questa campagna in corso. Un punto centrale di questa strategia riguarda i fluoropolimeri, una classe di composti chimici ampiamente utilizzati in vari settori produttivi. Le industrie si oppongono alla loro inclusione nel bando.
Alla luce di ciò, riveste particolare importanza il fatto che – accompagnato dal Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso – il Vicepresidente Esecutivo della Commissione Europea per la Prosperità e la Strategia Industriale Stéphane Séjourné abbia scelto Bollate, in provincia di Milano, come destinazione per la sua prima visita ufficiale al di fuori del Belgio.
La visita ha avuto luogo presso la sede centrale della multinazionale belga Syensqo (si pronuncia “Science Co.”, nda), fondata come spin-off del gruppo Solvay nel dicembre 2023 e specializzata in materiali avanzati tra cui i fluoropolimeri.
«La Commissione sostiene il divieto di utilizzo dei PFAS nei prodotti di consumo, come cosmetici, materiali a contatto con alimenti e abbigliamento per esterni», ha spiegato Séjourné in un’intervista a una giornalista del Forever Lobbying Project. «Saremmo favorevoli al divieto dei PFAS quando esistono alternative sicure. Tuttavia, quando non sono disponibili soluzioni alternative adeguate in termini di prestazioni e sicurezza, la Commissione sostiene il proseguimento dell’uso dei PFAS nelle applicazioni industriali, in particolare quelle critiche, in condizioni rigorosamente controllate, fino a quando non saranno individuati sostituti accettabili».
In altre parole, l’obiettivo dichiarato sembra essere quello di perseguire una visione pragmatica che coniughi sostenibilità ambientale con sostenibilità economica e sociale.
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Il futuro dell’Europa, con o senza PFAS
«L’industria sta facendo una pressione enorme sui decisori dell’UE, in particolare sulla Commissione Europea, per proteggere i suoi profitti e i prodotti contenenti PFAS, nonostante le prove schiaccianti dei danni che questi prodotti chimici causano alla salute e all’ambiente», spiega Vicky Cann, ricercatrice e attivista presso Corporate Europe Observatory. «È preoccupante il fatto che l’esecutivo dell’UE stia mostrando una certa apertura a questo tipo di lobbying aziendale».
A metà gennaio Corporate Europe Observatory – che ha collaborato con il consorzio Forever Lobbying Project – ha pubblicato il report Chemical Reaction che mette in luce come l’industria chimica stia cercando di ostacolare le normative che mirano a limitare l’uso dei PFAS, nonostante i crescenti rischi per la salute e l’ambiente associati a questa classe di sostanze.
Ma che senza PFAS l’industria non possa stare è la posizione espressa anche da Mario Draghi nel report The Future of European Competitiveness, presentato il 9 settembre 2024, che analizza la competitività dell’Unione Europea e propone strategie per rafforzarla. Tra i temi principali del documento emerge la necessità di investimenti significativi, politiche industriali coordinate e riforme strutturali per colmare il divario con economie come quelle degli Stati Uniti e della Cina. Il report affronta anche la questione dei PFAS, spiegando come le restrizioni potrebbero influire sulla competitività delle industrie europee, in particolare nei settori chiave come le tecnologie pulite. La motivazione, messa nero su bianco, è sempre la stessa: non esistono alternative.
La reazione delle industrie alla proposta di bando
Gli stessi argomenti tornano al centro della dichiarazione di Anversa, siglata il 20 febbraio 2024 e che ad oggi ha ricevuto il supporto di quasi 1300 firmatari, tra cui anche nomi di spicco dell’industria italiana. Alla firma della dichiarazione era presente anche l’ex Presidente del Consiglio Enrico Letta, immortalato in prima fila insieme alla Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen. Il consorzio è coordinato da Cefic, il Consiglio Europeo delle Industrie Chimiche, che sostiene una posizione chiara riguardo le restrizioni sui PFAS. «Supportiamo misure regolatorie equilibrate sui PFAS. La nostra preoccupazione è che la nuova proposta di restrizione possa causare interruzioni nelle catene del valore e rimuovere applicazioni chiave in settori come batterie, semiconduttori, veicoli elettrici e produzione di energie rinnovabili. I produttori non investiranno nell’UE se sanno che nei prossimi anni mancheranno componenti chiave».
Dai documenti analizzati nel corso della nostra inchiesta, è emerso che Cefic gioca un ruolo di rilievo nella campagna di lobbying.
Le affermazioni dell’industria spesso rientrano nella meta-narrazione che sostiene che normative e restrizioni porterebbero a conseguenze sociali ed economiche negative, diffuse e indiscriminate, che, nel complesso, danneggiano piuttosto che promuovere il benessere pubblico. «Quando a metà degli anni 2000 fu proposto il regolamento REACH – per la gestione in sicurezza delle sostanze chimiche – Cefic calcolò in maniera allarmistica che il danno economico potenziale per il settore sarebbe stato compreso tra i 20 e i 30 miliardi di euro», spiega Gary Fooks, esperto di reati d’impresa all’Università di Bristol. «In realtà si trattava di una cifra del tutto sovrastimata rispetto ai costi diretti stimati dalla Commissione Europea, pari a soli 2,3 miliardi di euro su un periodo di ben 11 anni». Nel 2018, è emerso come la ricaduta per le industrie dell’introduzione del regolamento REACH è stata di 3 miliardi di euro, di poco sopra alla stima della Commissione Europea, ma addirittura dieci volte meno di quanto calcolato dalle industrie.
PFAS, pressione sugli europarlamentari
Ancora una volta, il tema della competitività viene utilizzato per indebolire le già fragili politiche ambientali dell’Unione Europea, mettendo a rischio il diritto alla salute che dipende proprio da queste politiche.
«I principali produttori di PFAS e le loro associazioni di categoria stanno mettendo in campo un ampio ventaglio di tattiche per opporsi alla proposta di regolamento dell’UE sui PFAS», prosegue Vicky Cann. «Tra queste ci sono il lobbying diretto con i decisori politici ma anche l’uso di ricerche finanziate dall’industria».
In un’intervista con Corporate Europe Observatory, Jutta Paulus, eurodeputata tedesca dei Verdi che fa parte della commissione ambiente del Parlamento, ha parlato delle attività di lobby contro la restrizione sui PFAS dirette verso gli eurodeputati. Nonostante il ruolo limitato degli eurodeputati nella revisione della proposta, la pressione delle lobby è intensa. L’obiettivo: mobilitare gli eurodeputati affinché diventino loro stessi dei lobbisti sulla questione PFAS.
«È impressionante vedere così tante attività di lobbying all’interno del Parlamento europeo sul tema dei PFAS, anche se il Parlamento non ha realmente un ruolo in questo processo decisionale», ha dichiarato a Corporate Europe Observatory. Questa lobby mira a «fare più rumore possibile» e a spingere gli eurodeputati a «contattare i propri governi regionali o nazionali per indebolire quella proposta».
Paulus ha poi spiegato che agli eurodeputati viene detto che «questa sarà una proibizione totale», «sarà implementata domani» e che «perderemo tutte le nostre attività subito». Tutte affermazioni che – secondo la nostra inchiesta – non corrispondono alla realtà.
Generare dubbio
«Il rafforzamento delle normative sulle sostanze chimiche avviene a diversi livelli: internazionale, nazionale e regionale. Ci sono due aspetti da tenere in considerazione, però», spiega Marcos Orellana, relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani e le sostanze tossiche. «Il primo è il principio di precauzione, che suggerisce di agire con estrema cautela prima di consentire l’utilizzo e il rilascio in ambiente di sostanze chimiche sintetiche. Il secondo è il superamento di un approccio normativo “sostanza per sostanza”. Quando si tratta di PFAS, si parla di una classe di migliaia e migliaia di sostanze diverse. La legge dovrebbe riguardare questa classe di composti nella sua interezza. Insistere, invece, per legiferare un PFAS alla volta, non è altro che una tattica dilatoria per mantenere lo status quo».
Le agenzie di pubbliche relazioni e lobbying sono al lavoro per alimentare la confusione nel dibattito pubblico, diffondere incertezze e, come sempre, sollevare dubbi. È un problema enorme a livello globale, che impedisce al pubblico di comprendere pienamente i gravi danni e i rischi causati da queste sostanze, e limita, di conseguenza, la possibilità di costruire un dibattito sano.
Leggi le inchieste di RADAR sui PFAS
Questo articolo fa parte del Forever Lobbying Project, un’inchiesta che è stata coordinata da Le Monde e che ha coinvolto 46 giornalisti e 29 testate da 16 paesi: RTBF (Belgio); Denik Referendum (Cechia); Investigative Reporting Denmark (Danimarca); YLE (Finlandia); Le Monde e France Télévisions (Francia); MIT Technology Review Germany, NDR, WDR e Süddeutsche Zeitung, (Germania); Reporters United (Grecia); L’Espresso, RADAR Magazine, Facta.eu, Il Bo Live e Lavialibera (Italia); Investico, De Groene Amsterdammer e Financieele Dagblad (Paesi Bassi); Klassekampen (Norvegia); Oštro (Slovenia); DATADISTA/elDiario.es (Spagna); Sveriges Radio e Dagens ETC (Svezia); SRF (Svizzera); The Black Sea (Turchia); Watershed Investigations/The Guardian (Regno Unito), in partnership con Arena for Journalism in Europe, e in collaborazione con Corporate Europe Observatory. Questa inchiesta è stata finanziata da: Pulitzer Center, Broad Reach Foundation, Journalismfund Europe e IJ4EU.
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