Fino a 500 anni fa, la Terra del Fuoco era il territorio dei Selknam. Questo popolo di cacciatori-raccoglitori viveva qui da più di 10.000 anni.
Con la scoperta dello Stretto di Magellano, tutto cambiò. Questa terra lontana fu invasa dai coloni europei, che trasformarono il territorio Selknam in allevamenti di bestiame.
I Selknam vennero completamente sterminati. O almeno così dicono i libri di storia e le leggi di Cile e Argentina. In realtà, un piccolo gruppo di Selknam è ancora vivo e lotta per essere riconosciuto.

La vera storia dei Selknam, indigeni della Terra del Fuoco che oggi devono dimostrare di esistere

Dopo la scoperta dello Stretto di Magellano, coloni e contadini europei arrivarono nella Terra del Fuoco e sterminarono gli indigeni Selknam. Considerati estinti dai libri di storia e dalle leggi dei vincitori, i sopravvissuti rivendicano la propria esistenza e oggi lottano per essere riconosciuti.

14 minuti | 3 Dicembre 2021

Poco più di 500 anni fa, il navigatore portoghese Ferdinando Magellano guidò una spedizione dal Regno di Spagna e scoprì un passaggio nel Sud del pianeta; era una regione sconosciuta agli europei, che la chiamavano Terra Australis Incognita. Questa scoperta unì il mondo – fa la prima globalizzazione dell’epoca moderna.  In cerca di un passaggio verso le Indie, la spedizione – capitanata dall’esploratore a bordo della nave Victoria – si trovava già sotto i 52° sud di latitudine quando, emergendo dalla nebbia, avvistò dei falò sulle coste dell’America del Sud. Era il primo segno della presenza di esseri umani. I naviganti non lo sapevano, ma quella terra si chiamava Karukinka (La Nostra Terra) e i fuochi erano stati accesi da dei Selknam (anche noti come Ona) per scaldarsi e cucinare.  I Selknam erano giunti in quella terra (che oggi chiamiamo Tierra del Fuego, Terra del Fuoco) più di diecimila anni prima durante le grandi migrazioni della specie umana in tutto il pianeta. Questo viaggio, durato almeno 60.000 anni e iniziato nella Rift Valley nell’Africa Orientale, portò gli esseri umani a diffondersi ovunque; e li portò qui a trovare la fine della terra – finis terrae – l’ultima frontiera continentale.

Contadini europei e cacciatori Selknam

Centinaia di anni dopo Ferdinando Magellano, nel diciannovesimo secolo, altri europei e i loro discendenti sarebbero arrivati qui. Questa volta, con l’intento di restare. Erano contadini e portavano con sé la tecnologia della domesticazione di piante e animali, oltre alla compagnia dei missionari salesiani. Gli stranieri trovarono gruppi di cacciatori-raccoglitori che conducevano una vita nomade in quella terra selvaggia e inospitale, segnata da estati brevi e inverni lunghi.

L’incontro tra contadini europei e cacciatori-raccoglitori significò la condanna a morte di questi ultimi. Un genocidio che in vent’anni portò al quasi totale sterminio della popolazione della Terra del Fuoco. O quasi.
La Terra del Fuoco è un arcipelago della Patagonia. È separato dal continente Sudamericano da uno stretto, noto oggi come Stretto di Magellano, che connette l’Oceano Atlantico al Pacifico (chiamato così proprio da Magellano) e che ha unito il mondo. Anche il nome Terra del Fuoco è da attribuire a Magellano. Risale a quando, nel 1520, il navigatore vide i fuochi e il fumo dei numerosi falò degli indigeni dalla sua nave sulla costa dell’Isla Grande, l’isola maggiore dell’arcipelago. A capo di una spedizione spagnola, Magellano fu il primo europeo a giungere su quelle terre sferzate dal vento.

L’AVVENTO DEGLI EUROPEI

Ben prima che la Terra del Fuoco fosse divisa tra Argentina e Cile (il risultato di un trattato firmato nel 1881) molti avventurieri tentarono di occupare Karukinka. All’inizio erano in cerca di oro. Portarono con sé batteri che causarono epidemie di tubercolosi, sifilide e varie infezioni respiratorie – le stesse armi batteriologiche che colpirono e decimarono altre popolazioni native. Fu l’inizio della fine.

Poi giunsero le moltitudini di contadini europei, cileni e argentini che consideravano Karukinka come il luogo ideale per allevare pecore per la produzione di lana e carne. Invasero e occuparono i territori abitati dai Selknam, dai Tehuelche, dagli Yagane, dagli Haush e dai Kawesqar, situati tra la Patagonia e la Terra del Fuoco.

L’invasione costò ai Selknam la loro terra e la loro vita nomadica. Allo stesso tempo, tuttavia, li portò a scoprire che era molto più facile cacciare una pecora addomesticata di un guanaco selvatico. Come si può intuire, ciò non era ben visto dai contadini, che nella proprietà privata vedevano la strada per il progresso – anche se non possiamo sapere con certezza, oggi, se questo concetto ci abbia davvero resi più felici.

Situato nella Bahía Intuil si trova uno dei più importanti siti archeologici, il Pedra de Marazzi: è considerato uno dei più antichi insediamenti dell’isola, datato a quasi 9500 anni fa. Qui sono stati ritrovati strumenti di pietra e altre prove della presenza di gruppi di cacciatori di uccelli e guanaco. Terra del Fuoco, Cile, 2021.

Il guanaco (Lama guanicoe) è probabilmente giunto nella Terra del Fuoco insieme ai Selknam, attraversando una striscia di terra che connetteva l’isola alla terraferma. Terra del Fuoco, Cile, 2021.

Lo sterminio dei Selknam

La convivenza tra contadini e cacciatori-raccoglitori era impossibile. I nuovi arrivati decisero di liberarsi della popolazione Selknam, così da impadronirsi completamente del territorio.

Per farlo assoldarono cacciatori di taglie, che presero l’abitudine di tagliare le orecchie dei Selknam trovati a cacciare pecore come prova di pagamento. Ai Selknam che venivano trovati di nuovo a cacciare pecore veniva tagliata la testa.

I Selknam reagirono, uccidendo ogni contadino che riuscivano ad avere a portata di arco e frecce.
Il conflitto non era certo ad armi pari, e presto la popolazione di Selknam fu sterminata. Gli anziani, le donne e i bambini vennero catturati e venduti come schiavi domestici o mandati nelle missioni salesiane a Rio Grande (nella parte argentina) o a Isola Dawson (nella parte cilena) per essere “civilizzati”.

Le donne venivano regolarmente stuprate e costrette in matrimoni con non nativi. Restarono solo i bambini. All’arrivo dei contadini la popolazione dei Selknam contava circa quattromila individui; nel 1930 ne restavano poco più di cento. Nei libri di storia e nelle leggi – scritte dai vincitori – i Selknam furono considerati estinti.

Fiocchi di piume di gufo. Quando un capo Selknam vestiva questo ornamento, significava che ci si doveva preparare a combattere. Questo e i successivi reperti sono in esposizione al Museo Maggiorino Borgatello, Punta Arenas, Cile. Punta Arenas, Cile, 2021.

Sacca usata dai Selknam, realizzata con pelli di guanaco.

Giocattolo di arco e frecce in una faretra di pelle di guanaco. Venivano usati dai bambini per giocare e allenarsi per la caccia. 

Raschietti di legno ricoperti di pelle di guanaco. Venivano usati per la produzione di abiti e coperture per le tende.

RISCRIVERE LA STORIA

Le testimonianze dei missionari salesiani descrivono i Selknam come persone dalle capacità fuori dall’ordinario. Capaci di vedere ben più lontano di quanto avrebbe potuto un europeo con un binocolo, e dotati di un udito incredibilmente sensibile. Imparavano facilmente altre lingue e dimostravano capacità creative e talento artistico ben al di sopra della media europea. La loro cultura aveva generato innumerevoli storie, leggende e una religiosità spiccata. Inoltre venivano spesso descritti come gentili e socievoli.

È passato un secolo – e varie dittature – senza che il genocidio dei Selknam venisse discusso. La situazione è cambiata solo di recente, negli anni dieci del duemila; grazie a internet, alcune persone in cerca delle proprie origini si sono incontrate.

Oggi, finalmente riuniti, i Selknam devono affrontare l’arduo processo di riscrivere la storia ufficiale, decolonizzando e de-naturalizzando la prospettiva storica, recuperando e riraccontando i fatti del passato. Hanno creato centri per la comunità in cui si condividono esperienze familiari, storie e memorie e si affronta la verità su quanto è accaduto.

I Selknam si sono organizzati in gruppi come la Corporazione Selknam e la Comunità Covadonga-Ona, entrambe in Cile, o la Comunità Rafaela Ishton, in Argentina, per portare avanti la lotta per i loro diritti: prima di tutto, il riconoscimento della loro esistenza. Il riconoscimento del fatto che il loro popolo non si è estinto. Che sono ancora vivi.

GIURISDIZIONE LEGALE

La Comunità Rafaela Ishton esiste dagli anni ottanta e fu una delle prime organizzazioni a ottenere giurisdizione legale in Argentina. Nel 1994 i Selknam sono stati riconosciuti come popolazione autoctona dallo stato argentino. Nel paese più di seicento famiglie, circa mille persone, si considerano Selknam.

In Cile la Corporazione Selknam ha ottenuto giurisdizione legale nel 2015. L’organizzazione ha più di cinquanta membri, che con le loro famiglie arrivano a contare quasi duecento persone. Secondo i dati del censimento cileno del 2017, 1114 persone si considerano Selknam; tuttavia lo stato cileno non riconosce ai Selknam lo statuto di popolo. La Corporazione Selknam si batte per l’inclusione dei Selknam nella lista dei “principali gruppi etnici” riconosciuti dal Diritto Indigeno 19.253 del 1993.

Gli europei portarono con sé cavalli e pecore. Il loro stile di vita, che richiedeva lo sfruttamento di grandi aree, portò al conflitto con i Selknam. Terra del Fuoco, Cile, 2021.

Società Ganadera Gente Grande: secondo studi recenti sarebbe stata la prima fattoria costruita nella Terra del Fuoco nel 1883. Da qui iniziò il conflitto tra contadini e Selknam. La casa è anche dotata di un piccolo attracco per navi. Alcuni dei Selknam furono deportati in Europa per essere esposti in zoo umani. Terra del Fuoco, Cile, 2021.

Riscoprire sé stessi

Hema’ny Molina, presidente della Corporazione Selknam in Cile, e Miguel Pantoja, membro della Comunità Rafaela Ishton, non accettano di essere considerati dei discendenti dei Selknam. «Non sono un discendente, sono un Selknam», dice Pantoja. «Dovermi spiegare, dovermi concepire, è qualcosa di violento».

Molina concorda e aggiunge: «Ho sempre saputo di essere Selknam, ma questo non ha voluto dire vivere come tale, o anche solo capire come farlo. È una situazione con molti livelli di complessità. Per molti anni ha prevalso un senso di solitudine, anche perché non sapevamo che altre famiglie come la nostra esistessero. Era una sensazione di vuoto e di solitudine totalizzante. Con chi avrei potuto parlarne? A chi lo avrei potuto raccontare? E chi mi avrebbe creduto?».

VIAGGI SPIRITUALI

Negli ultimi dieci anni molti Selknam si sono messi in viaggio – in senso fisico ed emotivo – per conoscere e riconoscere la storia tragica dei loro antenati. Non è una strada semplice da percorrere. «Riconoscersi come Selknam porta con sé un dolore intrinseco, perché ciò che  leggiamo nei libri non è la storia come noi la conosciamo.

Ci troviamo a dover intraprendere una ricerca spirituale per affrontare questa discrepanza, questa sensazione di non appartenere a nessun luogo, finché non riscopriamo la nostra cultura. Possiamo trovare le risposte che cerchiamo, anche se non viviamo più nella Terra del Fuoco» dice Hema’ny Molina, che ora vive a Santiago del Cile.

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I SELKNAM OGGI

La maggior parte dei Selknam vive lontana dalla Patagonia, in città cilene come Santiago, Valparaíso, Villa Alemana, Valdívia, Arica. Ma anche all’estero, in Svezia, Stati Uniti e Canada, soprattutto come conseguenza della deportazione dei bambini dalla Terra del Fuoco. Molto su questo popolo rimane ancora da scoprire.

I Selknam però hanno il sostegno dei ricercatori dell’Università Cattolica Silva Henríquez e dell’Università di Magallanes. Alejandro Núñes Guerrero, direttore del Centro Universitario dell’Università di Magallanes a Porvenir (Cile), si sta impegnando per promuovere la ricerca sul territorio e per riportare la popolazione Selknam nella Terra del Fuoco.

Di recente i ricercatori hanno scoperto che la prima fattoria dei coloni fu costruita in territorio cileno, e non in quello argentino come si credeva.
Queste attività sono fondamentali per avviare e portare avanti il processo di riconoscimento di questo popolo. Il genocidio ha lasciato un segno permanente sui pochi Selknam rimasti in Patagonia.

TRACCE DEL PASSATO

I sopravvissuti hanno cresciuto i propri figli cercando di ignorare la propria cultura originaria. È il caso anche della bisnonna di Miguel Pantoja. «Per proteggere le generazioni future, gli anziani non hanno tramandato la lingua. Per questo io non conosco la lingua Selknam», dice Miguel, che ora vive a Rio Grande, una città situata su Isla Grande, nella Terra del Fuoco.

Ancora oggi gli abitanti di Isla Grande non si riconoscono nell’eredità Selknam. «Lo stigma era così forte che i Selknam rifiutavano la loro etnicità, e così hanno cresciuto i propri figli senza tramandare le loro pratiche e tradizioni», afferma Hema’ny Molina. Negare la propria origine era l’unica strada per sopravvivere.

Un’antica bilancia per la pesa delle pelli di pecora. Gli invasori europei avevano un intento preciso: l’allevamento di pecore. I contadini si appropriarono dei territori di caccia, pesca e raccolta dei Selknam. Terra del Fuoco, Cile, 2021.

Tosatura di una pecora. La lana prodotta nella Terra del Fuoco e in Patagonia è considerata la migliore al mondo. Terra del Fuoco, Cile, 2021.

La lotta per il riconoscimento ufficiale dei Selknam

Hector Chogue, ex vice presidente della Comunità Covadonga-Ona, e suo fratello José Luis Vásquez Chogue, segretario della Corporazione Selknam, hanno intrapreso un percorso di scoperta personale da più di trent’anni. Solo tre anni fa hanno scoperto di essere Selknam, quando hanno trovato il nome del nonno in un registro salesiano delle nascite su Isola Dawson. Questo percorso di riscoperta di sé come Selknam li ha portati, negli ultimi anni, anche a un infinito susseguirsi di incontri con politici cileni, nella speranza di integrare i Selknam nel Diritto Indigeno. L’obiettivo principale è quello di far riconoscere il popolo Selknam come ancora vivo, a differenza di quello che viene insegnato nelle scuole ancora oggi. «È difficile parlare di chi io sia, quando lo Stato stesso non ci riconosce», dice José. I Selknam oggi sono in attesa di riconoscimento ufficiale. Il governo cileno ha fissato l’inizio del 2022 come data entro la quale la comunità Selknam deve dimostrare di esistere.

Il Cimitero di Onaisín, anche chiamato Cimitero degli Inglesi o dei Coloni. Il cimitero appartiene ai residenti e coloni della struttura “Caleta Josefina” della Sociedad Exploradora della Terra del Fuoco e oggi è un monumento storico per il Cile. Qui si trovano sepolti alcuni dei contadini uccisi dai Selknam durante il conflitto. Terra del Fuoco, Cile, 2021

Sulle rive dello Stretto di Magellano, Maria Margarita Vasquez Choque (Pilar), alza con orgoglio la bandiera che rappresenta il popolo Selknam e il pugno in segno di lotta e resistenza. Originariamente i Selknam non avevano una bandiera. Fu creata dai bambini e dalle donne che si trovavano nella missione salesiana sull’Isola Dawson, in Cile. I Selknam credono che dopo la morte si diventi stelle. Punta Arenas, Cile, 2021.

SPERANZE PER IL FUTURO

Nel frattempo Hector, José e molti altri stanno imparando cosa vuol dire essere Selknam. José è stato nella Terra del Fuoco per la prima volta nell’ottobre del 2021. «Ho percepito un’energia e provato sentimenti che prima mi erano sconosciuti. Ho provato a vedere e vivere quel luogo attraverso gli occhi di mio nonno».

I fratelli Chogue e la loro famiglia hanno scoperto di recente che il loro cognome è di origine francese; venne dato dall’uomo che, negli anni quaranta dell’Ottocento, adottò loro nonno, battezzato dai Salesiani con il nome di Carmelo.
«Quello che è successo ai Selknam non deve essere dimenticato dai cileni» dice Hector. Per quanto riguarda il futuro, Hector e altri Selknam sono pronti a lasciare l’anonimato e farsi riconoscere per quello che sono: «Abbiamo la responsabilità di far riemergere la nostra cultura».
Il desiderio di essere riconosciuti come Selknam non va confuso con quello di essere percepiti come “gli indigeni del passato” o pezzi da museo. I Selknam cercano la propria identità come persone integrate nella società, in cerca della vera storia delle loro famiglie.

Hema’ny Molina vuole che nel ventunesimo secolo la verità storica sia riconosciuta, senza essere romanzata o distorta. «La gente ci vuole vedere come quelli che eravamo un tempo. Ma come tutti gli altri popoli, anche noi siamo cambiati: abbiamo cellulari, computer, paghiamo le tasse e lavoriamo tante ore quante gli altri», dice.

Miguel Pantoja non manca di ricordare quanto sia fondamentale abbandonare gli stereotipi razzisti: «Nonostante tutto non siamo morti, ma siamo cambiati. Siamo vivi e abitiamo nella nostra terra».

Questo articolo è stato supportato dal Pulitzer Center on Crisis reporting.

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