L’abbiamo sentito dire spesso: siamo dentro la sesta estinzione di massa e questa, a differenza delle precedenti cinque, dipende in buona parte dall’essere umano. Prevedere i possibili scenari futuri non è facile, ma la perdita di habitat, i cambiamenti climatici, il bracconaggio e diversi altri fattori, stanno riducendo rapidamente la biodiversità. In un continuo susseguirsi di impeti rigogliosi e crisi lunghissime, la biodiversità, alla fine, è sempre riuscita a rigenerarsi anche dopo le peggiori estinzioni. Ora però c’è una differenza: ecosistemi integri, complessi, ad alta biodiversità, sono in grado di fornirci mitigazione del cambiamento climatico, aria respirabile, acqua pulita e tanti altri benefici.
In questa situazione, chi rischia davvero siamo noi.
Scenario positivo
È una mattina di maggio del 2097, in una delle strette valli di Monte Nerone, un rilievo di poco più di 1500 metri nell’Appennino centrale, tutto sembra identico a com’è sempre stato.
La luce entra per poche ore al giorno e un filo d’acqua scende verso valle attraverso i torrenti. Con un po’ di fortuna, risalendo uno dei piccoli corsi d’acqua, non è difficile incontrare la salamandrina dagli occhiali settentrionale, un piccolo animale che sopravvive ormai in poche zone d’Italia. Salamandrina è l’unico genere di vertebrati endemico del nostro paese, un piccolo e affascinante anfibio un tempo diffuso in tutta Europa, le cui due specie esistenti sono ormai da millenni “esclusiva” italiana. La sua vita è strettamente legata alla presenza di acqua e a habitat ombrosi e riparati, spesso rocciosi, di solito vive intorno ai freschi torrenti di bassa e media montagna, lì dove solo poche creature, oltre agli appassionati di canyoning, si avventurano.
La mobilitazione globale avvenuta intorno alla metà del secolo, ha però cambiato le cose.
Nei primi anni 2000 entrambe le specie di Salamandrina erano considerate non in pericolo dalla IUCN, ma in poco tempo le cose cambiarono. Già nel 2021, l’Università di Torino aveva provato a ipotizzare il futuro della Salamandrina, sulla base dei fattori che ne avevano causato l’estinzione nel resto del continente e degli ipotetici scenari climatici.
Come effettivamente previsto, inverni brevi e estremi, temperature medie annuali più alte di 1 grado rispetto all’inizio del secolo e la terribile crisi dell’acqua iniziata negli anni ‘20, sembravano condannare l’habitat della salamandrina.
La mobilitazione globale avvenuta intorno alla metà del secolo, ha però cambiato le cose.
Le corrette politiche di gestione dell’acqua, sono diventate una prassi, la tutela della biodiversità e dei servizi ecosistemici, un valore universalmente riconosciuto da cittadini e politici. Le comunità locali che vivono intorno (e grazie) al Monte Nerone hanno percepito immediatamente l’urgenza di un intervento forte e collettivo.
Piani di corretta gestione delle acque e la realizzazione di nuove fonti di accumulo hanno permesso di allentare i prelievi su bacini e corsi d’acqua naturali. La raggiunta consapevolezza della cittadinanza ha ridotto drasticamente i consumi e quella che sembrava un’emergenza irrisolvibile si è trasformata gradualmente in una sfida di comunità, affrontata con compattezza e intelligenza. La disponibilità di acqua, anche in un periodo storico in cui le precipitazioni sono scarse e le temperature alte, ha permesso di mitigare notevolmente l’impatto dei cambiamenti climatici sulla biodiversità, con un effetto benefico a cascata anche, inevitabilmente, per gli esseri umani.
Biounicità. Illustrazione di Daniela Germani.
Scenario negativo
È una mattina di maggio del 2097, il versante nord-est del Monte Nerone è silenzioso, la valle si trova già da settimane completamente all’asciutto. Una scena che si ripete ormai da diversi anni e che ha modificato profondamente l’ecosistema locale. I grandi alberi sono morti lasciando scoperto il sottobosco, che ha rapidamente perso la capacità di trattenere l’umidità. Sopravvive qualche tenace leccio, aggrappato alle ripide pareti calcaree.
Come in molte altre zone d’Italia, da quando la crisi dell’acqua si è fatta insostenibile, le comunità locali hanno iniziato a prelevare le acque sotterranee del vasto sistema carsico del Monte Nerone.
Fino a qualche decennio fa, da queste parti, era impossibile non incontrare qualche salamandrina dagli occhiali nei mesi tra primavera e estate. Una presenza stabile ma che a partire dalla metà del secolo ha incontrato un declino inesorabile. Per alcuni anni il suo avvistamento era diventato una sorta di evento: numerosi appassionati naturalisti passavano da queste parti nella speranza di avvistare quelli che ormai erano esemplari viventi di una specie praticamente estinta. L’ultima osservazione di salamandrina da queste parti risale al 2091, da allora nessuno ha mai più segnalato la presenza. Nel resto d’Italia la situazione non è migliore: resiste in Calabria una piccola popolazione della specie meridionale (Salamandrina terdigitata) mentre nell’Appennino tosco-emiliano l’ultima popolazione della specie settentrionale (Salamandrina perspicillata).
I cambiamenti climatici su scala globale si sono rivelati in linea con le previsioni peggiori e l’innalzamento di 2 °C della temperatura media ha provocato modifiche degli habitat troppo profonde, che hanno ridotto drasticamente la biodiversità di biomi come quelli del bacino mediterraneo.
Come in molte altre zone d’Italia, da quando la crisi dell’acqua si è fatta insostenibile, le comunità locali hanno iniziato a prelevare le acque sotterranee del vasto sistema carsico del Monte Nerone. Il prelievo intensivo ha svuotato gran parte delle riserve idriche, causando la scomparsa dei molti dei torrenti che sgorgano in quota e scendono verso valle. La tremenda combinazione con l’innalzamento delle temperature e il calo delle precipitazioni ha prodotto un disastro ecologico. Per diverse stagioni le salamandrine hanno deposto le uova nelle piccole pozze che rimanevano, le quali però si sono sistematicamente prosciugate prima che le larve potessero svilupparsi. Un intero ecosistema è di fatto svanito nell’ultimo mezzo secolo, e con esso gli habitat di tantissime specie, generando così un effetto a cascata sulla biodiversità, irreparabile in tempi brevi.
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