Se l’oceano si riscalda

Solo di recente la comunità scientifica si è concentrata sul riscaldamento anomalo dell’oceano. Simona Simoncelli, ricercatrice INGV, ci spiega come la temperatura degli oceani sta cambiand, e perché gli effetti saranno particolarmente forti sulle coste del Mediterraneo.

6 minuti | 21 Maggio 2021

Il riscaldamento dell’oceano è un fenomeno di cui si sente parlare sempre più spesso e che ha molteplici implicazioni sulla vita dell’uomo e la società in senso più ampio. L’oceano è infatti una componente essenziale del sistema Terra per il ruolo che svolge nel modularne il clima e il bilancio energetico. Il nostro pianeta riceve energia sotto forma di radiazione solare, la quale viene in parte assorbita e in parte riemessa dalla superficie. L’oceano ne assorbe circa il 90% sotto forma di calore, mentre atmosfera, continenti, ghiacciai e calotte polari assorbono il rimanente 10%.

Questo processo mantiene il clima in un equilibrio caratterizzato da una propria variabilità interna, ma che è anche soggetto a perturbazioni esterne, sia di origine naturale, come l’attività vulcanica, sia di origine antropica, come l’utilizzo dei combustibili fossili. La combustione libera in atmosfera gas serra, tra cui anidride carbonica e metano, che intrappolano parte dell’energia riemessa dalla Terra. Ciò determina un aumento generale delle temperature, un progressivo scioglimento dei ghiacciai e una riduzione delle calotte polari.

Le principali conseguenze a cui andiamo incontro sono l’aumento del livello del mare, per effetto combinato di espansione termica e apporto di acqua dallo scioglimento dei ghiacci, e l’alterazione del ciclo idrologico. L’innalzamento dei mari minaccia coloro i quali vivono vicino alla costa – e non sono pochi, circa il 28% della popolazione mondiale – le relative città e attività economiche. L’alterazione del ciclo idrologico provoca eventi metereologici estremi di maggiore intensità e, si ipotizza, anche più frequenti.

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Da alcuni decenni sentiamo dunque parlare di cambiamento climatico, ma solo recentemente la comunità scientifica ha preso atto del riscaldamento anomalo dell’oceano (IPCC AR5, 2014; IPCC SROCC, 2019) e della sua tendenza in continua crescita. L’accumulo di calore da parte dell’oceano è stato confermato recentemente anche dal secondo rapporto di valutazione sullo stato dell’oceano, appena rilasciato dalle Nazioni Unite, e rappresenta uno degli indicatori principali del cambiamento climatico. La notizia che nel 2020 l’oceano abbia raggiunto temperature mai riscontrate prima, in linea con gli ultimi 5 anni, ha fatto il giro del mondo. Lo ha rivelato un gruppo internazionale di ricercatori che ha utilizzato i dati osservati di temperatura del World Ocean Database della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) per calcolare il contenuto di calore a partire dal 1958 in varie regioni e in vari strati dell’oceano. Il riscaldamento avvenuto negli ultimi 60 anni, nota il primo autore Lijing Cheng, corrisponde a un aumento medio della temperatura dell’oceano di circa 0.13 gradi centigradi, pari all’energia rilasciata dall’esplosione di 5.8 miliardi di bombe atomiche come quella di Hiroshima.
Rappresentazione del contenuto di calore dell’oceano mondiale, secondo i dati raccolti dal 1958 al 2020. L’unità di misura del calore è in ZJ (zettajoule). Fonte: Cheng et al. 2021
Le differenze del contenuto di calore ottenute relativamente al periodo di riferimento 1981-2010 mostrano come il calore stia progressivamente penetrando a profondità sempre maggiori e si distribuisca differentemente negli oceani in funzione della circolazione delle acque. L’Atlantico settentrionale e l’oceano Antartico si stanno scaldando progressivamente sin dagli anni Sessanta, mentre Indiano e Pacifico mostrano un cambiamento a partire dagli anni Novanta. Il Mar Mediterraneo è invece la regione che detiene il primato come tasso di riscaldamento a livello globale. Che il nostro Mediterraneo si stesse scaldando rapidamente e più di altri mari, era già stato evidenziato nel 2016 nel primo rapporto del Servizio Marino Europeo Copernicus. In quel caso i dati erano stati ottenuti da un modello che riproduce l’evoluzione del Mediterraneo degli ultimi trent’anni. Solo successivamente più modelli vennero utilizzati per il calcolo del contenuto di calore e per fornire una stima più robusta con la relativa incertezza. Ciò rappresenta lo sforzo internazionale che gli scienziati stanno compiendo per elaborare stime sempre più rapide e accurate, fondendo quante più osservazioni disponibili con modelli e diverse tecniche di calcolo. Lo sforzo di sintesi sottende la creazione e gestione di banche dati globali e di soluzioni tecnologiche che permettano il libero accesso a quanti più dati possibile e con certificata qualità. La collaborazione e la condivisione di diverse metodologie permettono la rapida elaborazione di informazioni dai dati, mirate, in parte ad avanzare la comprensione delle dinamiche dell’oceano e dell’ambiente marino, in parte a comunicare ai decisori politici e alla società ciò che sta accadendo.
Rappresentazione del contenuto di calore del Mar Mediterraneo, secondo i dati raccolti dal 1958 al 2020. L’unità di misura del calore è in J/m2*1e8. Fonte: Cheng et al. 2021
Le caratteristiche geografiche e la circolazione delle correnti del Mediterraneo determinano un’amplificazione degli effetti del cambiamento climatico in questa regione dell’oceano globale. L’alta concentrazione demografica sulle sue coste e la coesistenza di forti interessi economici legati al mare – tra i quali il turismo, la pesca, il trasporto marittimo, l’acquacoltura – rendono la regione particolarmente vulnerabile al cambiamento climatico. L’aumento della temperatura del mare incide poi negativamente sull’intero ecosistema marino andando a sommarsi all’inquinamento e al fenomeno di acidificazione delle acque, complicando ulteriormente la situazione. La tutela delle risorse naturali è infatti altrettanto indispensabile per garantire uno sviluppo che sia realmente sostenibile. Se da un lato la comunità scientifica internazionale si sta impegnando per fornire ogni anno un quadro aggiornato e sempre più preciso sullo stato dell’oceano, dell’ecosistema marino e del clima, dall’altro sta studiando strategie di mitigazione e adattamento. L’auspicio è che una maggiore consapevolezza collettiva dei rischi a cui siamo esposti inneschi un circolo virtuoso, andando a stimolare l’adozione di efficaci politiche di contrasto al cambiamento climatico.

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  • Simona Simoncelli

    Simona Simoncelli è ricercatrice presso la sede di Bologna dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Si occupa di oceanografia fisica, spaziando dalla modellistica all’analisi di dati, con particolare interesse per il Mar Mediterraneo. Ha lavorato in diversi progetti in ambito europeo, tra cui SeaDataCloud, EMODnet MedSea Checkpoint, Servizio Marino Copernicus (fase I).

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