Una delle idee più interessanti in tal senso è incarnata da Re-Live Waste, un progetto internazionale che cerca di riutilizzare gli scarti del settore zootecnico per ottenere fertilizzanti efficaci ed economici. L’idea nasce dal Nucleo Ricerca sulla Desertificazione dell’Università di Sassari (NRD-UNISS), che da decenni sviluppa progetti volti ad aiutare l’agricoltura e l’allevamento con sistemi moderni, economici e, soprattutto, sostenibili.
Il professor Michele Mario Gutierrez, coordinatore del progetto, spiega le motivazioni: «per motivi economici, si importano dall’estero grandi quantità di mangimi e quindi di elementi nutritivi che solo in parte finiscono nei prodotti finali – latte e carne – mentre in larga misura vengono rilasciati sotto forma di liquami, che contengono tra l’altro azoto e fosforo».
Se questi scarti vengono riversati in grandi quantità su piccole aree, si corre il rischio di inquinamento da nitrati delle acque di falda e di eutrofizzazione delle acque superficiali.
Spesso questi liquami vengono impiegati per la produzione di biogas, dal cui processo si ricava energia, e il cosiddetto digestato, un sottoprodotto impoverito della parte carbonica ma che contiene tutto l’azoto e il fosforo del liquame di partenza. «La concentrazione di nutrienti nel liquame così come nel digestato è inferiore allo 0,5%», spiega Gutierrez: una percentuale molto bassa che quindi rende il loro trasporto antieconomico.
Se questi scarti vengono riversati in grandi quantità su piccole aree, si corre il rischio di inquinamento da nitrati delle acque di falda e di eutrofizzazione (il sovraccarico di nitrati e fosfati) delle acque superficiali. «Re-Live Waste intende trasformare il problema in opportunità», spiega Pier Paolo Roggero, Direttore del Nucleo Ricerca sulla Desertificazione dell’Università di Sassari, «dato che estraendo i nutrienti degli effluenti zootecnici attraverso un processo sostenibile si produce struvite dalla frazione liquida del liquame, destinando la frazione solida, impoverita di azoto e fosforo e ricca di materia organica, all’ammendamento dei terreni». La struvite è un concime di origine naturale, solido e di facile trasporto, quindi utilizzabile per la fertilizzazione di colture in altre aree rurali dove l’alternativa sarebbe utilizzare concimi di sintesi, ossia realizzati a livello industriale con reazioni chimiche di laboratorio.
Il progetto non è limitato al territorio nazionale, ma è sviluppato in collaborazione con altri due paesi dell’Unione Europea (Spagna e Cipro) e uno candidato all’adesione (Bosnia-Erzegovina). «Questo carattere internazionale è importante da diversi punti di vista», dice il Communication Manager Tonito Solinas, «da un lato per validare la soluzione tecnologica in contesti ambientali e socioeconomici diversi, anche geograficamente distanti tra loro. Dall’altro per affrontare un tema molto sentito in diversi paesi del Mediterraneo, come l’impatto ambientale degli allevamenti intensivi».
In Italia il progetto si avvale della collaborazione della Cooperativa Produttori Arborea, la realtà produttiva più importante in Sardegna per l’allevamento di bovini da latte e da carne, e Sereco Biotest Perugia, lo studio di ingegneria che ha sviluppato la tecnologia testata dal progetto.
Il concime ottenuto, la struvite, ha alcuni interessanti punti di forza. In primo luogo, la struvite riduce il consumo di nuovi materiali utilizzando gli scarti di altre produzioni, a differenza dei fertilizzanti fosfatici di tipo industriale, prodotti utilizzando fosforo minerale, la cui fonte di approvvigionamento non è garantita e non è rinnovabile. Inoltre favorisce il recupero dell’acqua, dal momento che, alla fine del processo di produzione, la frazione liquida del liquame è impoverita di azoto, e può essere facilmente smaltita anche in terreni ubicati in zone vulnerabili da nitrati come quelli di Arborea.
Per produrre la struvite, i reflui zootecnici subiscono una trasformazione, attivata da una particolare miscela di reagenti chimici, e vengono disidratati fino a formare una sostanza cristallina simile a sabbia. Le sue caratteristiche fisiche ne permettono lo stoccaggio e il trasporto sostenibile. La struvite è un minerale cristallino, e i suoi cristalli possono avere forma e dimensione diversa. È un fertilizzante a lento rilascio, il che vuol dire che gli elementi nutritivi vengono emessi gradualmente e quindi possono essere utilizzati in modo efficiente dalle colture senza pericolose dispersioni nell’ambiente e con vantaggi anche economici.
La tecnica adottata da Re-Live Waste permette di ridurre il contenuto di azoto dei reflui zootecnici sino al 90%.
La struvite può essere utilizzata per fertilizzare qualsiasi tipo di coltivazione, inclusi i tappeti erbosi e gli alberi da frutto, ma è usata anche in orticoltura e floricoltura. In particolare, Re-Live Waste valuterà la struvite prodotta dagli impianti installati in Sardegna, Cipro, Spagna e Bosnia-Erzegovina su due colture specifiche: il lattughino da taglio e il ravanello. Ad Arborea, in Sardegna, si sta testando anche sullo zucchino. Le sperimentazioni sono in corso e presto saranno disponibili i primi risultati.
«La tecnica adottata dal progetto Re-Live Waste permette di ridurre il contenuto di azoto dei reflui zootecnici sino al 90%», raccontano Giovanni Ragaglia e Domenico Ronga del team di progetto, «garantendo così una gestione sostenibile delle risorse, per favorire un sistema di economia circolare».
«Uno dei principali compiti del progetto è di promuovere i risultati presso gli operatori del settore», racconta la Project Manager Ambra Cincotti. «È prevista la redazione di linee guida di policy e la ricerca delle diverse opzioni di finanziamento di impianti simili a quelli sperimentati nel progetto». In questo modo, gli operatori del settore potranno conoscere il sistema e i vari tipi di incentivo: per esempio, in una misura specifica del programma di sviluppo rurale della regione Sardegna vengono finanziati investimenti per impianti e opere di gestione e riutilizzo dei rifiuti zootecnici.
Una volta verificata l’efficienza di questo sistema, potrebbe essere adottata su larga scala dagli allevatori, rendendo più sostenibile un sistema produttivo dove il conflitto tra ottima qualità dei prodotti e rischi ambientali è ancora aperto.