Quello che abbiamo imparato sulla crisi idrica che ha colpito l’Italia

La siccità che ha colpito l’Italia è stata un evento record, ma in linea con gli scenari sul cambiamento climatico. Ecco le nuove strategie che dovremo adottare per affrontare gli eventi estremi più frequenti dei prossimi anni.

10 minuti | 25 Agosto 2023

Testi di Rudi Bressa
Illustrazioni di Carlotta Amantini

Da sapere:

  • La siccità che ha colpito l’Italia tra la fine del 2021 e per tutto il 2022 ha fatto segnare nuovi record e causato una grave crisi idrica. Mancanza di precipitazioni, aumento delle temperature medie e delle ondate di calore persistenti, hanno colpito la maggior parte dei bacini idrici, in particolare al Nord e al Centro, mostrando letti di fiumi asciutti, livelli dei laghi al di sotto delle medie e campagne assetate.
  • Il nostro è un Paese ricco di precipitazioni (in media poco meno di 1000 mm/m2), tanto che le precipitazioni medie superano quelle europee. Nonostante ciò, gli effetti della crisi climatica, che ha esacerbato la mancanza di precipitazioni, e una gestione inefficiente della risorsa idrica – perdiamo in distribuzione circa il 42% dell’acqua – legata a infrastrutture particolarmente datate, hanno portato il nostro Paese a trovarsi impreparato di fronte a un evento meteoclimatico insolito, ma che si inserisce negli scenari delineati dagli scienziati.
     
  • Per affrontare l’aumento di intensità e frequenza degli eventi estremi è necessario adottare un nuovo approccio nella gestione delle risorse idriche, riducendo gli sprechi. Non solo grandi invasi: anche ricarica delle falde, recupero delle acque reflue e infine, la desalinizzazione dell’acqua marina, sono strumenti utili e già testati in altri Paesi per stoccare l’acqua e metterla a disposizione dei cittadini, dell’agricoltura e dell’industria.

    L’anno più secco mai registrato

    Sedici mesi. È questa la durata di una delle più gravi siccità che ha colpito l’Italia e gran parte d’Europa negli ultimi anni. Secondo le stime del Joint research centre (Jrc) europeo, quella del 2022 era candidata a essere considerata la peggiore degli ultimi 500 anni. Sedici mesi durante i quali abbiamo visto i letti dei fiumi, in tutto il bacino del Po, trasformarsi in banchi di sabbia, tanto che, a fine marzo 2023, la portata media del fiume a Pontelagoscuro, in provincia di Ferrara, era circa un terzo (568 m3/s) rispetto alla media sul lungo periodo (1521 m3/s).

    crisi idrica

    A soffrire sono stati i settori come l’agricoltura, con perdite registrate a marzo 2023 di quasi 8 mila ettari di superficie coltivata a riso. Una riduzione del 3,4% di produzione rispetto alla stagione precedente (già in difficoltà). Anche il settore energetico ha subito gravi perdite, tanto che la capacità idroelettrica ha toccato il suo minimo storico (inferiore ai 900 GWh), rispetto al periodo 2016-2023. Un evento estremo persistente e duraturo che si inserisce negli scenari climatici delineati dagli scienziati, in uno degli anni e delle estati – quella del 2022 – più calde mai registrate.

    Secondo il rapporto Stato del clima 2022, realizzato dal Servizio per il Cambiamento Climatico di Copernicus (C3S), durante l’inverno 2021-2022 il numero di giorni di neve è stato ben inferiore alla media in gran parte del continente. Molte aree hanno registrato fino a 30 giorni di neve in meno. In primavera, le precipitazioni sono state inferiori alla media in buona parte dell’Europa, con il mese di maggio che ha toccato il valore più basso mai registrato.

    La mancanza di neve invernale e le alte temperature estive hanno provocato una perdita di ghiaccio dai ghiacciai alpini equivalente a oltre 5 chilometri cubi di ghiaccio. Il tasso annuo di umidità del suolo è stato il secondo più basso degli ultimi 50 anni. La portata dei fiumi europei è stata la seconda più bassa mai registrata, segnando il sesto anno consecutivo con flussi inferiori alla media. In termini di superficie interessata, il 2022 è stato l’anno più secco mai registrato, con il 63% dei fiumi che avevano flussi inferiori alla media. 

    I dati che spiegano la crisi idrica

    A febbraio 2023 i satelliti Sentinel-2 scattavano una panoramica del Po che mostrava condizioni di secca estive, anziché invernali. Non solo mancanza di acqua nei fiumi, ma anche una prolungata anomalia negativa dell’umidità del suolo, misurata grazie ad un indice che ha lo scopo di mostrare il grado di siccità o di saturazione del suolo rispetto alle condizioni normali, indicando come lo stress idrico del suolo possa influenzare la produzione agricola. Non si misurano infatti solo quanto piove o meno in una data zona, ma grazie ai dati satellitari è possibile misurare anche lo stress idrico del suolo, ovvero quanta acqua manca nei primi centimetri del suolo, quelli deputati anche alla coltivazione della colture agricole.

    Secondo le rilevazioni dell’Irpi-Cnr, tutta la pianura padana e gran parte del Nord-ovest stava registrando una grave mancanza di umidità del suolo, indice di siccità prolungata. I valori si stavano avvicinando ai minimi storici del 2012, quando si era ampiamente sotto al 50% della media, ovvero quando la disponibilità di acqua nel suolo era meno della metà della media storica.

    Invece, secondo il bollettino rilasciato dall’Osservatorio sulla siccità e realizzato a partire dai dati Isac-cnr, il 2022 «è stato il più siccitoso dal 1800 con un deficit, a chiusura del periodo, pari al 30%. Deficit che sale al 40% per il Nord, che ha visto 11 mesi su 12 di piogge sotto la media e solo dicembre in media». In un recente studio dell’università di Padova, pubblicato su Nature climate change, quello che stiamo sperimentando negli ultimi decenni è qualcosa che non si era mai riscontrato da 600 anni a questa parte, ovvero che solo nell’ultimo secolo la durata del manto nevoso si è accorciata di oltre un mese.

    deficit di pioggia

    Il caso Israele: raccogliere, riutilizzare e desalinizzare

    Esiste un Paese che viene spesso citato come un esempio nella gestione della crisi idrica: Israele. La nazione si trova in un clima desertico e già dal secolo scorso ha dovuto affrontare la scarsità idrica, accentuata negli anni dalle mutate condizioni climatiche. Per questo motivo, Israele ha adottato tutte le soluzioni disponibili per una gestione dell’acqua che può essere definita circolare, o quasi. A partire dall’utilizzo delle falde come serbatoi: le acque vengono intercettate nel momento in cui sono disponibili, per esempio durante le piogge. Ma sviluppando anche un sistema di invasi capaci di raccogliere gli eventi alluvionali. 

    Puntando poi a non sprecare l’acqua, che entra a far parte del ciclo idrico integrato, il Paese ha implementato il sistema di riutilizzo delle acque reflue urbane. Per farlo ha realizzato numerosi impianti di depurazione che oggi forniscono più dell’85% dell’acqua impiegata in agricoltura, con l’obiettivo di arrivare al 95%. L’acqua in uscita dagli impianti è, in alcuni casi, prossima alla potabilità. 

    Conservare l’acqua che già si ha a disposizione e riutilizzare quella contaminata non è però sufficiente a soddisfare la crescente domanda. Ecco allora che il governo ha realizzato negli anni cinque diversi dissalatori a osmosi inversa capaci di fornire l’85% dell’acqua potabile domestica. Certo, il sistema non è esente da impatti ambientali notevoli. Innanzitutto perché si tratta di un processo decisamente energivoro, e in seconda battuta perché residui della desalinizzazione, la cosiddetta salamoia, risultano tossici. Una volta rilasciati in mare, questi residui inquinano gli ecosistemi costieri: nella maggior parte dei processi di dissalazione, per ogni litro di acqua potabile prodotta si creano circa 1,5 litri di acqua reflua contaminata con cloro e rame.

     

    La ricarica controllata delle falde acquifere in Toscana

    Anche in Italia non mancano buone pratiche che sembrano funzionare nella gestione della risorsa idrica. Sono le cosiddette “soluzioni basate sulla natura” (o nature-based solutions), ovvero dei progetti che mirano a ripristinare le naturali condizioni di specifici ecosistemi, così da implementare la funzionalità degli stessi. Per esempio, il progetto Life-Rewat sfrutta la tecnica della ricarica controllata delle falde acquifere nel bacino del fiume Cornia, in Toscana. L’area interessata è quella dei comuni di Campiglia Marittima, Piombino e Suvereto, che ha visto la realizzazione di vasche di sedimentazione e infiltrazione. Queste vasche sono in grado di sfruttare il deflusso minimo vitale del Cornia, in condizioni controllate grazie a un sistema esteso di sensori e raccolta dati in grado di monitorare costantemente la qualità e la quantità d’acqua presenti in un dato periodo. 

    Nella pratica, sono state ricostituite le naturali vasche di infiltrazione del fiume. Queste vasche hanno funzionato come delle vere e proprie “banche dell’acqua”, capaci di infiltrare nel terreno circa 2 milioni di metri cubi d’acqua ogni anno, sfruttando le caratteristiche del sottosuolo e il deflusso naturale dell’acqua che tende ad andare verso il mare. L’acqua viene così intercettata e stoccata nelle falde, tornando così a disposizione sia del settore agricolo che di quello a uso civile. 

     

    Basso impatto ambientale (ed economico)

    Questa soluzione non prevede la realizzazione di grossi invasi, dai costi e dagli impatti sul territorio elevati. Piuttosto, sfrutta le caratteristiche intrinseche del suolo e del corso del fiume. La piattaforma di raccolta dati è altamente ingegnerizzata e open source (il suo codice sorgente, cioè, può essere liberamente replicato e modificato dagli utenti). Se per stoccare la stessa quantità d’acqua si prevedono, in genere, investimenti che variano dai 12 i 20 milioni di euro, in questo caso si stima una spesa di “soli” 500mila euro progettazione compresa, con un tempo di realizzazione di un paio d’anni. 

    La prima parte del progetto ha dato risultati così incoraggianti che, a fine marzo del 2023, in piena crisi idrica, è stata inaugurata una nuova vasca d’infiltrazione, grazie ad un finanziamento di circa 100 mila euro da parte del Dipartimento nazionale di Protezione civile proprio nell’ambito dell’emergenza idrica in corso. Attraverso ulteriori 2.500 metri quadrati di superficie filtrante, si andrà ad incrementare di altri 5 mila metri cubi il volume di acqua, che sarà così disponibile per l’estate.

    crisi idrica

    Prepararsi in vista della crisi idrica: l’esperienza di Lorenzo Costa

    «Dal 2018 ad oggi ho infiltrato circa 5 milioni di metri cubi di acqua, ricaricando le falde». A parlare è Lorenzo Costa, agricoltore che vive a Gaiole in Chianti, in provincia di Siena. La sua è un’azienda agricola interamente terrazzata, creata a partire da un terreno marginale abbandonato da circa quarant’anni. Lavorare con l’acqua è stata una necessità, a causa dei fenomeni di erosione che colpivano i circa sei ettari di terreno, disposti su 130 metri di dislivello. «Si tratta di acqua che non serve per irrigare ma che viene stoccata nel sottosuolo», racconta Costa. Grazie alla creazione di canali e sbarramenti, seguendo il naturale deflusso dell’acqua piovana verso valle, ha creato un sistema che da una parte riduce il ruscellamento, dall’altra è in grado di catturare l’acqua in eccesso. 

    Un’opera che sta dando i suoi frutti, tanto che lo scorso anno, tra i più caldi mai registrati, il bosco dove sorge l’azienda ha risposto in maniera positiva. «A mio avviso c’è più acqua nel sottosuolo, quindi le piante hanno resistito allo stress termico». L’agricoltore negli anni ha studiato da autodidatta su vari testi di idrologia, mettendo in pratica alcune delle soluzioni proposte. Come appunto quelle di creare, seppur su piccola scala, bacini di infiltrazione in grado di accumulare naturalmente l’acqua piovana. «Utilizzo solo risorse naturali, come legno, rocce e scavo piccoli bacini, che arrivano fino a 500 mila litri». 

    Osservare e riprogettare

    Il suo è un intervento che sta facendo scuola, tanto che dopo i lunghi mesi di siccità e di piogge torrenziali registrati negli ultimi mesi, sono molte le amministrazioni, le associazioni di categoria e gli stessi ricercatori che chiedono di condividere la sua esperienza. Un caso reale di adattamento agli eventi estremi, esacerbati dalla crisi climatica: «Mi sono reso conto di quanto sia necessario capire come prepararsi in caso di eventi estremi, prima che questi accadano».

    Lorenzo ricorda la siccità come un periodo complicato, con delle perdite nelle rese agricole. «Ho imparato molto, ho osservato dove rimaneva l’acqua, dove il suolo mantiene l’umidità, ritarato il mio sistema». Conoscere il territorio, programmare le attività in base alle sue caratteristiche geomorfologiche, e lavorare non per contrastarne le caratteristiche naturali, bensì per sfruttarle al meglio, ben sapendo che comunque il rischio zero non esiste.

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