Produrre riso ovunque

La coltivazione del riso sarà in grado di rinnovarsi per diventare sostenibile? Una sperimentazione in campo sta cercando le prime risposte.

6 minuti | 12 Agosto 2022

Testi di Giulia Annovi

La coltivazione del riso è a rischio in Italia. Secondo una stima della Confederazione Italiana Agricoltori (CIA) la produzione del riso italiano calerà del 30% nel 2022. 

La siccità sta prosciugando ettari di risaie al Nord. Le ondate di calore anomale cui abbiamo assistito a inizio estate provocano una rapida evaporazione dell’acqua nelle vasche adibite alla produzione del riso.
Ma sono soprattutto la scarsità di neve e le precipitazioni dimezzate degli ultimi sei mesi le principali responsabili del calo di produzione. I due fenomeni hanno portato a una perdita pari al 90% di risorse idriche. 

La modesta produzione e la carenza di acqua sono conseguenze dei cambiamenti climatici che hanno anche altre ripercussioni in agricoltura.

Un’azienda agricola di Burana, in provincia di Ferrara, ha deciso di trovare una risposta alla necessità di continuare a produrre riso a fronte di stagioni sempre più siccitose. Per farlo ha colto la sfida offerta da una sperimentazione che prevede la coltivazione del riso a secco. Questo sarà l’anno del primo raccolto e ci sono grandi aspettative per il risultato.

RISO LÀ DOVE, DI SOLITO, NON C’È

Coltivare riso in Emilia Romagna è già di per sé una decisione coraggiosa. Dopo le bonifiche degli anni ‘20, il terreno, non più paludoso, pare non essere il più adatto alla coltivazione di questo cereale. Ma l’azienda agricola Cerutti, ha deciso di accettare la sfida di ripristinare una coltivazione diffusa tra fine ‘800 e inizi ‘900, anche se con metodi nuovi.
Oggi nell’azienda sono presenti vasche tradizionali per la produzione di un riso biologico. L’azienda adotta metodi di coltivazione volti a ridurre la crescita delle piante infestanti con semine posticipate e allagamenti controllati.

«Il nostro riso è molto richiesto e avevo bisogno di ampliare la produzione», racconta Stefano Cerutti, uno dei due soci proprietari dell’azienda. E per farlo occorreva superare i metodi tradizionali con cui sono costruite le risaie. «Speravo di trovare un metodo per produrre con facilità il riso su qualunque terreno, senza la necessità di scavare vasche per la coltivazione. A questa prima esigenza si è aggiunta quella di risparmiare acqua».

Il suggerimento arriva dal web. Si tratta di un progetto presentato a Milano Expo nel 2015, con il titolo “Fields of tomorrow” (i campi di domani, ndr). Il padiglione di Israele, in occasione dell’ Esposizione Universale dedicata al cibo, ha presentato tecniche innovative per la salvaguardia delle risorse idriche in agricoltura.

COLTIVARE RISO A SECCO

La ditta che proponeva di far crescere addirittura le piante in verticale sui muri, aveva anche una soluzione per il riso. Ha inventato un sistema di pompe associato a una rete di tubi sotterranei per condurre e distribuire l’acqua nel terreno, fino alle radici delle piante di riso. L’acqua in questo modo non viene sprecata: sale per capillarità in superficie e mantiene il terreno alla giusta umidità per consentire la crescita e la maturazione del riso, senza allagare il campo.

Dall’anno scorso Cerutti ha dedicato cinque ettari del suo terreno alla coltivazione a secco del riso. 

L’acqua proviene dal canale che scorre pochi metri più in là rispetto al campo. Esiste un impianto di filtrazione e poi un sistema di pompe che gestisce la sua distribuzione nei tubi che corrono verso i diversi settori del campo.

«L’impianto è tutto automatizzato e gestito da remoto tramite un’applicazione», spiega Cerutti. Il sistema irriga i campi a rotazione per 15 ore al giorno e riporta anche il volume di acqua utilizzato. «Questa tecnologia mi permette di risparmiare dieci volte il volume di acqua che impiegherei nelle colture tradizionali di riso».

PIÙ RISO, MENO ACQUA

Di solito, la  coltivazione del riso avviene in seguito all’allestimento di campi dedicati, capaci di convogliare e accumulare acqua. Si tratta di vere e proprie vasche che possono essere allagate. La preferenza verso tale tecnica di irrigazione per sommersione è dettata dal fatto che ciò facilita la fertilizzazione e riduce l’incidenza di erbe infestanti e parassiti.

Il problema della coltivazione del riso è l’irrigazione: consuma un volume di acqua di circa 2-3 volte superiore a quello usato per gli altri cereali. Con l’irrigazione tradizionale sono necessari circa 20 mila metri cubi d’acqua per coltivare un ettaro di riso. In media, servono 2500 litri di acqua affinché una risaia produca 1 kg di riso grezzo. Sono dati che si riferiscono a una media mondiale, ma che possono cambiare in base alla varietà del riso, ai metodi di fertilizzazione e pesticidi adottati, al clima e alle caratteristiche del suolo.

Nei campi allestiti con il metodo della subirrigazione, il fatto che l’acqua non emerga in superficie limita l’evaporazione. È un fenomeno che subiscono invece le colture tradizionali, almeno finché la pianta del riso non è sufficientemente alta per ombreggiare il terreno. Questa è una condizione che comincia a verificarsi ad agosto. Di certo, l’anticipo delle ondate di calore, cui abbiamo assistito quest’anno, ha contribuito a peggiorare il fenomeno dell’evaporazione.

Inoltre, questo metodo assicura ulteriori risparmi per il fatto che la distribuzione dell’acqua non avviene con le tecniche tradizionali. «Circa il 50% dell’acqua distribuita con le pompe per l’irrigazione tradizionali evapora. Le pompe sono alimentate a gasolio, il cui prezzo continua ad aumentare. Alla fine dell’anno l’agricoltore ha sprecato acqua e gasolio, spendendo i soldi guadagnati con il raccolto per pagare queste risorse», commenta Cerutti.

Riflettere su risorse, costi e necessità di continuare la produzione è importante. La necessità di ampliare la produzione del riso, risparmiando risorse, non riguarda solo la ditta Cerutti. Le previsioni di Fao e Ocse, nel rapporto Agricultural Outlook 2020-2029, prevedono per l’Europa un aumento del consumo del riso pro capite dagli attuali 6,4 kg/anno a 6,7 kg/ anno.

In tale contesto, l’Italia gioca un ruolo fondamentale: la produzione annua del riso nazionale ammonta a 15 milioni di quintali, una quantità che copre oltre il 50% della produzione europea.

Anche i dati ISTAT 2020 dimostrano che la coltivazione del riso in Italia è importante. 227 mila ettari del suolo coltivato nel nostro paese sono dedicati al riso. È un’area che corrisponde circa al 10% dei campi destinati ai cereali.

POSSIBILI BENEFICI PER LA SALUTE?

Oltre che per l’ambiente e la produttività, la coltivazione del riso con un metodo che risparmia acqua potrebbe anche portare alla produzione di un chicco migliore per la salute dei consumatori. Il riso, assieme a altri cereali, verdure, noci e legumi, radici amidacee e patate, come pure carne e prodotti a base di carne contribuisce all’esposizione dell’uomo al cadmio. Il cadmio è presente nel terreno, nell’acqua e nell’aria come inquinante. Le piante di cui ci nutriamo sono in grado di accumulare il metallo. Il 90% dell’esposizione totale deriva proprio dalla dieta. 

Il cadmio è un metallo e i suoi effetti sulla salute dipendono dalla sua concentrazione nell’organismo e dal tempo di esposizione. Può provocare intossicazioni acute quando si verificano esposizioni a alte concentrazioni di questo metallo. Esistono però anche intossicazioni legate a un’esposizione cronica, caratterizzata da dosi inferiori dell’elemento chimico ma prolungate nel tempo.

Se ingerito con il cibo, il cadmio si accumula in modo preferenziale nel fegato, nei reni e nelle ossa e l’organismo impiega decenni per eliminarlo. Il metallo può causare malattie renali, cardiovascolari e osteoporosi.

Siccome può costituire un problema per la salute delle persone, l’European Food Safety Authority (EFSA) ha fissato in 2,5 microgrammi per chilo corporeo il limite massimo di cadmio tollerabile settimanalmente dall’organismo umano. Tale quantità corrisponde, in media, a quella normalmente ingerita dalla popolazione generale.

Il rischio per la salute riguarda soprattutto quei paesi in cui il riso costituisce la principale fonte di cibo. Nei paesi occidentali il rischio di intossicazione è ridotto grazie a un’alimentazione più varia.

Uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Sassari e pubblicato su Science of The Total Environment, ha dimostrato che cambiare il tipo di irrigazione per il riso concorre a ridurre di circa il 20% la quantità di cadmio contenuta normalmente in questo cereale. I ricercatori, guidati dal chimico Gavino Sanna, hanno introdotto un metodo di irrigazione per aspersione. Sebbene sia effettuato sfruttando metodi di irrigazione differenti, sarebbe interessante realizzare un’indagine simile applicata al nuovo metodo di irrigazione a secco. 

IL PROSSIMO RACCOLTO

C’è molta attesa per il prossimo raccolto. Quello dell’anno precedente non è andato a buon fine. L’impianto appena installato richiedeva alcuni aggiustamenti, arrivati troppo tardi a causa del Covid-19. 

Il raccolto di quest’anno sarà una sorpresa. Non mancano zone critiche nel campo. Ci sono quattro o cinque aree dove le piante sono poco sviluppate in altezza e quindi non arriveranno a maturazione. Inoltre, non è possibile prevedere nemmeno la reazione delle piante, che si comportano in modo diverso rispetto a quelle coltivate nei campi allagati. 

«Nelle prossime settimane faremo altre valutazioni per uniformare la portata dell’impianto anche in quei tratti di terreno che mostrano un dislivello tale per cui le piante ricevono meno acqua. Inoltre, installeremo delle sonde per misurare l’irrigazione del campo con uno strumento esterno all’impianto». 

Cerutti è stato coraggioso a sperimentare un impianto unico in Italia. In provincia di Venezia e tra la Toscana e il Lazio, ci sono campi di riso simili a quelli di Burana, ma con una differenza sostanziale: i tubi per l’irrigazione corrono sulla superficie del terreno e non sono interrati. «Ho fatto questa scelta perché i tubi superficiali sono meno sostenibili in quanto vanno sostituiti ogni anno. Il prossimo anno, tuttavia, ho intenzione di installare in parallelo entrambi i metodi di irrigazione per misurare quale dei due è più efficiente su questo tipo di terreno».



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  • Giulia Annovi

    Giulia Annovi è giornalista laureata in biologia. Ha conseguito un dottorato di ricerca in medicina molecolare e rigenerativa. In seguito si è specializzata in comunicazione della scienza frequentando il master presso la SISSA di Trieste. Scrive per diverse riviste di salute, ambiente e innovazione.

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