All’inizio di febbraio 2023, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) ha pubblicato una proposta di divieto di tutti i PFAS. I PFAS sono usati per ottenere materiali impiegati in molti settori diversi: per realizzare padelle antiaderenti, giubbotti impermeabili, cartoni della pizza. Non si degradano nell’ambiente e sono molto mobili, per cui possono essere rilevati in acqua, aria, pioggia, lontre e merluzzi, uova sode ed esseri umani. I PFAS sono collegati al cancro e all’infertilità, oltre che a una dozzina di altre malattie. Per le loro caratteristiche, che li rendono persistenti nell’ambiente per tempi lunghissimi, i PFAS sono detti “forever chemicals”, o inquinanti eterni.
L’inchiesta The Forever Pollution Project, condotta da un consorzio di 18 redazioni europee e a cui ha partecipato anche il giornalista Gianluca Liva per RADAR, è ora in grado di rivelare che la contaminazione in tutta Europa è molto più estesa di quanto si sappia pubblicamente. The Forever Pollution Project ha individuato l’esistenza di più di 17.000 siti contaminati da PFAS in tutta Europa. Questi dati provengono dai campioni prelevati in acqua, suolo o organismi viventi da scienziati e autorità a partire dal 2003 fino a oggi.
La mappa, realizzata dai colleghi di Le Monde, è stata costruita raccogliendo e organizzando dati da diverse fonti, pubbliche e private, e mostra i luoghi in Europa in cui è stata accertata una contaminazione da PFAS da parte di autorità ambientali (come le ARPA in Italia).
Il commento degli esperti CNR-IRSA
Abbiamo chiesto a Stefano Polesello (tra i primi in Italia che si sono occupati di inquinamento da PFAS) e a Sara Valsecchi, ricercatori dell’Istituto di Ricerca Sulle Acque (IRSA) del CNR, di commentare questi dati.
«La raccolta e mappatura dei dati ufficiali disponibili sulla contaminazione da PFAS sul territorio europeo è uno strumento utile, se non indispensabile, per rendere evidente a tutti, non solo a noi esperti, che l’uso e la diffusione ambientale dei PFAS è una problematica globale, che coinvolge tutti i territori, non solo quelli colpiti da episodi di inquinamento più clamoroso, come le aree del Veneto e del Piemonte. La mappa diventa così uno strumento di conoscenza e sostegno alle iniziative di regolazione/restrizione dei PFAS come famiglia di composti, che sono in corso nell’Unione Europea», hanno commentato i due ricercatori.
«La prima riflessione che abbiamo fatto a caldo, a mappa appena pubblicata, è perché abbiamo dovuto aspettare un consorzio di giornalisti per avere questo strumento che avrebbe potuto/dovuto essere messo a disposizione da autorità europee».
«Perché abbiamo dovuto aspettare un consorzio di giornalisti per avere questo strumento, che avrebbe dovuto essere messo a disposizione da autorità europee?»
Un punto di partenza
Questa mappa, tuttavia, per quanto sveli un quadro preoccupante, è ancora soltanto un punto di partenza: i dati disponibili sulla contaminazione da PFAS sono ancora in gran parte frammentari e incompleti.
«La mappa da poco pubblicata da Le Monde si basa sui dati a disposizione in Europa: dati da agenzie regionali, registri di attività produttive, aeroporti, basi militari e tutti quei luoghi in cui la contaminazione da PFAS è accertata o presunta», precisa Gianluca Liva, «ciò che si vede nella mappa, però, rappresenta una totale sottostima dell’inquinamento da PFAS. A oggi nessuno conosce la reale portata della contaminazione. Questo progetto crossborder ha il merito di catturare, su scala europea, l’attenzione su un problema che non è più possibile ignorare. Non possono essere le sole comunità più colpite a occuparsene. L’impegno deve essere trasversale».
Anche Polesello e Valsecchi evidenziano che è importante considerare la metodologia con cui questi dati sono stati raccolti. «Dal punto di vista dei contenuti della mappa pubblicata da Le Monde vi sono però delle criticità, da considerare per una corretta lettura dei dati», commentano i due ricercatori. «Innanzitutto non sono evidenti i criteri di scelta dei valori nei singoli siti, che non sono basati su criteri statistici ma sembrano essere le concentrazioni più alte misurate in un lasso di tempo, che in alcuni casi è superiore a 10 anni. Ciò rende non confrontabili i dati in punti anche vicini e impossibile verificare una eventuale evoluzione delle concentrazioni e delle sostanze utilizzate in siti, in particolare quelli produttivi. Inoltre, il numero di siti identificati in ciascun paese o area riflette le informazioni pubbliche disponibili che non sempre corrisponde all’entità della contaminazione da PFAS».
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Contaminazione accertata e presunta
Durante il corso dell’inchiesta, è emersa anche la moltitudine di settori industriali in cui vengono usate sostanze che contengono PFAS, e che quindi potrebbero portare a emissioni locali di inquinanti. Si tratta, per esempio, di siti in cui vengono usate particolari schiume antincendio (aeroporti, basi militari, caserme dei vigili del fuoco), oppure di attività che includono cartiere, discariche, impianti per il trattamento delle acque. Si parla, in Europa, di quasi 21.500 siti. Questa contaminazione, tuttavia, è ancora soltanto presunta, perché non sono state fatte analisi ambientali per indagare l’effettiva contaminazione in questi luoghi.
Questo riporta al problema di fondo: le informazioni disponibili sulla contaminazione da PFAS in Europa sono ancora lungi dal dare un quadro completo del problema.
«Di conseguenza, alcuni dei siti presunti sulla mappa non sono contaminati da PFAS e altri siti contaminati non sono inclusi nella mappa», specificano Polesello e Valsecchi commentando la mappa che mostra anche i siti di contaminazione presunta, pubblicata da Le Monde.
«L’altro aspetto che sembra avere creato un po’ di allarme nei cittadini è la mappatura dei siti di probabile emissione [indicati in azzurro sulla mappa proposta da Le Monde]. Questa mappatura, molto utile, è stata fatta sulla classificazione ufficiale delle attività produttive, ma è solo un elenco di attività per le quali sarebbe necessario un monitoraggio, mentre la sua sovrapposizione con i punti rossi dei dati di monitoraggio ha portato ad attribuzioni semplicistiche di responsabilità di inquinamento, rilanciate da diverse testate giornalistiche locali. Crediamo che la mappa, così importante e necessaria, sia uno strumento di evidenza per eventuali approfondimenti sulla diffusione del fenomeno da inquinamento da PFAS».
La metodologia completa della mappa prodotta da Le Monde si può consultare a questo link.
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Le aziende contro i divieti
Oltre a realizzare la prima mappa europea sulla contaminazione da PFAS, The Forever Pollution Project ha anche scoperto un ampio processo di lobbying per indebolire la proposta di divieto dei PFAS nell’UE. Diverse decine di richieste FOIA a Bruxelles e in altre città europee hanno rivelato che da mesi più di 100 associazioni industriali, think tank, studi legali e grandi aziende stanno lavorando per influenzare la Commissione europea e gli Stati membri al fine di indebolire l’imminente divieto sui PFAS.
Nel corso di diversi mesi di indagini, The Forever Pollution Project ha esaminato più di 1.200 documenti riservati della Commissione europea e dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), oltre a centinaia di fonti aperte. Analizzando questi documenti, i reporter di The Forever Pollution Project sono stati in grado di mostrare come le aziende, da Chemours a 3M o Solvay, stanno cercando di aggirare il divieto.
Questa inchiesta è parte di The Forever Pollution Project, un’indagine crossborder a cui hanno partecipato 18 redazioni da tutta Europa.
Un gruppo che oltre a RADAR Magazine include Le Monde (Francia), Süddeutsche Zeitung, NDR e WDR (Germania), The Investigative Desk e NRC (Paesi Bassi) e Le Scienze (Italia), e a cui si sono aggiunti Datadista (Spagna), Knack (Belgio), Deník Referendum (Repubblica Ceca), Politiken (Danimarca), Yle (Finlandia), Reporters United (Grecia), Latvijas Radio (Lettonia), SRF Schweizer Radio und Fernsehen (Svizzera), Watershed e The Guardian (Regno Unito).