L’arte dei sistemi complessi

Intervista ad Alessandro Zannier (noto in ambiente musicale come Ottodix), artista polimorfo, anti minimalista e assetato di scienza.

8 minuti | 30 Settembre 2022

Testi di Erica Villa

«La matematica di un’intuizione, lo schema delle nuvole, la modularità di movimenti collettivi apparentemente anarchici, la perfezione del volo casuale degli storni sono quello che cerco, un crocevia tra poesia e ferrea regola». Per l’artista polimorfo Alessandro Zannier, noto in ambiente musicale con lo pseudonimo Ottodix, il tentativo di spiegare gli schemi della complessità, le figure ricorrenti su diverse scale dal micro al macro cosmo, trova la loro epifania nella fisica, nella biologia e nell’astronomia. Che danno alla ricerca artistica, altrimenti arbitraria e aleatoria, struttura e credibilità insindacabili. 

Questa visione ha un lato fortemente drammatico, racconta Ottodix, ma anche un tocco sublime, dal sapore ottocentesco, poiché spiega che perfino le nostre più profonde emozioni sono codificabili dalla chimica, dalla matematica e dagli impulsi elettrici, annientando ogni nostra velleità di libero arbitrio. È spaventoso, inquietante e per questo conferisce una funzione emotiva all’arte, seppur partendo da spunti scientifici. Ottodix ama indagare le dinamiche dei massimi sistemi, capire i funzionamenti delle correlazioni. Per questo non si definisce né un pittore o uno scultore, né un musicista o compositore, né uno scrittore o un divulgatore, ma un artista concettuale o, se vogliamo, un regista.

Microcosmo e macrocosmo

«Ci vuole un soggetto dannatamente buono ogni volta per appassionarmi e non annoiarmi per molto tempo», racconta Ottodix, «poiché la fase di preparazione, realizzazione, promozione dei miei progetti richiede un arco minimo di tre anni». 

Micromega, per esempio, è un’installazione che ha presentato nel 2017 a Berlino, composta da 117 tracce audio e altrettante illustrazioni, con contenuti scientifici indagabili in un labirinto concepito su 9 livelli di grandezza della materia del cosmo, dalle microparticelle ai sistemi di universi. L’opera cercava correlazioni tra la materia e le dinamiche sociali e antropologiche umane, che per Ottodix è lo scopo ultimo, la restituzione utile del proprio lavoro alla cultura collettiva. 

«Micromega ha dato vita a una serie di concerti in cui per la prima volta ho inserito elementi narrativi e letture attoriali di concetti di fisica e divulgazione, portati in musei, teatri e università», spiega l’artista, «ma perfino club, come l’Anomalie ArtClub di Berlino, un grosso club della techno, che ha ospitato una mia mostra e un concerto per band e quartetto d’archi».

micromega ottodix

Micromega. Installazione 2016, 300×300 cm, alluminio a specchio, alluminio spazzolato, scultura polistirolo alta densità, cemento, acrilico, led. Foto di Alessandro Zannier.

Entanglement ottodix

Entanglement, Hyperobject Still Life8 (2021). Acrilico su tela 150×150 cm. Foto di Alessandro Zannier.

«Ho abbandonato l’arte visiva fine a sé stessa e ai circuiti autoreferenziali delle gallerie d’arte contemporanea. Volevo un contatto più viscerale con il pubblico e ho spostato la mia ricerca nella canzone e nella musica elettronica». Ma il suo background di artista visivo lo ha portato a riscoprire il gusto di «creare per gli occhi, oltre che per le orecchie» con gli artwork e negli spettacoli. Il passo successivo è stato quello di creare opere multi-dimensione, in cui c’è sonoro, narrazione, arte visiva e perfino intrattenimento. Il giusto equilibrio l’ha trovato dopo anni, ora che ha avvicinato le arti visive alla scienza, ma più in generale alla divulgazione. 

«Il giusto equilibrio», spiega Ottodix «sta nell’inventare nuovi contenitori di idee, macrocosmi da narrare, concept declinabili in opere d’arte visiva, canzoni, musica e spettacoli dal taglio divulgativo, in cui includere il pubblico e farlo ragionare, utilizzando strumenti e discipline apparentemente lontane e ricombinandole in un messaggio artistico più ampio, forte, che soprattutto sia contemporaneo e attuale». 

 

Le ispirazioni scientifiche di Ottodix

L’ultima serie di opere e canzoni, Entanglement, si ispira a un fenomeno affascinante della fisica quantistica per rileggere fenomeni umani. La storia delle migrazioni, le colonizzazioni, l’economia globale, la rete web, le rotte navali e aeree: le connessioni globali sono immaginate come un unico gigantesco cervello, una colonia di individui che sono ormai un tutt’uno, esposti a cause effetto immediate su tutto il sistema, dall’Italia alla Nuova Zelanda.

Entanglement è un grande viaggio alla scoperta delle connessioni della colonia-sciame umano. Attraverso la metafora scientifica, Ottodix spiega che considerarci un unico banco olografico, un unico organismo, ci dia una visione più vera e strategica della realtà, rispetto al ragionare sulle antiche divisioni culturali o geopolitiche.

Il progetto ENT project 6 continents si ispira ai modelli di distribuzione equa delle risorse del mondo naturale. È formato da coppie gemelle di installazioni luminose in luoghi diversi; le installazioni visualizzano dati incrociati sull’inquinamento umano in diversi luoghi del pianeta, con animazioni 3D che rivelano l’aspetto della colonia umana su vasta scala spazio-temporale.  

Questo progetto, inaugurato al Padiglione Italia della Biennale di Architettura di Venezia 2021 con l’Oceania (in collaborazione con l’Università di Auckland) sta portando Zannier a creare gemellaggi con ogni continente. Finora ha creato installazioni gemelle con l’Africa (alla Biennale di Venezia, Padiglione Camerun), il Sud America (Florianopolis-Brasile) e l’Asia (Pechino), inaugurate in una personale al Galata Museo del Mare di Genova. «Mancano il Nord America e l’Europa, che conto di realizzare nel 2023, anno di conclusione di queste operazioni su Entanglement», spiega Zannier.

ottodix artelogia

Arteologia nel Multiverso (2018). Tecnica mista, 110 x 198 x 140 cm. Foto di Alessandro Zannier.

Come bambini che giocano insieme

Quando gli viene chiesto quale sia l’ingrediente segreto di una efficace collaborazione con gli scienziati Ottodix risponde che «servono visioni congiunte e rigore nel metodo da entrambe le parti, e la motivazione di sviscerare un senso più alto del singolo campo di ricerca. Credo che la filosofia sia il territorio comune a queste discipline». 

Secondo l’artista serve un «cane da tartufo, che abbia istinto», per indicare una direzione di ricerca alla scienza, che possa intuire correlazioni tra le scoperte, magari partendo da esperienze istintive o estetiche nei numeri, nelle masse di dati. Esperienze in cui un artista può essere d’aiuto.

Ottodix racconta di aver trovato persone molto più preparate in arte o materie umanistiche collaborando con i ricercatori – come quelli del CNR, per le ultime due Biennali a Venezia – che viceversa, tra artisti, scrittori, attori, spesso ancora vittime dei cliché su un mondo matematico freddo e razionale. «I più grandi eccentrici visionari, autentici e non atteggiati, sono stati proprio i grandi fisici, non gli artisti».

La non competitività tra artisti e scienziati toglie molti limiti e permette di ottenere cose entusiasmanti. «È come mettere due bambini che giocano a costruire una cosa insieme. Si crea una sana fratellanza e ci si fanno un sacco di domande reciproche, anche naïf, con un entusiasmo a volte commovente: cosa impensabile tra colleghi della stessa disciplina».

Dopo la catastrofe

Oggi Ottodix sta lavorando a un nuovo concept, che inventa un mondo scientifico di sana pianta: una provocazione distopica sul come salvarci dalla fine del mondo imminente. Un sistema di catalogazione della vita terrestre nuovo e poetico, per riorganizzare la vita umana ripartendo da zero dopo un’ipotetica catastrofe, immaginandoci in cattività, sforzandoci di ragionare sull’essenziale e lasciando il superfluo, come un migrante in fuga. 

In questo contesto la ricerca spaziale, l’astrobiologia, l’astrobotanica e altri ambiti di ricerca eso-terrestri insegnano molto dal punto di vista filosofico. «Sto creando qualcosa di estremamente visionario», spiega Ottodix, «che guardi a un futuro da fantascienza per recuperare un senso arcaico della presenza dell’uomo nell’universo». 

Questo lavoro è il frutto della frequentazione recente con gli architetti della Biennale 2021, tra cui Alessandro Melis, il curatore del Padiglione Italia Resilient Communities. «Nei prossimi giorni», ci anticipa «mi rinchiuderò in un piccolo, meraviglioso teatro a Guardistallo in Toscana assieme al produttore Flavio Ferri per una residenza artistico-musicale organizzata da Antonio Aiazzi (Litfiba), dove inizieranno le registrazioni di otto nuovi brani tematici».

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  • Erica Villa

    Erica Villa ha una laurea in biologia e un master in comunicazione della scienza. Cura e studia le connessioni e le collaborazioni tra ricercatori e artisti in progetti europei, residenze e mostre.

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