Il nostro attaccamento al suolo, al terreno, ha radici tanto profonde da essere misurate in migliaia anni. Chiunque, anche chi nasce in un palazzo di nove piani, affacciato su un canyon urbano dove scorre un flusso continuo di mezzi meccanici motorizzati, si sente protetto all’ombra di un albero più di quanto lo si senta dall’ombra di un semaforo.
Non basteranno un secolo o due di urbanizzazione a cancellare una impronta plasmata da migliaia di anni di adattamento alla macchia, alla foresta, alla ricerca di semi, tuberi e radici.
Una delle insalate con substrato di perlite, pronta per essere collocata nei cassoni di idroponica. L’idroponica prevede tecniche di coltivazione senza uso del terreno, ma con l’impiego di un substrato e con l’azione dell’acqua e sostanze nutritive disciolte al suo interno. Esistono due principali tipi di idroponica: quella con il substrato (miscele di perlite, sabbia, argilla espansa), irrigato con acqua e nutrienti, e quella senza substrato, dove le radici delle piante sono immerse nel flusso della soluzione nutritiva (composta da acqua e sostanze disciolte). Il vantaggio dell’agricoltura idroponica è la possibilità di coltivare ovunque, anche dove non ci sono il terreno o il clima ideali per coltivazioni tradizionali. Consente anche un controllo maggiore delle risorse idriche e nutrizionali e un certo risparmio di acqua: il flusso idrico viene raccolto dopo l’utilizzo e riciclato per un nuovo ciclo di irrigazione. Orti di Legambiente, via Padova (Milano), ottobre 2021.
I primi giorni di costruzione delle casse di un Orto fuori suolo, a cui lavorano alunni e professori del liceo e il coordinamento scientifico del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali (DiSAA) dell’ Università degli Studi di Milano. Quest’attività ha portato i ragazzi a confrontarsi con una manualità e progettualità a cui non erano abituati e che li ha coinvolti fin da subito. Cortile del Liceo Caravaggio (Milano), maggio 2021.
È anche per questo che piccoli progetti di orticoltura sociale urbana destano dapprima titubanza, poi stupore, per trasformarsi in breve in necessità per coloro che ne fanno esperienza. Ed è ciò che sta accadendo nella periferia nord di Milano.
Far germogliare la periferia
Elisabetta Bianchessi, presidente dell’Associazione T12 Lab di Milano, è testimone di questa esperienza. Grazie ad un progetto di coltivazione fuori-suolo sta restituendo vita, dignità e un senso a terreni abbandonati, talvolta inquinati o cementificati, nella periferia della metropoli lombarda.
«I quartieri tra Viale Padova e Crescenzago sono molto densamente popolati, sono multiculturali, abitati da migliaia di migranti legali e non legali. Sono quartieri che hanno subito pesantemente il contraccolpo economico e sociale durante l’emergenza Covid», spiega Bianchessi.
Sono aree che rischiano di andare alla deriva, terre di mezzo tra il centro della città e l’hinterland produttivo. Terre di mezzo che negli anni del boom edilizio di Milano erano autentiche discariche di materiali edili a cielo aperto e praticamente deregolamentate. Oggi sono terreni non solo cementificati ma, quando non coperti da una coltre di cemento o bitume, sono contaminati al punto tale da non poter essere rigenerati, o coltivati. «Sono spazi pubblici o semi-pubblici praticamente inutilizzabili», dice Bianchessi.
I luoghi scelti per il progetto sono spazi a metà tra l’urbano e la natura, suoli cementificati, ex-discariche, terreni abbandonati a cui ridare vita attraverso la sperimentazione di orticolture fuori suolo. In questa immagine, dall’alto, possiamo vedere la porzione di parco che agli inizi del Novecento costituiva parte integrante dell’edificio, attualmente inutilizzata. Cortile del Liceo Caravaggio (Milano), maggio 2021.
Orti urbani come atto di resistenza
Questa è la terra che non c’è. O la terra intoccabile, ma che ora è un luogo urbano di cui gli abitanti di questi quartieri periferici si stanno riappropriando.
Tra l’altro non mancano studi che evidenziano la possibilità di sviluppare politiche nazionali per sostenere l’agricoltura urbana. E che l’utilizzo degli spazi verdi urbani per la produzione alimentare contribuirebbe ad aumentare la resilienza del sistema alimentare agli shock (siano essi conflitti militari, pandemie, o altro) nella importazione dall’estero o alle interruzioni della produzione e della distribuzione nazionale di prodotti agricoli.
Controllo dei parametri vitali delle piante durante il periodo invernale, in cui vengono opportunamente protette da teli. Cortile del Liceo Caravaggio (Milano), dicembre 2022.
Antonio Ferrante, professore ordinario del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali (DISAA), effettua insieme a due volontari degli Orti i controlli delle sostanze nutritive da somministrare al prossimo ciclo di insalate. Orti di Legambiente, via Padova (Milano), luglio 2021.
L’idea, dunque, che ha avuto l’Associazione T12 Lab, insieme alla Fondazione di Comunità Milano, alla Caritas Ambrosiana, al Comune, a Green Week Milano e Legambiente è stata quella di proporre orti urbani fuori-suolo, coltivazioni idroponiche (in cui le piante crescono senza terreno) verticali o orizzontali, o coltivazioni in cassoni di terriccio.
In questo modo, e grazie anche al supporto scientifico del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università degli Studi di Milano (DiSAA) l’Associazione T12 Lab sta creando orti-giardini in diverse aree periferiche ai confini della città.
L’area degli Orti di via Padova, prima della costruzione dell’Orto idroponico Orizzontale. Questo luogo è un vero punto di riferimento nella zona, ed è nato nel 2014 dal recupero di un’area abbandonata e utilizzata in passato come discarica. Un progetto cresciuto con la collaborazione di tantissimi volontari che quotidianamente si prendono cura dello spazio e delle colture fuori suolo. Orti di Legambiente, via Padova (Milano), aprile 2021.
Da aree degradate a spazi di coesione sociale
«Lo scopo del progetto è di trasformare aree abbandonate in occasione, in spazio sociale, di accettazione», continua Elisabetta Bianchessi. Accettazione di chiunque desideri collaborare al miglioramento del luogo in cui vive. «I prodotti degli orti, per ora insalate, melanzane, pomodori, sono poi donati al Banco Alimentare di Milano o alla Caritas, che li ridistribuiscono a chi ne ha bisogno», aggiunge.
Spiega ancora Bianchessi che questi orti sono un parte di un progetto inclusivo e solidale, concetti moderni, questi, ma parte di una storia antica: «Come in molte società arcaiche, i prodotti della terra non avevano un valore economico, ma sociale». Un’altra società è possibile, anche nella città della moda e della finanza.
Il progetto è entrato perfino nel Liceo Artistico Caravaggio, nel quartiere Turro, dove i giovani, dapprima esitanti di fronte al maneggiare terra, germogli, ma poi stupiti dalla vita che cresceva e si sviluppava di fronte ai loro occhi e grazie ai loro sforzi per costruire le strutture per la coltivazione e mantenerle sono diventati un modello per altre scuole e licei. Zoe Vincenti, fotografa che ha documentato la nascita e lo sviluppo del progetto ricorda: «La prima volta che abbiamo messo i semi i ragazzi erano esitanti, erano abbastanza estranei alle piante. Ma poi si sono affezionati».
Ora nei giorni di sole è possibile vederli scolpire e disegnare in mezzo all’orto. Al loro orto.
Le ultime insalate dell’anno, piantate in ottobre e cresciute nel giro di 20 giorni, sono state accudite e raccolte da un gruppo di ultraottantenni, parte del progetto di aggregazione sociale chiamato “La casa del Tempo” della cooperativa sociale Comin. Una delle particolarità del progetto è quella di creare connessioni non solo tra persone di diverse età e condizione economica, ma anche tra le attività che le associazioni propongono nel quartiere. Giardino della Madia, Comin (Milano), ottobre 2022.
Una classe prima del liceo insieme alla dirigente scolastica Annalisa Esposito insieme ad un volontario degli Orti di via Padova. In quest’immagine si percepisce il valore sociale ed educativo di questo progetto che non solo porta i giovani ad esplorare un mondo sconosciuto, ma crea relazioni intergenerazionali. Cortile del liceo Caravaggio (Milano), novembre 2022.
LEGGI ANCHE: Il cibo del futuro si coltiva in una serra idroponica
Orti urbani, nuove radici nelle città di cemento
Ora ci sono enti, anche privati, che mostrano interesse al progetto: le terre che non ci sono, paradossalmente, nelle città non mancano.
In alcuni casi è per partecipare attivamente al progetto, come nel caso di Fastweb e IPER, che promuovono il volontariato aziendale. Ma ci sono anche idee per nuovi orti urbani e giardini: «Stiamo discutendo con le Ferrovie dello Stato per la lastra di cemento dell’istituto scolastico Ceresola, circa 1000 metri quadri inutilizzati, che potrebbero diventare un grande orto-giardino gestito dalle comunità dei quartieri limitrofi», conclude Bianchessi.
Se quindi il prodotto degli orti tocca il delicato tema della povertà alimentare, che cresce allontanandosi dal centro della città lombarda, è vero anche che dona ricchezza in termini di coesione e partecipazione, dove anziani o immigrati si incontrano durante la costruzione degli scheletri in larice per le strutture verticali, o dove i bambini trovano uno spazio di gioco sicuro, in un orto in cui possono osservare la crescita di piante ed il raccolto di ortaggi quando questi maturano.
Non è da darsi per scontato che tutto ciò sia possibile in una città di pianura, in rapida espansione, inquinata nel suolo e nell’aria.
Ricorrere agli orti urbani, anche per mantenere un legame con le nostre radici avrà un ruolo sempre più importante. L’espansione urbana è il principale fattore di modifica del territorio, con un aumento previsto della copertura del suolo urbano di 1,2 milioni di chilometri quadrati entro il 2030, ovvero quanto la superficie di Francia e Spagna messe insieme. La perdita di habitat naturali è quindi immensa.
Questi orti sono la dimostrazione che anche un terreno violentato e contaminato può essere restituito ai cicli biologici terrestri. E che con la nostra cura può addirittura generare frutti, verdure, che dalle mani di cittadini possono aiutare altri cittadini.
L’orto idroponico in una delle sue massime produzioni prima della raccolta. Orti di Legambiente, via Padova (Milano), luglio 2022.