Nel Mediterraneo, il falco pescatore nidifica su falesie rocciose a picco sul mare. In questa zona, però, la sua popolazione si è ridotta a poche decine di coppie nidificanti.
Grazie ai progetti di reintroduzione, oggi il falco pescatore sta tornando anche sulle isole italiane. Per la prima volta da quasi un secolo, una coppia ha stabilito un nido sull’isola di Capraia.
È un successo dovuto al lungo lavoro delle persone che lavorano ai progetti di reintroduzione, come quello nel Parco della Maremma e nell’Arcipelago Toscano.

Un nuovo nido per il falco pescatore

Un viaggio rocambolesco tra le rocce di Capraia e la Maremma assieme ai ricercatori che lavorano alla reintroduzione del rapace: i nuovi nidi a strapiombo sui faraglioni e il "rapimento" di giovani falchi.

13 minuti | 6 Agosto 2021

Fotografie di Federico Santini

Il fuoristrada si fa largo tra cespugli di giunchi spinosi e ginestre, il paesaggio ingiallito dal sole estivo potrebbe ricordare quello della savana subtropicale se non fosse per il fatto che all’orizzonte qualche pino domestico svetta tra la vegetazione bassa di quella che un tempo fu un’estesa palude.
Sotto il sole di una mattina di luglio ci avviciniamo a un pino secco, da sotto si scorgono i resti di un enorme nido. «Questo albero ha ospitato le prime coppie di falco pescatore che sono tornate a nidificare nel Parco Regionale della Maremma» mi dice Andrea Sforzi, biologo e responsabile scientifico del progetto che ha riportato questo splendido rapace sui litorali della Toscana del sud. 

Il falco pescatore (Pandion heliaetus) è un rapace che si ciba esclusivamente di pesce, distribuito in tutti i continenti ad eccezione dell’Antartide. Solitamente nidifica su grandi alberi nelle vicinanze di fiumi e laghi costieri; tuttavia nell’area mediterranea si stabilisce spesso su falesie rocciose a picco sul mare, da dove può facilmente garantirsi la quantità di pesce necessaria per allevare la prole. Nonostante la specie non se la passi male a livello globale, nel bacino del Mediterraneo la popolazione è formata da poche decine di coppie nidificanti che, a causa di decenni di persecuzione diretta e della distruzione dei loro habitat, sono esposte ad un costante rischio di estinzione su scala locale.

Il falco pescatore, una specie vulnerabile

«Il Mediterraneo è considerato uno dei più importanti hot spot per la biodiversità, una delle zone più ricche in termini di specie e di ecosistemi» continua Andrea «eppure la popolazione di falco pescatore resta vulnerabile dal punto di vista della conservazione. I numeri sono bassi e la mortalità giovanile è piuttosto elevata. I rischi maggiori si verificano durante la migrazione e lo svernamento, soprattutto durante il primo anno di vita. A Malta purtroppo ancora sparano ai rapaci, ma anche in Sicilia qualche anno fa hanno ucciso un giovane nato nei nostri nidi. In Italia, grazie alle azioni di gestione in atto, stiamo lentamente recuperando: quest’anno abbiamo avuto sette coppie riproduttive, sei in Toscana e una in Sardegna. Questo fa ben sperare».

Un team di rocciatori còrsi prepara il legname sul faraglione per la costruzione di un nido artificiale, sull’isola di Capraia. La costruzione di nidi fa parte del progetto di reintroduzione del falco pescatore.

Ultimamente il numero di coppie nidificanti nel bacino del Mediterraneo ha visto un leggero incremento, grazie ai vari progetti di reintroduzione attivi in Europa del sud. Tra questi c’è un progetto attivo in Toscana, che coinvolge il Parco Regionale della Maremma e il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. 

La reintroduzione del falco pescatore è iniziata nel 2006 ad opera di un progetto inter-regionale che vedeva coinvolti il Parco Regionale della Maremma e la Riserva Naturale di Scandola nel Parco Regionale della Corsica. A quei tempi alcuni individui potevano essere avvistati lungo le coste maremmane soprattutto in inverno, ma era dagli anni ’60 che non si verificavano più casi di nidificazione di questa specie in Italia. Grazie alla determinazione e all’impegno di Giampiero Sammuri, allora Presidente del Parco Regionale della Maremma, oggi Presidente del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, il progetto è stato avviato e portato avanti con costanza in questi anni.

Mufloni sulle rupi dell’isola di Capraia.

Sull’isola di Capraia, il legname per costruire il nido viene portato sul posto con l’elicottero, ma i rocciatori devono trovare il modo di posizionarlo sul faraglione attraverso l’uso di corde.

Jean Marie Dominici, guardiaparco della riserva della Scandola, con la sua squadra durante la costruzione dei nidi artificiali, sull’isola di Capraia.

Un rapimento a fin di bene

Il parco còrso ha fornito i falchi. Una volta trasferiti in Maremma, il parco Regionale si è occupato di loro fino alla fase in cui i giovani falchi avrebbero spiccato il volo verso la loro vita da adulti. Si potrebbe definire un rapimento a fin di bene: non è un caso che gli inglesi chiamino questa tecnica hacking, “pirateria” appunto. L’idea era che questi animali, una volta adulti, sarebbero tornati a nidificare nel luogo memorizzato come nativo. Questa caratteristica comportamentale si chiama filopatrìa e sembra aver dato buoni frutti. Adesso, a distanza di quindici anni, si può dire che il progetto sia riuscito, dato che i falchi da qualche anno nidificano stabilmente nel territorio del parco e in altre aree protette costiere della provincia di Grosseto. 

Come mi spiega Andrea «parte del comportamento migratorio è geneticamente determinato; in un progetto di reintroduzione è importante quindi selezionare individui provenienti da una popolazione sorgente il più possibile prossima all’area del rilascio. Nel caso della popolazione còrsa, possiamo inoltre ipotizzare che si tratti di una parte residuale della più ampia popolazione che un tempo si estendeva fino alla Toscana». 

Quest’anno, per la prima volta dopo 90 anni, una coppia si è fermata sul nido di Capraia, facendo sperare in una riunificazione della popolazione sorgente. I nidi sono stati costruiti da una squadra di rocciatori còrsi guidata da Jean Marie Dominici, guardiaparco della riserva della Scandola e protagonista fin dall’inizio del Progetto Falco Pescatore. Queste enormi strutture possono superare i 150 chilogrammi di peso: per questo un elicottero della Forestale ha dovuto scaricare il materiale nelle vicinanze. Da qui i rocciatori, con l’ausilio di corde e carrucole, lo hanno issato sulle rupi ancorando il tutto alla roccia in modo da garantirne la durata il più a lungo possibile. Adesso sembra che questo rischioso lavoro stia dando i propri frutti.

Al Parco della Maremma il grido d’allarme dei genitori ci accompagna da quando ci siamo avvicinati al nido; l’operazione di cattura e rilascio deve essere veloce per recare il minor disturbo possibile agli animali.

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Andrea Sforzi, responsabile scientifico del progetto, controlla che i genitori siano lontani prima di salire sul nido per il controllo, nel Parco Regionale della Maremma.

Andrea Sforzi recupera un giovane falco pescatore per installare la trasmittente, nel Parco Regionale della Maremma.

Flavio Monti e Andrea Sforzi durante l’installazione del gps su un falco pescatore, nel Parco Regionale della Maremma.

Mentre ci prepariamo, uno dei genitori ci sorvola tenendoci d’occhio. Alzo la testa e lo osservo salire di quota leggero. La pancia bianca si confonde con il cielo e lo fa scomparire per un attimo dalla mia vista. In questo momento mi ricordo che la maggior parte degli uccelli che si nutrono di pesce hanno la stessa caratteristica per essere meno visibili alle loro prede. 

Andrea si mette l’imbrago di sicurezza per salire sul nido e Flavio prepara un piccolo trasmettitore gps. «Pesa solo 25 grammi», mi dice mentre si assicura che tutto funzioni nel modo corretto. «È dotato di un sistema gsm per inviare i dati e, grazie a questi micro panelli solari, ci permetterà di registrare tutti i suoi spostamenti per un periodo che può arrivare fino a 3 o 4 anni, nella migliore delle ipotesi. Quando è iniziato il progetto avevamo dei trasmettitori VHF che emettevano un segnale analogico recepito da un’antenna multidirezionale. Era un lavoro lungo, bisognava effettuare la classica triangolazione dei punti e si poteva avere al massimo 3/5 dati al giorno a seconda dei protocolli di lavoro. Oggi stando comodamente seduti dietro al pc si ricevono le localizzazioni in modo continuativo, anche 24 ore al giorno».

Il trasmettitore gps viene montato sul dorso di un giovane falco pescatore; questo individuo è identificato dalla sigla IBA. Parco Regionale della Maremma.

Le rotte migratorie del falco pescatore

Analizzando le rotte e le caratteristiche delle loro migrazioni, i ricercatori hanno scoperto una sostanziale differenza comportamentale tra i falchi mediterranei e quelli dell’Europa continentale. Per ogni falco munito di trasmittente satellitare è stato prodotto uno schema che riporta le mappe delle aree visitate. Analizzando i loro spostamenti, i ricercatori hanno visto che mentre in nord Europa questi uccelli effettuano lunghe migrazioni di oltre 6000 km, andando a svernare principalmente in Africa sub-sahariana, i loro cugini mediterranei hanno un comportamento essenzialmente residente con alcuni individui che effettuano brevi migrazioni sul bacino del Mediterraneo.

Alle latitudini intermedie infatti si possono avere temperature miti ed acque pescose anche in pieno inverno (le acque non gelano come in nord Europa): per questo i falchi mediterranei scelgono di non andare troppo lontano e rimanere vicino ai siti di riproduzione da occupare in primavera. Dei 7 giovani falchi monitorati nel 2017, ad esempio, soltanto uno ha effettuato una lunga migrazione, raggiungendo un’oasi vicino a Dakar in Senegal; tutti gli altri sono rimasti nei pressi della zona di riproduzione effettuando alcuni brevi spostamenti tra la costa tirrenica, la Francia e la Sardegna. 

Andrea scende dalla scala con il piccolo in mano. Ormai il piumaggio è già formato e le dimensioni raggiunte sono sufficienti: nell’arco di pochi giorni spiccherà il suo primo volo. IBA, secondo la sigla che lo identifica, è l’ultimo pulcino dell’anno da controllare prima dell’involo, tutti gli altri sono già stati monitorati e gli è stata applicata la trasmittente. Flavio lega il trasmettitore sul dorso del piccolo – ribattezzato Montesquieu – e subito il rapace viene riposto sul nido. 

«Da scienziato inizialmente ero contrario a dare dei nomi propri ai falchi, ma dal punto di vista mediatico sicuramente funziona meglio associare un nome ad un individuo piuttosto che una sigla. Poi con il tempo ci siamo affezionati ai singoli individui e alle loro storie. Qualche anno fa ce ne era uno che era molto indietro rispetto agli altri, sembrava deboluccio; faceva brevi spostamenti e tornava al nido. Poi tutto ad un tratto partì e fece una quantità impressionante di chilometri, fino ad arrivare in Africa. L’abbiamo chiamato Mandrake!»

Manipolare un rapace di queste dimensioni con artigli e becco affilati richiede attenzione e competenza (Parco Regionale della Maremma).

Una coppia di falco pescatore nei pressi del nido di Saline San Paolo, nel Parco Regionale della Maremma

A tutta velocità

Sicuramente il successo di questa reintroduzione è dovuto a tutte le persone appassionate che vi hanno preso parte e a chi per anni ha seguito questi rapaci, raccogliendo dati e analizzandoli. Flavio Monti è uno di questi: quando lo conobbi nel 2007, durante le riprese del documentario “Progetto osprey”, era un laureando che prendeva parte con entusiasmo al lavoro sul campo e passava le giornate attraversando il parco con l’antenna puntata verso il cielo per localizzare i falchi rilasciati. Adesso è uno dei più esperti studiosi sul falco pescatore e porta avanti diverse collaborazioni con varie università europee: «Bisogna dire che quando abbiamo iniziato non si conosceva bene l’ecologia e il comportamento migratorio della popolazione di falco pescatore nel Mediterraneo, oggi invece abbiamo scoperto non solo che la nostra popolazione ha un’ecologia differente rispetto ai cugini del centro e nord Europa, ma attraverso il grande dettaglio di questi dati satellitari abbiamo scoperto anche delle specifiche dinamiche di volo. Le trasmittenti di ultima generazione sono dotate di strumenti elettronici come altimetro, magnetometro e accelerometro, che ci permettono di ricostruire il volo nelle tre dimensioni. Abbiamo visto che possono raggiungere oltre i mille metri di quota e che per attraversare il mare possono volare per oltre 20 ore consecutive ad una velocità media di 40 km/h. Questo ci ha permesso di ricostruire il grande “traffico aereo” che c’è nel Mediterraneo e di capire che questa specie (a differenza di altri grandi rapaci) non necessariamente deve seguire le coste ma può anche attraversare lunghi tratti di mare aperto». 

Un altro dato importante che questi strumenti hanno permesso di ottenere è stato quello legato alle cause di mortalità. Nel Mediterraneo, questa specie è minacciata da molti fattori direttamente o indirettamente legati all’uomo. In alcuni casi infatti sono stati localizzati individui abbattuti da azioni di bracconaggio (come nel caso del falco ferito vicino Todi e poi deceduto), mentre altri sono morti a causa di collisioni con tralicci o pale eoliche. Inoltre l’analisi dei dati relativi agli spostamenti ha rivelato come i falchi che frequentano aree protette abbiano una maggiore probabilità di sopravvivenza rispetto a quelli che escono al di fuori delle riserve. Questo vale soprattutto per i paesi del Nordafrica, che non hanno un network diffuso di riserve naturali. Se in Europa, infatti, un falco che si allontana da una riserva può facilmente trovarne un’altra, nella costa sud del Mediterraneo non è così. E un giovane che si allontana dall’area protetta si espone più facilmente ai fattori di rischio. 

Tutto ciò ha fatto comprendere ai ricercatori quali sono le minacce maggiori per questa specie nel Mediterraneo, quali le aree maggiormente pericolose e quali potrebbero essere le eventuali azioni correttive per limitare questi rischi nel futuro.

Andrea Sforzi controlla gli spostamenti degli individui con trasmittente gps, al Museo di Storia Naturale della Maremma.

Una settimana dopo la nostra visita al nido di Montesquieu torno al parco armato di binocolo e macchina fotografica per dare un’occhiata al giovane e vedere se è ancora sul nido. Mi avvicino strisciando in mezzo ai cespugli sotto un telo mimetico. Giunto davanti al nido a distanza di sicurezza prendo il binocolo e resto in attesa di vedere qualche movimento, ma il nido sembra vuoto. Due daini si avvicinano sulla radura e mi distraggono per un attimo, quando sento il verso di un falco pescatore sopra di me. In lontananza due falchi poggiati su un tronco morto spiccano il volo: li osservo volteggiare tutti e tre insieme nell’aria, poi separandosi si allontanano su binari paralleli verso il fiume.

Telefono subito a Flavio e gli comunico con entusiasmo che il giovane si è involato ed è attivo. «Sì, lo vedo sul monitor» mi risponde «si è spostato verso la foce dell’Ombrone». Attacco il telefono e mentre impacchetto la mia roba mi viene da sorridere, ripensando alle giornate spese insieme sotto il sole estivo con l’antenna puntata al cielo in cerca di falchi.

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  • Federico Santini

    Federico Santini è regista e direttore della fotografia, specializzato in documentari e fiction in luoghi di natura estrema.

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