La nave Berkan B è arrivata nel porto di Ravenna nell’estate del 2010. Nel 2011 è stata abbandonata. Nel 2017, si è spezzata in due.
Nei porti italiani ci sono centinaia di navi abbandonate. Secondo le stime ufficiali più recenti, sono 749.
Cosa sta succedendo nei porti italiani?

Navi abbandonate, relitti e gente di mare: il cimitero delle navi di Ravenna

Le navi abbandonate affollano i porti italiani. Si tratta di un problema ambientale e umano complesso. È il caso della motonave Berkan B, abbandonata a Ravenna.

19 minuti | 4 Giugno 2021

Testi di Gianluca Liva
Fotografie di Alessandro Mazza
Nei porti italiani ci sono centinaia di navi abbandonate, 749 secondo le stime ufficiali più recenti. Sono imbarcazioni di diverso tipo, lasciate al proprio destino per una varietà di ragioni e parcheggiate lungo le banchine in attesa di capire cosa farne. Gli anni passano, i materiali si degradano, la barche diventano relitti. Le navi abbandonate costituiscono un problema ambientale, umano e normativo. Trovare una soluzione non è semplice. Da più di dieci anni, a Ravenna giace la motonave Berkan B, la cui storia ben rappresenta la complessità del fenomeno dell’abbandono delle navi nei porti della nostra penisola. Era l’estate del 2010 quando la Berkan B – una vecchia nave di proprietà dell’armatore turco Bilgili Denizcilik Nakliyat Sanayi – entrò nel porto di Ravenna. A bordo c’erano 19 marittimi, di nazionalità turca e georgiana, che da tempo lamentavano i mancati stipendi. L’armatore era indebitato al punto da non avere più le risorse per garantire l’operatività della nave. Il 2 agosto 2010 la Berkan B venne posta sotto sequestro e fatta sostare in rada con l’equipaggio bloccato a bordo. Il 27 agosto i marinai, rimasti senza cibo e acqua, si tuffarono in mare per raggiungere la terraferma. Fu un gesto di protesta che riuscì a cogliere nel segno. A intervenire fu l’Associazione Stella Maris di Ravenna, una ramificata realtà di assistenza per la gente di mare. «La situazione era diventata insostenibile. Abbiamo portato loro i viveri e, dopo esserci rivolti al consolato turco, siamo riusciti a ottenere le risorse per il rimpatrio», ricorda padre Pietro Gandolfi, presidente dell’associazione, «sono stati 16 i marinai che hanno scelto di tornare a casa, i restanti hanno deciso di restare a bordo per tenere la nave sotto controllo. Sono rimasti per mesi, finché due sono rientrati nel proprio paese per un periodo di ferie, lasciando un unico marinaio a guardia della Berkan B. Si chiamava Lusret Santilms». Lusret, ultimo marinaio dell’equipaggio, è morto il 7 luglio 2011, da solo, in una cabina della nave. Raccontano che a volte amava scendere a terra e passare nella sede dell’associazione per un pranzo in compagnia.
Tre navi cargo abbandonate in Pialassa dei Piomboni. Sulla sinistra, la Vomv Gaz (1995 Ucraina), al centro la OrEnburgaz Prom (1985, Russia), e a destra la Berkan B prima dello smantellamento. Pialassa dei Piomboni, Ravenna
Interno della Vomv Gaz (1995 Ucraina). Ciò che resta della sala ricreativa dopo anni di abbandono. Al centro un tavolo da biliardo rotto. Pialassa dei Piomboni, Ravenna.
Vista del ponte di comando della Vomv Gaz (1995 Ucraina). Nel tempo le navi abbandonate sono diventate meta di writers (qui hanno lasciato la propria impronta in cirillico), musicisti che vi hanno girato videoclip e esploratori urbani di luoghi abbandonati. Pialassa dei Piomboni, Ravenna.
La Berkan B fu abbandonata e divenne così un vero fardello per le autorità competenti. Maurizio Garipoli è il pilota e operatore del porto di Ravenna che, assieme a un collega, ha guidato la Berkan B fino al suo ultimo ormeggio, la banchina “ex Tozzi” lungo il canale Piomboni, arteria fondamentale del porto-canale di Ravenna. «L’Autorità portuale viene informata sempre troppo tardi che l’armatore è privo dei fondi necessari. Le situazioni però possono essere molto diverse e, per questo motivo, il quadro è sempre complicato», spiega Garipoli, «dopo qualche anno dall’abbandono, io e un collega l’abbiamo spostata grazie a due rimorchiatori e l’abbiamo parcheggiata sulla banchina. Da quel momento in poi ho assistito come spettatore alla degenerazione della nave e dei suoi elementi». Le autorità portuali e le capitanerie di porto incontrano grandi difficoltà nella gestione delle navi abbandonate, a partire dall’individuazione del proprietario che – in teoria – se ne dovrebbe occupare. Queste imbarcazioni spesso sono intestate a società con sede nei paesi che rientrano nelle liste dei “paradisi fiscali” ed è quasi un’impresa riuscire notificare al proprietario il provvedimento di rimozione. Senza la notifica, infatti, la nave non può essere toccata a meno che non vi sia un effettivo pericolo per la navigazione. In generale, sussiste un conflitto tra due principi – la tutela della proprietà privata e la tutela dell’interesse pubblico – che limita le possibilità di azione dei responsabili del porto. È successo così anche per la Berkan B.
Un capanno da pesca all’interno di una insenatura del porto commerciale di Ravenna avvolto nella nebbia.

Da navi abbandonate a relitti

Gli anni passarono. La Berkan B è rimasta ferma, in compagnia di altri tre relitti di imbarcazioni di media dimensione – V-Nicolaev, Vomvgaz, Orenburg Gazprom – a loro volta navi abbandonate. Si tratta di imbarcazioni che in origine erano di proprietà della Gazprom, giunte a Ravenna nel 2006, fermate per questioni relative sia alla sicurezza che alla situazione di indebitamento del proprietario, e oggi ridotte a carcasse arrugginite. Assieme, costituiscono quello che in molti hanno definito “il cimitero delle navi” di Ravenna. A differenza delle altre tre, la Berkan B a un certo punto sembrava destinata a una sorte dignitosa. Nel settembre 2017 erano cominciati i lavori per la demolizione della nave e per un periodo sembrò che si potesse giungere a una conclusione in tempi brevi. Le cose, purtroppo, non andarono come previsto. «Le operazioni di smontaggio e alleggerimento furono svolte male; un lavoro fatto proprio senza sapere bene cosa si stava facendo», ricorda Walter Emiliani, residente nella zona, pescatore e testimone degli eventi, «leggevo sui giornali che alla demolizione lavorava anche una persona che fino a poco tempo prima faceva il cuoco. Quando hanno tagliato i bordi, la situazione è degenerata e la nave si è spezzata a metà. All’interno c’erano ancora idrocarburi che a quel punto hanno cominciato a fuoriuscire». La Berkan B non era stata bonificata, e una imprecisata quantità di carburanti ha cominciato a fluire nelle acque circostanti. Fu a quel punto che la vicenda della nave abbandonata a Ravenna diventò un “caso”. «Quando nel 2017 la Berkan B si ruppe, idrocarburi provenienti dalla nave entrarono in contatto con l’acqua. Lo sversamento era evidente. Tuttavia, le panne galleggianti antinquinamento per limitare la contaminazione sono state posizionate soltanto nel luglio 2018» afferma Francesca Santarella della sezione di Ravenna di Italia Nostra, «ma abbiamo anche filmati e fotografie del febbraio 2019 in cui si vedeva che l’iridescenza tipica degli idrocarburi era presente anche all’esterno del perimetro delle panne. Le operazioni di aspirazione degli inquinanti sono iniziate solo dopo la nostra denuncia e procedevano con grandi difficoltà. La nave, ormai compromessa, è colata a picco il 5 marzo 2019. A quel punto le autorità hanno installato un secondo perimetro di panne ma, nonostante ciò, abbiamo ulteriori testimonianze di fuoriuscite di idrocarburi all’esterno». Le numerose associazioni ambientaliste che si sono occupate della questione, sostengono che l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico (ADSP) di Ravenna si sia mossa con eccessiva lentezza e che la contaminazione abbia coinvolto anche le acque e le specie che interessano la pialassa dei Piomboni: una zona protetta in prossimità del porto di Ravenna e della zona industriale. Per questi fatti e, in generale, per la gestione della motonave Berkan B, i vertici dell’autorità portuale sono finiti sotto inchiesta.

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La darsena di Ravenna sul Canale Candiano che arriva fino al cuore della città. Sulla destra la sede dell’Autorità Portuale.
Una delle navi cargo in uscita dal porto di Ravenna con il suo carico di container che spunta dalla nebbia.
Maurizio Garipoli è stata l’ultima persona al timone della Berkan B. La nave, battente bandiera panamense, è stata abbandonata in porto insieme all’equipaggio perché l’armatore era insolvente. Garipoli l’ha condotta, nel suo ultimo viaggio, fino alla banchina dove è stata smantellata. Il lavoro di Garipoli consiste infatti nel guidare le imbarcazioni tra le banchine, dentro e fuori il porto.

Un inquinamento contestato

L’ADSP di Ravenna contesta le conclusioni delle associazioni. «I risultati della perizia depositata il 2 ottobre 2019 sostenevano che lo specchio d’acqua all’interno delle panne galleggianti risultasse sì contaminato da idrocarburi provenienti dal relitto della Berkan B; ma non vi sono state evidenze di spandimento degli idrocarburi all’esterno delle panne di contenimento: né da risultanze delle analisi chimiche, né da fotografie aeree, né da segnalazioni dell’autorità marittima antecedenti alla perizia», afferma Daniele Rossi, presidente di ADSP, che riporta anche come già nella perizia dell’ottobre 2019 si affermasse che «senza alcun dubbio le sostanze oleose fuoriuscite dal relitto della Berkan B sono efficacemente contenute dalla doppia fila di panne e barriere galleggianti poste all’intorno del relitto, come evidente anche dalle numerose fotografie acquisite dall’alto che denotano l’assenza costante di iridescenze al di fuori del perimetro esterno di panne galleggianti. Il canale Piomboni non è oggetto di alcun pericolo attuale e concreto di inquinamento, inteso come compromissione o deterioramento significativo o misurabile a seguito della temporanea contaminazione causata dalle sostanze oleose fuoriuscite dal relitto della Berkan B, che hanno interessato uno specchio d’acqua ristretto». Perizie, analisi e testimonianze si sono accumulate negli ultimi due anni. Come riportato dal presidente Rossi, le analisi condotte nel maggio 2021 sanciscono che «a fronte delle evidenze analitiche esaminate è possibile concludere che lo scenario analizzato nel 2019 che attestava come l’effetto del rilascio di oli dalla Berkan B fosse strettamente limitato all’area interclusa dalle panne, è oggi superato per quanto riguarda le acque. Gli esiti delle analisi effettuate attestano, infatti, l’assenza di residui idrocarburici nelle acque prospicienti il relitto, a conferma che l’idrocarburo rilasciato è stato totalmente aspirato. Anche gli esiti delle analisi dei sedimenti prelevati nei punti di campionamento interni alle panne, attestano concentrazioni di idrocarburi assai limitate, del tutto paragonabili a quelle risultanti nei campioni prelevati in corrispondenza dei punti esterni alle panne. I livelli di idrocarburi ottenuti nei sedimenti denotano una totale assenza di contaminazione, anche solo potenziale, anche tenendo presente che non vi è alcuna certezza che le tracce di idrocarburi – che comunque rientrano nei limiti di legge – siano direttamente riferibili agli oli fuoriusciti all’epoca dalla Berkan B».
Vista dall’alto del relitto della Berkan B. Si possono intravedere le iridescenze tipiche della presenza di idrocarburi in acqua. Le prime fuoriuscite sono state registrate a marzo 2018, la foto è di novembre 2020. È circondato da una doppia linea di panne di galleggiamento per contenere gli sversamenti e da cime che ne limitano i movimenti. Si intravede OrEnburgaz Prom (1985, Russia) semi affondata. Ravenna.
Interno della Vomv Gaz (1995 Ucraina). Sostanze oleose sono ancora presenti nell’acqua che ha invaso un vano macchine. La Vomv Gaz giace spiaggiata in Piallassa Piomboni da anni. Ravenna.
Dall’altra parte, però, i dubbi rimangono. C’è stato un periodo in cui dalla nave fuoriuscivano idrocarburi senza che ci fosse un presidio di contenimento. «Avrebbero dovuto mettere le panne prima di intraprendere i lavori di demolizione. L’affondamento della Berkan B è stato qualcosa di assurdo sotto molti punti di vista», ribatte Walter Emiliani, che per anni ha osservato dal suo capanno da pesca le sorti della Berkan B, «le iridescenze sullo specchio dell’acqua si vedevano eccome e la situazione è rimasta incontrollata per alcuni mesi». Francesca Santarella è della stessa opinione. Il caso della nave abbandonata si inserisce nel contesto di una nuova sensibilità ambientale, che interessa anche luoghi troppo spesso dimenticati. «Stiamo parlando di un luogo che normalmente non viene frequentato. In queste antiche lagune costiere si verificano spesso situazioni di abuso ambientale», chiarisce Francesca Santarella, «nel caso della Berkan B, quella delle associazioni ambientaliste non è una battaglia meramente ideologica. Il nostro intento è sottolineare come ci si debba rendere conto della gravità di certe situazioni, e agire in tempo. Vogliamo far capire cosa significhi “lasciare andare” un ambiente, dove le forme di inquinamento hanno delle conseguenze anche per noi. Per fare un esempio, nel ravennate e nel ferrarese c’è un problema di bracconaggio ittico. In queste zone lagunari di acque interne, ci sono bande organizzate che predano i molluschi, ne alterano le indicazioni di provenienza, e li introducono sul mercato alimentare».
La Berkan B attraccata in banchina pochi giorni prima dell’avvio del cantiere per il suo smantellamento. Durante le operazioni lo scafo si è spezzato rilasciando idrocarburi nelle acque della Piallassa. La Procura di Ravenna ha aperto un fascicolo sull’accaduto. Ravenna.

Navi abbandonate, passato e futuro dei porti italiani

La travagliata storia della Berkan B sembra essere prossima alla conclusione. Grazie all’intervento del Contraente Generale aggiudicatario del progetto “HUB Portuale Ravenna”, entro l’estate 2021 la Berkan B verrà indirizzata verso un cantiere di demolizione. Sempre nei prossimi mesi, le autorità stabiliranno se ci sia stata una qualche responsabilità nell’ambito di una vicenda senza dubbio controversa, che mette in evidenza molte criticità strutturali nella gestione dei relitti navali che affollano i porti. «È un problema di mancanza di indicazioni chiare sulle competenze. Nessun pubblico funzionario si assume delle responsabilità che comportano oneri per l’amministrazione senza che ci sia una indicazione precisa», sottolinea Daniele Rossi, «il caso della Berkan B è tanto specifico quanto rappresentativo di buona parte delle situazioni legate a tutte le navi abbandonate nei porti italiani. Un fenomeno preoccupante, che dobbiamo essere in grado di trasformare in un’opportunità, come lo è stato in passato». La presenza di navi abbandonate non rappresenta una novità per il nostro Paese. Al termine della Seconda guerra mondiale, i porti italiani erano invasi di relitti di navi semiaffondate e abbandonate. Venne attuato un programma sistematico per intervenire sulla situazione. In tutte le principali città portuali italiane aprirono i cantieri che si occupavano di demolizione e recupero dei materiali. Si sviluppò un’industria fiorente, che tuttavia comportò anche un costo in termini di inquinamento e malattie professionali. Gradualmente, il settore delle demolizioni si è spostato verso altri paesi – soprattutto nel Sud-est asiatico – dove l’intero processo è più economico, e meno controllato. Da qualche anno in Italia, anche grazie a casi come quello della Berkan B, si parla molto della necessità di smaltire questa marea di navi abbandonate e di dotarsi di una nuova normativa, più agevole. «A seconda della causa dell’abbandono, cambia l’interlocutore. In alcuni casi può essere l’autorità giudiziaria di un altro paese e si è costretti a rispettare i loro tempi. In altri casi, quando si ha più a che fare con nazioni dalla forte instabilità politica, è più difficile determinare con chi si deve avere a che fare. Le situazioni sono tantissime e varie», racconta Matteo Bianchi, esperto in economia del mare, «il primo problema concreto che si manifesta è che sovente queste navi hanno a bordo delle persone. Le autorità devono lavorare con competenze che si intersecano e si sovrappongono e non è semplice districarsi in questa pluralità. L’abbandono di una nave, in generale, è un vero problema per le persone a bordo, per il porto d’arrivo e i suoi responsabili, per la sicurezza della navigazione». Gli esempi di sicuro non mancano. A Genova, nel dicembre 2019 la nave Theodoros – abbandonata e sequestrata nel 2007 – ha rotto gli ormeggi ed è andata alla deriva nelle acque del porto prima di essere “catturata” e riportata alla banchina.
Interno della Vomv Gaz (1995 Ucraina), la cabina del comandante. Ravenna.
Padre Pietro Gandolfi è il Presidente dell’Associazione “Stella Maris”. L’Associazione si occupa di dare assistenza ai marinai che sono stati abbandonati nel porto di Ravenna. Si preoccupa di rifornirli di cibo e di fare raccolta fondi per il loro rimpatrio. Ravenna.

Una normativa da rivedere

Gli stalli normativi a volte nascono al principio, a partire dall’inquadramento giuridico di ciò che intendiamo come “nave abbandonata” o “relitto navale”. I problemi ambientali legati alla dispersione di idrocarburi o di altre sostanze provenienti da una nave abbandonata (qualsiasi sia la sua condizione) comportano attività di messa in sicurezza, rimozione ed eventuale demolizione che dovrebbero essere gestite dai proprietari ma che quasi sempre ricadono sulle autorità pubbliche. Come spiegato da Donato Castronuovo, professore Ordinario di Diritto penale all’Università di Ferrara, in una recente pubblicazione sul tema, «un quesito preliminare a ogni intervento di messa in sicurezza, rimozione o demolizione riguarda la possibilità di qualificarli giuridicamente come “rifiuti”, anche al fine di individuare la disciplina applicabile (e le autorizzazioni necessarie) per tali interventi, nonché per l’inerzia da parte dei soggetti eventualmente obbligati: nelle fonti normative interne e sovranazionali, non è rinvenibile alcuna soluzione espressa e diretta. La nozione generale di rifiuto, di per sé stessa vaga e ambigua, non è sufficiente a risolvere la questione dell’inquadramento giuridico delle navi abbandonate o dei relitti navali. Gli stessi manufatti, peraltro, non trovano una classificazione espressa come rifiuti, per lo meno non nel Catalogo Europeo dei Rifiuti (CER). Quando la trovano, ovvero nel regolamento UE del 2006 sulla spedizione dei rifiuti, la classificazione come rifiuti vale non per le navi in quanto tali, ma esclusivamente per quelle destinate alla demolizione che siano oggetto di spedizione. Anche ai fini della disciplina del riciclaggio delle navi introdotta dal regolamento UE del 2013, la qualificazione come rifiuti non riguarda le navi in quanto tali, ma soltanto i rifiuti prodotti dalla loro demolizione – completa o parziale – negli impianti di riciclaggio inseriti in un apposito elenco europeo». Più il tempo passa e più le situazioni complicate come quella della motonave Berkan B appaiono anacronistiche. Di recente, nel gennaio 2021, è stato istituito un fondo da 12 milioni di euro per coprire la metà delle spese per avviare le gare d’appalto per la rimozione dei relitti delle navi nei porti. È un primo passo, mirato anche a rivedere e migliorare l’assetto normativo. Una volta smantellata la nave, la storia della Berkan B giungerà al termine. A rimanere, sarà il ricordo di una vicenda che ha catturato l’attenzione del pubblico e lo ha reso più consapevole dei problemi ambientali legati alla navigazione e delle difficoltà che affrontano le persone che lavorano nel comparto marittimo.

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