Musica per le piante

Una rinnovata sensibilità ambientale ci spinge a trovare nuovi canali di comunicazione con la Natura. Uno di questi è la musica.

10 minuti | 3 Settembre 2021

Testi di Gianluca Liva

Esistono molte prove dell’effetto del suono sulle piante. Gli esperimenti condotti nel corso dei decenni con varie frequenze, nei contesti più disparati, su specie vegetali diverse, hanno evidenziato come le onde sonore possano influire sulla crescita. Il perché ciò succeda, e il modo esatto di farlo succedere, è ben lontano dall’essere definito con certezza. È possibile che i cambiamenti nella pressione dell’aria, provocati da particolari onde sonore (anche quelle del vento), abbiano un effetto sugli organismi vegetali.

La musica per le piante è una realtà – studiata, criticata e in divenire – di cui si è parlato in molti modi; in certi casi anche con accostamenti frettolosi al variegato universo delle pseudoscienze. Di sicuro non basterà una melodia soave a rendere le foglie del nostro basilico simili a ninfee giganti. I tentativi di capire il perché, il come e il quando le piante reagiscono al suono, vanno inseriti in un contesto ben più profondo, in cui una rinnovata sensibilità ambientale ci spinge a trovare nuovi canali di comunicazione con la Natura, e a osservarla come mai prima.

Una melodia per crescere e sbocciare

Le testimonianze delle reazioni delle piante agli stimoli sonori si perdono nei secoli. In genere, i primi studi che vengono citati nella letteratura di settore sono quelli di T. C. N. Singh, botanico indiano della Annamalai University. Negli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso, Singh condusse alcuni esperimenti sugli effetti della musica per le piante, e riportò come questa potesse indurre a un aumento sostanziale della biomassa. In altre parole, la musica rendeva le piante più rigogliose. Il lavoro di Singh viene citato nel libro che ha reso popolare questo tema, The Secret Life of Plants, pubblicato nel 1973 da Christopher Bird (botanico e scrittore) e Peter Tompkins (giornalista e agente segreto). Il volume è una raccolta di testimonianze delle relazioni fisiche, emotive e spirituali tra le piante e l’essere umano. Gli autori suggerivano come la musica potesse aiutare le piante a crescere. Il libro non convinse la comunità scientifica, che lo criticò da subito e con buone ragioni, visto il gran numero di riferimenti a teorie pseudoscientifiche.

The Secret Life of Plants fu comunque un grande successo editoriale e contribuì al fiorire di una corrente di musica per la crescita delle piante. Uno dei dischi più noti di questo filone è Mother Earth’s Plantasia, del compositore Mort Garson, uscito nel 1976. L’album era disponibile per i clienti che acquistavano una pianta d’appartamento nel negozio Mother Earth di Los Angeles; oppure per coloro che compravano un particolare materasso ai magazzini Sears. Il disco, oggi apprezzato come una curiosa e intrigante amenità, è stato ripubblicato nel 2019.

Se Plantasia proponeva suadenti e sibilline musiche per piccole piante d’appartamento, ben altro era l’intento di Klaus Netzle, compositore di library music [musica per accompagnare produzioni audiovisive e multimediali] noto con lo pseudonimo di Claude Larson, che nel 1983 curò la pubblicazione di Plantlife: sottofondi elettronici avvincenti e a tratti ballabili – con titoli come “Cucumber Sandwich”, “Forced Growth” e “Grassroots” – che avrebbero perfettamente accompagnato la crescita delle piante nelle grande industrie agricole.

Alba sulla copertura vegetale della foresta dalla torre di osservazione alta 45 m nella riserva ZF2 nello stato di Amazzonia, Brasile, 13 agosto 2019. Fotografia di Elisabetta Zavoli.

Si potrebbe andare avanti all’infinito, citando artisti e composizioni sempre più improbabili, e migliaia di testimonianze aneddotiche raccolte nei decenni. Nel corso degli anni abbiamo fatto ascoltare di tutto a piante e alberi – musica classica, jazz, rock, heavy metal, canti religiosi tradizionali – e molto spesso si è notato come, per sommi capi, succedesse “qualcosa”. Al momento, la teoria scientifica più accreditata su come la musica possa far crescere le piante si concentra sulla vibrazione prodotta dalle onde sonore. Le piante trasportano molti nutrienti nei loro fluidi. Le vibrazioni di particolari suoni potrebbero contribuire a veicolare meglio queste sostanze. Sappiamo infatti che in natura, le piante possono crescere meglio se esposte al canto degli uccelli o al suono di un vento leggero.

La fascinazione della musica per le piante si è diffusa in molti ambiti, a volte spingendosi oltre le frontiere della scientificità. Alcuni commentatori puntualizzano come questo sconfinamento nel variegato universo New Age abbia in parte screditato la ricerca sui modi di interagire e comunicare con le piante tramite la musica. Oggi, però, possiamo inquadrare i tentativi di comunicare con le piante con la musica – siano essi condotti secondo rigore scientifico oppure no – in un contesto più ampio e affascinante. È necessario partire dall’assunto che le piante abitano il pianeta da molto più tempo rispetto all’umanità e si sono adattate a una infinità di ambienti diversi. Non conosciamo con esattezza il loro modo di comunicare con noi. Ignoriamo del tutto il linguaggio per “parlare” con loro. Le iniziative mirate a instaurare una comunicazione con le piante – con infinite variabili, fra cui la musica – vanno anche interpretate come tentativi di fare luce sul nostro modo di vivere e comunicare con la Natura. È il caso di un esperimento condotto in casa da Sara Michieletto, violinista dell’orchestra del teatro La Fenice di Venezia, assieme al fratello Giampaolo.

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Un violino, un trifoglio e un esperimento in casa

Sara era desiderosa di trovare un canale di comunicazione con le piante attraverso il suono del violino, instaurare una relazione con esse, dare vita a un dialogo. Per fare ciò, ha scritto e registrato un brano che si compone, per la quasi totalità, di note che spaziano tra i 155Hz (quarta corda del violino “scordata” a Mi bemolle, con La accordato a 440Hz) e i 311 Hz (circa una ottava sopra il Mi bemolle). Il brano si compone di cinque parti, con la fine speculare all’inizio. La parte centrale è costituita da tre note, che rivolgono una domanda alla pianta: come stai?

Le note sono una citazione dell’ultimo tempo del quartetto op.135, di Beethoven, in cui il compositore tedesco poneva a sua volta una particolare domanda. Dopo un iniziale periodo di preparazione, i primi esperimenti sono cominciati ad aprile e riguardano due piante di trifoglio bianco (Trifolium repens), una delle quali riceve i “messaggi” contenuti nel brano musicale.

>Schema dell’esperimento. Mira, Venezia, 2021. Fotografia e appunti di Giampaolo Michieletto.

Nel corso dei mesi, Sara e Giampaolo hanno migliorato e organizzato gli strumenti a disposizione, creato delle condizioni quasi da laboratorio, chiesto consiglio a ricercatori esperti, come Giuseppe Barbiero e Stefano Mancuso. Grazie a questo lavoro di ricerca e preparazione, l’esperimento può essere considerato come un’iniziativa di citizen science curata e approfondita all’estremo. Le piante di trifoglio sono collocate in due scatole, insonorizzate. In una scatola le piante sono esposte periodicamente al brano per violino; l’altra scatola è in completo silenzio. I due fratelli osservano i risultati nel tempo, mantenendo identici i parametri ambientali, a eccezione della musica.

È possibile osservare l’andamento dell’esperimento, con l’ausilio di una webcam che permette di controllare di persona lo sviluppo delle piantine di trifoglio.

«Ho cercato il più possibile di trovare delle regole per organizzare la parte musicale, altrimenti l’ambito di composizione sarebbe stato infinito», racconta Sara, «le conoscenze scientifiche consentono di prendere una direzione, forniscono una “sostanza” all’esperimento. Tuttavia per me questo lato non è così fondamentale quanto il riscontro empirico. Il “perché” le piante reagiscano a determinati stimoli sonori non è stato stabilito con certezza. A me interessava tentare di stabilire una relazione comunicativa. A differenza dell’essere umano, gli insetti, i funghi e i batteri comunicano con le piante. Esistono comunicazioni interspecie antichissime che funzionano in modo eccellente. Non vi è nulla di utilitaristico nella nostra iniziativa. Di sicuro, non siamo alla ricerca di qualche vantaggio per l’essere umano né per cercare di individuare un modo per stimolare la crescita dei trifogli. A noi interessa l’ambito della relazione. Questi esperimenti contribuiscono a cambiare il modo di intendere il nostro rapporto con le piante. Creano una sensibilità diversa».

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Il primo esperimento è iniziato il giorno 8 aprile 2021 e terminato dopo 3 mesi, al termine dei quali, la fioritura è stata di 4 fiori nel vaso delle piante che hanno ascoltato musica e di 2 fiori in quelle senza musica. Le piante con musica hanno fiorito una settimana prima di quelle senza musica. Mira, Venezia, 2021. Fotografia di Giampaolo Michieletto.

«Possiamo inquadrare le prove sperimentali di Sara e Giampaolo Michieletto nell’ambito più esteso della biofilia», commenta Giuseppe Barbiero, ​​docente di biologia e di ecopsicologia, e direttore del Groupe de Recherche en Education à l’Environnement et à la Nature all’Università della Valle d’Aosta. «I tentativi di comunicare con queste creature possono avere un effetto sia sulla pianta ma soprattutto sulla persona che conduce l’esperimento», prosegue Barbiero, «al momento non possediamo un linguaggio per entrare in relazione con le piante. Inoltre non sappiamo nemmeno se queste creature sono particolarmente interessate a comunicare con noi. Sara e Giampaolo hanno scelto la musica come mezzo per condurre il loro tentativo. Non sappiamo come le piante lo interpretano, ma sicuramente questo genere di iniziative apre lo sperimentatore a nuovi modi di entrare in relazione con le creature viventi».

L’eventuale reazione della pianta incide sul nostro modo di rapportarci a essa. Quello che conta, per davvero, non è tanto l’osservazione della pianta, quanto la relazione che si instaura. «L’essere umano ha una innata predisposizione a interessarsi al mondo vivente. Ci interessa la vita. Questa sensibilità si sta allargando sempre più. Aumentiamo la nostra connessione con la Natura, cerchiamo di apprendere le sue leggi e le sue manifestazioni per imparare a comportarci in maniera adeguata con essa» aggiunge Barbiero.

La musica delle (dalle) piante

I tentativi di instaurare un dialogo con le piante possono avvenire anche in senso opposto. È il caso della musica “ricavata” dalle piante, grazie a dispositivi dotati di elettrodi che trasformano gli impulsi in suadenti melodie ambience. Anche in questo caso, è necessario fare le opportune precisazioni. Monica Gagliano, ricercatrice in ecologia evolutiva, ha più volte spiegato che le piante possiedono i loro veri suoni e non hanno bisogno che gli umani diano loro dei suoni artefatti per poi interpretarli come “la voce delle piante”. In una intervista, la scienziata in forza al Biological Intelligence Lab della Southern Cross University, ha chiarito come si potrebbe utilizzare lo stesso strumento su un essere umano, ma «sarebbe immediatamente chiaro che quella non è la vostra voce, ma una mera sonificazione della vostra impedenza elettrica – niente a che fare realmente con la vostra voce o il vostro suono reale».
Il suono delle piante è molto più misterioso di quanto crediamo, e non sarà certo un segnale MIDI a farci capire ciò che le piante dicono.

Allo stesso modo, non abbiamo proprio idea di quale sia il modo giusto per farci ascoltare dalle piante. Sappiamo che esse comunicano, ma non abbiamo imparato il loro linguaggio. «È come se avessimo incontrato un popolo sconosciuto di cui non conosciamo la lingua, e dovessimo formare un interprete da zero. Abbiamo bisogno di qualcuno che impari la lingua, inizi a creare delle sintassi e su quello poi costruiremo un dialogo», chiarisce Giuseppe Barbiero, «iniziative di comunicazione con le piante, anche le più bizzarre, vanno comunque viste come il segno di una nuova sensibilità nei confronti degli organismi vegetali». Il nostro percorso verso la comprensione delle cose rimane imperfetto, quindi, ma funzionale allo sviluppo del nostro legame emotivo con la Natura.

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