Marmo di Carrara, il destino di un territorio in polvere

Il marmo di Carrara è conosciuto nel mondo come un materiale pregiato, simbolo del Rinascimento italiano. Ma oggi la sua estrazione ha scopi molto meno nobili e secondo alcuni impoverisce, invece che arricchire, l’area di Massa-Carrara.

11 minuti | 6 Maggio 2022

Testi di Gianluca Liva
Fotografie di Marcio Pimenta

Il marmo di Carrara è riconosciuto come uno dei marmi più pregiati al mondo. Si tratta del marmo estratto dalle Alpi Apuane, una catena montuosa parte del territorio delle province di Massa-Carrara e Lucca, nel nord-ovest della Toscana. L’estrazione di marmo ha una storia millenaria e ha plasmato e caratterizzato un intero territorio. Negli ultimi 30 anni, si è estratto più marmo che in tutti i secoli precedenti. Si tratta di un fenomeno che ha innescato un “cortocircuito” sociale, economico e ambientale.

Il mercato del marmo di Carrara

Il marmo di Carrara, estratto dalle cave già in epoca romana, è il materiale con cui sono state realizzate alcune delle opere artistiche e architettoniche più famose della storia. Uno degli esempi più celebri è il David di Michelangelo Buonarroti, simbolo del Rinascimento, e scolpito a partire da un blocco di inconfondibile marmo bianco. Oggi, la gran parte del marmo estratto dalle cave delle Alpi Apuane ha una destinazione d’uso decisamente meno nobile. 

Secondo i dati pubblicati dall’Istituto Studi e Ricerche (ISR) della Camera di Commercio di Massa-Carrara, nel 2020 il totale dell’escavato dalle cave carraresi ammontava a 2 milioni e 800mila tonnellate di materiale. A ciò si deve aggiungere il materiale escavato dalle cave di Massa – ben più modesto – che si attestava intorno alle 144mila tonnellate. Si tratta di cifre in diminuzione rispetto agli anni passati. Un fenomeno dovuto alla chiusura parziale dei mercati, diretta conseguenza della pandemia di COVID-19. Oggi queste cifre sono in risalita.

È necessario fare alcune distinzioni, per comprendere quelle che sono le destinazioni d’uso del materiale lapideo. Tutto ciò che viene estratto può rientrare in tre diverse categorie: materiale escavato, materiale lavorato e materiale che viene utilizzato per la produzione di prodotti chimici. Per “escavato” si intendono i blocchi di marmo grezzo, di diversa qualità, che a fine 2020 ammontavano a 360mila tonnellate. Per “lavorato” si indica il materiale che viene impiegato in loco, e che nello stesso anno di riferimento si aggirava sulle 170mila tonnellate.

marmo di carrara

Le cave di Carrara sono state esplorate sin dai tempi dell’antica Roma. L’estrazione del marmo ha ridisegnato il paesaggio. Carrara, Italia, 2019.

Carbonato di calcio, marmo in polvere

La gran parte di ciò che viene estratto dalle cave è rappresentato dai derivati dei materiali da taglio – tra cui il marmo – che viene impiegato sotto forma di carbonato di calcio. Si tratta di un sale inorganico utilizzato dalle industrie in una grande quantità di prodotti, come carta, dentifrici o pastasciutta. Oggi, la percentuale di marmo di Carrara destinata a usi artistici è quasi insignificante. 

«La quota in assoluto maggiore di marmo grezzo finisce in Cina e, in misura minore, in India. Il marmo di qualità inferiore viene esportato nei paesi del bacino mediterraneo. Il marmo lavorato – che ha un valore alto – è destinato ai mercati degli Stati Uniti, del Canada, dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti», spiega Massimo Marcesini, ricercatore dell’ISR, «il carbonato di calcio, invece, rappresenta una categoria a sé, che esce dal territorio sotto la voce prodotti chimici». 

Oggi, la percentuale di marmo di Carrara destinata a usi artistici è quasi insignificante. 

L’area che rientra nel comprensorio apuo-versiliese comprende le zone di Carrara, Massa e una parte della provincia di La Spezia. «Nel bacino di Massa-Carrara oggi esistono circa 100 cave, registrate e attive», prosegue Marcesini, «nella provincia, ci sono 700/800 addetti che lavorano al monte, direttamente nelle cave. Bisogna poi aggiungere 400 ditte attive di lavorazione al piano, che contano 2000/2500 lavoratori. Alcune attività si occupano della commercializzazione del materiale lapideo. Si tratta spesso di realtà molto piccole, a volte ditte individuali. Inoltre, bisogna considerare anche le attività di beni strumentali: produzione di abrasivi e di macchinari per l’estrazione o per la trasformazione. Il mondo del marmo è del tutto cambiato rispetto a 30 anni fa. L’intera filiera ha subito cambiamenti notevoli».

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Una filiera produttiva appesa a un filo (diamantato)

È innegabile che l’area di Massa-Carrara abbia un grave problema occupazionale. Dagli anni ’90 dello scorso secolo, il numero di persone impiegate nell’escavazione e lavorazione del marmo si è ridotto in modo inequivocabile. In parallelo, come già ricordato, la quantità di materiale estratto è cresciuta smisuratamente. I motivi di questa apparente contraddizione sono molteplici. 

Per secoli le cave hanno rappresentato il pane delle comunità locali, dalla montagna alla pianura. Da tre decenni non è più così. L’estrazione di marmo ha avuto un’impennata con l’avvento del filo diamantato, uno strumento che ha permesso di accelerare il taglio del materiale lapideo come mai prima. Oggi, in una giornata di lavoro si riesce a tagliare la stessa quantità di pietra che una volta si riusciva a ottenere in tre mesi. Inoltre, la meccanizzazione dell’intero processo estrattivo ha fatto sì che per gestire una cava sia sufficiente una manciata di operai. In passato ne occorrevano svariate decine.

Dagli anni ’90 il numero di persone impiegate nell’escavazione e lavorazione del marmo si è ridotto in modo inequivocabile. In parallelo, la quantità di materiale estratto è cresciuta smisuratamente.

Il marmo di Carrara viaggia lontano

La crescente esportazione all’estero del marmo grezzo – destinato a mercati ben più competitivi – ha soffocato gran parte della storica filiera locale. «Carrara è povera per colpa delle cave, lo dico e lo sottolineo. Le cave creano disoccupazione a Carrara», afferma Eros Tetti, fondatore del movimento “Salviamo le Apuane”, «oltre al filo diamantato e all’esportazione del materiale, è importante ricordare che l’accelerazione dei processi estrattivi deriva anche dalla scoperta, da parte dell’industria chimica e alimentare, delle potenzialità del carbonato di calcio. Raul Gardini [storico industriale e imprenditore, coinvolto nell’inchiesta giudiziaria di Mani Pulite, n.d.a.] vinse gli appalti per i filtri delle centrali a carbone dell’ENEL, che utilizzavano il carbonato di calcio». 

La svolta nell’estrazione di materiale lapideo dalle Alpi Apuane ha generato una lunga serie di controversie. Uno degli esempi è la “Strada dei marmi”, una strada lunga sei chilometri, realizzata nel 2012, per permettere ai camion di trasportare il marmo senza passare per il centro di Carrara. L’opera è costata quasi 120 milioni di euro, in gran parte messi dal Comune, che si fa carico anche degli ingenti costi di gestione e manutenzione. Queste spese – che ricadono sui contribuenti – non hanno fatto altro che accelerare il processo di impoverimento di un territorio. Oggi, non è più possibile considerare Carrara solo come capitale di uno storico distretto lapideo. L’area presenta tutte le caratteristiche di un distretto minerario, che comporta le dinamiche tipiche di un processo di saccheggio del territorio. Tra queste, non mancano i problemi ambientali.

marmo di carrara

Le cave di Carrara hanno prodotto più marmo di qualsiasi altro luogo al mondo. Carrara, Italia, 2019.

marmo di carrara

Il marmo di Carrara è bianco come la neve. Carrara, Italia, 2019.

Un problema anche ambientale

La maggior parte delle cave di marmo si trova sui rilievi montuosi in prossimità di Carrara. Altre, invece, sono presenti nell’area in cui, a metà degli anni ’80, è stato istituito il parco naturale regionale delle Alpi Apuane. Nel 1997, la Legge Regionale 65/1997 ha rimodellato il perimetro del parco con lo scopo di preservare alcune delle cave di marmo, da allora considerate come aree contigue. Il provvedimento ha fatto sì che, da allora, il parco fosse considerato una sorta di “gruviera”: ettari su ettari di zone protette intervallati dalle cave di marmo. 

Di recente, la situazione sembra essere migliorata ma la tutela ambientale e paesaggistica è ancora oggi ritenuta del tutto inadeguata. Il territorio del parco racchiude un patrimonio di biodiversità che continua a essere minacciato dall’attività estrattiva. In questo contesto, negli anni è nata una contrapposizione tra associazioni ambientaliste e i detentori delle concessioni per l’utilizzo delle cave. A oggi, è difficile intravedere una soluzione al problema.

L’inquinamento da marmettola

L’estrazione di marmo comporta anche altri impatti ambientali, in particolare sui corsi d’acqua della zona. «Il derivato dell’escavazione e delle operazioni di taglio si chiama “marmettola”, si tratta di carbonato di calcio che si insinua in tutti gli interstizi presenti in un fiume, blocca gli scambi idrici con le falde sottostanti, impedisce la crescita di specie vegetali che sono anche il nutrimento per molti animali», illustra Licia Lotti, fisica e dirigente ARPAT del Dipartimento provinciale di Massa-Carrara, «fino agli anni ’80 era comune osservare come i fiumi presentassero un colore lattescente. Da allora, una serie di iniziative, sia legali che di sensibilizzazione, hanno fatto sì che le sorgenti di inquinamento si siano ridotte e la situazione migliorasse».

Il territorio del parco racchiude un patrimonio di biodiversità che continua a essere minacciato dall’attività estrattiva.

«L’acqua ora viene filtrata e trattata a uso potabile prima dell’immissione nella rete idrica», puntualizza Licia Lotti, «tuttavia, il quadro complessivo rimane estremamente complicato, sia per la natura stessa del territorio che per alcune questioni oggettive. Nelle zone di taglio è previsto che l’acqua utilizzata per il raffreddamento del filo diamantato non si disperda sul piazzale ma che venga raccolta per poi essere inviata a un sistema filtrante. Si tratta, però, di una prescrizione. Se questo processo viene applicato in modo rigoroso, funziona. Non sempre è così. Allo stesso tempo, non è nemmeno possibile delegare tutto alle attività di controllo».

marmo di carrara

Ancora oggi, i blocchi vengono estratti dalle stesse gallerie in cui Michelangelo estrasse la pietra per la costruzione del David. Carrara, Italia, 2019.

Un nuovo dibattito per una nuova economia

Nonostante la molteplicità dei problemi appena descritti, la presa di coscienza da parte della popolazione, che vive in un contesto del tutto insostenibile, procede con lentezza. È molto difficile attuare un cambiamento culturale in una zona, quella di Massa-Carrara, in cui l’economia del marmo bianco ha scolpito per secoli la società. L’idea stessa di una chiusura definitiva delle cave – o di una loro significativa riduzione – viene ancora percepita come una mortificazione di un percorso storico che ha coinvolto decine di generazioni. 

Solo in tempi relativamente recenti, ha iniziato a svilupparsi un nuovo dibattito, grazie alla nascita di associazioni, collettivi e movimenti che lottano per garantire un futuro al territorio. Esistono già dei piani di sviluppo alternativo. La riconversione economica si potrebbe basare su una chiusura progressiva delle cave – portata avanti nel rispetto del sacrosanto diritto al lavoro – e il ripristino di una produzione artigianale di qualità. 

L’idea stessa di una chiusura delle cave viene percepita come la mortificazione di un percorso storico che ha coinvolto generazioni. 

Il futuro di un territorio

È impossibile, in questo articolo, riassumere tutte le vicende e le controversie che hanno portato alla situazione attuale. Il lavoro di persone come Franca Leverotti – professoressa ordinaria di Storia Medievale, ora in pensione – non può essere descritto in poche righe. Le sue ricostruzioni storiche permettono di fare luce su un intreccio di rapporti, relazioni e compromessi che descrivono nel profondo come si sia giunti a un presente sconvolgente.

Le nuove realtà ecologiste – formate da giovani, liberi dalle catene dell’abitudine – si impegnano con forza in un’opera di informazione e sensibilizzazione nei confronti del pubblico. Chi scrive ha avuto la possibilità di incontrare una rappresentanza di Athamanta, uno spazio di discussione nato nel 2020 dalla collaborazione di Casa Rossa Occupata e Fridays for Future Carrara. Raccontano come «il problema sia globale. Si tratta dei soliti meccanismi di grandi gruppi d’interesse che fanno profitto a spese della gente, e calpestano, quando possono, le leggi. Noi non cerchiamo lo scontro con chi lavora nell’estrazione del marmo. Vogliamo lottare contro la disillusione e il disinteresse che permea questi luoghi».

Il caso delle cave di marmo di Carrara è unico al mondo. La sua storia racchiude la sintesi di tutte le contraddizioni di un’economia malsana, fuori dal tempo, fondata sul baratto tra salute e lavoro, irrispettosa dell’ambiente e della collettività.

marmo di carrara

Il marmo di Carrara è stato utilizzato per alcuni degli edifici e delle sculture più notevoli, come il Pantheon, la Colonna di Traiano, il David di Michelangelo e altri. Carrara, Italia, 2019.

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