I Maori, una nuova guida per l’Antartide

La cultura tradizionale polinesiana è ricca di conoscenze sull'Antartide, esplorato da questi popoli già dal VII secolo. Secondo alcuni ricercatori, questi saperi indigeni dovrebbero essere inclusi nei processi decisionali.

5 minuti | 30 Luglio 2021

Nell’Artico, i gruppi e le associazioni indigene chiedono da molto tempo una maggiore integrazione delle conoscenze locali e tradizionali nella scienza e nei processi decisionali. Dopo tutto, si potrebbero usare le esperienze del passato per affrontare meglio l’ormai incerto futuro. Tuttavia, queste richieste non erano mai state avanzate per l’Antartide poiché si riteneva che non vi fosse una popolazione indigena. Alcuni studiosi, però, pensano che questa convinzione sia da rivedere. Due diversi studi condotti dai ricercatori Priscilla Wehi dell’Università di Otago e Krushil Watene della Massey University (Nuova Zelanda) hanno esaminato la storia dei Maori in Antartide. Si è scoperto così che la tradizione Maori è molto più ricca e le loro connessioni con l’Antartide sono molto più profonde di quanto si ritenesse.

Questi racconti descrivono acque ghiacciate e possenti scogliere bianche, che i ricercatori pensano siano descrizioni di iceberg e delle ripide pareti della Barriera di Ross.

Secondo uno studio del Journal of the Royal Society of New Zealand, alcuni racconti e incisioni polinesiane narrano dei viaggi – compiuti già nel VII secolo – di Hui Te Rangiora e dei suoi uomini nella vastità dell’Oceano del Sud e nelle profonde acque antartiche. Questi racconti descrivono acque ghiacciate e possenti scogliere bianche che i ricercatori pensano siano descrizioni di iceberg e forse delle ripide pareti della Barriera di Ross. Ma non solo: le ricerche hanno mostrato anche il legame tra i racconti del viaggio dell’esploratore Tamarereti alla ricerca dell’origine dell’aurora boreale e la sua figura di protettore dell’Oceano Antartico.

Maori in Antartide

Gli antichi polinesiani non sono stati però gli unici aborigeni a lasciare una traccia in Antartide. Nella pubblicazione, il team di autori si è focalizzato anche sulle conquiste Maori nell’esplorazione antartica. È il caso del marinaio Te Atu – conosciuto nei paesi di lingua anglofona col nome John Sac – che ebbe un ruolo importante nella prima spedizione antartica degli Stati Uniti, guidata da Charles Wilkes nel 1840. Anche negli anni successivi, gli esploratori che dalla Nuova Zelanda arrivarono in Antartide fecero affidamento sull’esperienza nautica e naturalistica dei Maori. I ricercatori hanno sottolineato come questi contributi siano stati molto spesso poco riconosciuti. Ad esempio, il Tuati Peak nella Terra della Regina Vittoria è stato chiamato così in onore degli esploratori indigeni; questo, tuttavia, è rimasto un caso isolato. Qualcosa però sta cambiando: lo studio, infatti, ha preso in analisi numerosi articoli scritti da ricercatori Maori. «Le narrazioni dei gruppi sottorappresentati e la loro connessione con l’Antartide rimangono scarsamente documentate e riconosciute nella letteratura di ricerca», scrive il team nello studio. «Questo documento inizia a colmare questa lacuna».

Tra la punta più meridionale della Nuova Zelanda e il limitare della Barriera di Ross (la più grande piattaforma glaciale antartica) si estendono quasi 3500 km di mare aperto, che furono attraversati dai Maori. Foto di Michael Wenger.

La tradizione per affrontare il cambiamento

Un secondo studio – pubblicato sulla rivista Nature Ecology and Evolution – ha messo in luce la lunga storia che lega i Maori con l’Antartide. Ha mostrato, per esempio, come le narrazioni e la filosofia degli indigeni della Nuova Zelanda siano in grado di fornire una prospettiva nuova per affrontare i cambiamenti che stanno interessando Antartide. «Le concezioni globali dell’Antartide sono dominate da narrazioni coloniali», spiega Priscilla Wehi. «Ma la tradizione Maori offre una visione d’insieme utile per la gestione e la conservazione dell’Antartide. Includere le conoscenze ambientali dei popoli indigeni migliora la nostra capacità di capire, monitorare, pianificare e adattarsi alla variabilità e del clima. Ma può anche offrire visioni globali alternative da mettere in pratica».

Le concezioni globali dell’Antartide sono dominate da narrazioni coloniali. La tradizione Maori offre una visione d’insieme utile per la gestione e la conservazione dell’Antartide.

Krushil Watene crede che i contributi dello stile di vita Maori nel corso della storia possano dare un importante sostegno al futuro dell’Antartide, sia politicamente che socialmente. Perché le sfide che l’Antartide e l’umanità devono affrontare sono enormi. «Dobbiamo essere audaci e coraggiosi nel tracciare un futuro in cui il nostro pianeta possa prosperare» spiega Watene. «La filosofia, e quella indigena in particolare, offre prospettive importanti e preziose attraverso le quali possiamo tracciare gli scenari futuri».
I Maori hanno lasciato tracce del loro passaggio nelle isole sub-antartiche. Per esempio, sull’Isola Enderby, circa 500 km a sud della Nuova Zelanda, sono stati trovati resti archeologici che testimoniano la presenza dei Maori. Queste isole erano fonti di cibo – come foche e pinguini – ma anche di acqua dolce. Foto di Michael Wenger.

La versione originale di questo articolo è stata pubblicata su PolarJournal, sito di informazione che racconta le zone polari, con notizie di politica, cultura, scienza, turismo, storia.

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  • Michael Wenger

    Michael Wenger è un biologo marino e appassionato di esplorazione delle zone polari; si occupa di diffondere la conoscenza di queste aree con viaggi, conferenze e articoli.

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