L’uomo che allevava le lucciole

Per studiare il comportamento delle lucciole, un fotografo naturalista ha deciso di allevarle, con non poche difficoltà. Conoscere meglio questi affascinanti coleotteri potrebbe aiutarci a capire se, in Italia, le lucciole stiano ritornando.

5 minuti | 18 Giugno 2021

Illustrazioni di Eliana Odelli

«Nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più».

A distanza di quasi mezzo secolo dalla celebre lettera di Pier Paolo Pasolini, l’Italia si è progressivamente disinteressata della sorte delle lucciole. Terminata l’epoca d’oro delle pubblicazioni scientifiche, negli anni ’80 lo studio di questa famiglia di coleotteri è stato quasi del tutto abbandonato e così – sebbene negli ultimi tempi le osservazioni dei naturalisti sembrino suggerire un timido ritorno di questi insetti evocativi – non c’è modo di confermare o smentire la tendenza.

«Sappiamo tutto della loro luminescenza: la genetica che ne sta alla base, la biochimica dell’enzima luciferasi e iniziamo a comprenderne pure il linguaggio – spiega il fotografo naturalista Domenico Barboni – peccato che non conosciamo l’animale che la produce».

Allevare le lucciole

Appassionato di comportamento animale, interesse che lo ha spinto a documentare di persona la migrazione della rondine dall’Italia al Sudan, da dieci anni Barboni porta avanti un progetto sulle lucciole che in Italia è unico nel suo genere.

Studiare il comportamento di animali la cui forma adulta vive una decina di giorni, è visibile solamente un paio di ore in tarda serata e per poco più di un mese all’anno scoraggerebbe la maggioranza delle persone. Barboni non si accontenta dei pochi flash rubati dalla macchina fotografica dopo il tramonto e così inizia la raccolta di alcune larve di Lampyris noctiluca, una delle specie più diffuse, che deposita nel terrario di casa. A queste, seguiranno Luciola italica, Luciola lusitanica e Lamprohiza splendidula.

un lavoro terribilmente complicato

Allevare lucciole è terribilmente complicato: serve mantenere costanti le giuste condizioni di temperatura e umidità, sfamare le larve con chiocciole vive, pazientare due anni e cinque mute perché si impupino e quindi emergano come adulti. Solamente in questo momento diventa possibile distinguerne il sesso: per documentare il corteggiamento, Barboni ha dovuto attendere la schiusa di un maschio, arrivata solamente dopo venti femmine. «Un rapporto dei sessi così sbilanciato potrebbe dipendere dalla cattività – ipotizza Barboni – poiché in natura è addirittura l’opposto».

Gli individui dei due sessi sono molto diversi, sia come aspetto sia come comportamento. I virtuosismi luminosi che rallegrano le serate estive sono opera dei maschi mentre le femmine, che non volano, rimangono nascoste nella vegetazione segnalando la propria presenza solamente a un maschio della stessa specie quando transita vicino. La breve vita giustifica la frenesia nella ricerca del partner: l’accoppiamento avviene dopo pochi giorni dalla schiusa e si conclude con la deposizione di una cinquantina di microscopiche uova.

Femmina che ha deposto le uova. Fotografia di Domenico Barboni.

Caccia alle lucciole

Con questo affascinante esperimento – culminato con la pubblicazione di un libro giunto alla seconda edizione – Barboni vuole riavvicinare la gente alle lucciole nella speranza che un maggior numero di occhi implichi un maggior numero di segnalazioni.

«È plausibile che le lucciole in tempi recenti stiano facendo il loro ritorno anche nelle nostre città, ma non abbiamo sufficienti dati per affermarlo» spiega il biologo Giuseppe Camerini. Dal 2003 Camerini continua a studiare per conto proprio la specie Luciola lusitanica, intrattenendo frequenti rapporti con la rete dei cosiddetti “lucciologi” attivi in Europa.

Conosciamo poco le nostre lucciole ed è un peccato. Tra i paesi europei, l’Italia è tra quelli che ospita la maggiore biodiversità: le specie di Lampiridi segnalate sul nostro territorio sono una ventina, ma sulla presenza di alcune gli stessi esperti sono cauti: «Sono decenni che alcune specie non vengono osservate, mentre per altre servirebbero analisi genetiche per confermare il loro status di specie» prosegue Camerini. Paradossalmente, in un Paese dall’orografia così complessa, non è nemmeno da escludere che ne esistano altre: piccole isole e rilievi montuosi potrebbero nascondere specie finora sconosciute.

Lucciole al crepuscolo, lungo un fosso. Fotografia di Domenico Barboni.

un database nazionale per le lucciole

Snobbata dall’accademia, la passione per questi coleotteri resiste fortunatamente tra gli entomologi dilettanti e gli amanti della letteratura. Sono infatti numerose le associazioni culturali che nei mesi di maggio e giugno organizzano serate contemplative nelle quali abbinare la “caccia alle lucciole” alla declamazione di poesie. Parallelamente vanno anche diffondendosi iniziative di riqualificazione urbana volte a ricreare quegli ambienti, a loro congeniali, esenti da cementificazione, inquinamento luminoso e scomparsa delle siepi.

Sul modello inglese, la speranza è di istituire un database nazionale nel quale i cittadini possano segnalare luogo, ora e data degli avvistamenti per dare finalmente una risposta a Pasolini. A questo proposito, nel maggio del 2020 è stato inaugurato un sito dedicato alle lucciole italiane. Nel sito è possibile verificare la situazione aggiornata relativa alle specie segnalate in Italia e reperire informazioni e curiosità sulla loro biologia. Perché, in fondo, le lucciole non hanno mai davvero abbandonato il nostro territorio. Semplicemente sono sparite dall’attenzione delle persone, non più abituate alla campagna e ai suoi piccoli miracoli.

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  • Davide Michielin

    Davide Michielin è biologo e giornalista. Collabora regolarmente con la Repubblica e Le Scienze occupandosi di temi a cavallo tra la salute e l’ambiente. Attualmente è Senior Scientific Manager presso il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) e docente al Master in comunicazione della scienza dell’Università Vita-Salute San Raffaele.
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    Eliana Odelli è art director, illustratrice, grafica, designer e autrice. Co-fondatrice del collettivo artistico Balene In Volo.
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