Negli ultimi vent’anni, l’area su cui si trova il villaggio è stata portata via, metro dopo metro, dalla forza delle onde.
Stretto in un lembo di terra tra la foce del Volta e la costa dell’Oceano Atlantico si trova quello che resta di Fuvemeh. Fino al 1993, questo villaggio del Ghana era una prospera comunità di 2.500 abitanti, che vivevano di pesca e delle piantagioni di palme da cocco situate su una spiaggia lunga centinaia di metri. «Dalla mia casa, il mare non si vedeva», assicura David Buabasah, pescatore. «Per raggiungerlo dovevo prima attraversare le palme e poi una collina». Ma negli ultimi vent’anni, l’area su cui si trova il villaggio è stata portata via, metro dopo metro, dalla forza delle onde. L’innalzamento del livello del mare e l’erosione della costa, non più alimentata dai sedimenti del Volta, hanno fatto sparire centinaia di metri di terra: prima la spiaggia, poi le piantagioni, fino alle case. Per anni, gli abitanti di Fuvemeh sono sopravvissuti demolendo le loro semplici abitazioni in mattoni e ricostruendole lontano dalla costa. La casa di Buabasah un tempo si trovava sul lato del villaggio che dava sul fiume; nel 2016, quando è stata sommersa dalla marea per la prima volta, si trovava direttamente di fronte all’oceano.
Fuvemeh è solo un esempio di un fenomeno molto più vasto che colpisce più di 7000 km di coste in tredici paesi dell’Africa Occidentale.
Negli ultimi anni, le alte maree eccezionali alla foce del Volta sono diventate sempre più frequenti e sempre più forti: dal 2016 al 2019 ce ne sono state ben quindici. Le onde di marea hanno distrutto migliaia di case, riducendo il lembo di terra su cui si trova Fuvemeh a poche decine di metri. La maggior parte degli abitanti del villaggio è fuggita, raggiungendo familiari in comunità vicine. Secondo la ONG Plan Volta Foundation, a Fuvemeh resistono ancora tra le 30 e le 50 persone, che attendono ancora un piano di ricollocamento da parte del governo.
Fuvemeh è solo un esempio di un fenomeno molto più vasto che colpisce più di 7000 km di coste in tredici paesi dell’Africa Occidentale, dalla Mauritania fino al Camerun. Lungo queste coste, l’azione delle onde provenienti da sud e sud-ovest trasporta un flusso continuo di sabbia e sedimenti verso est. I primi resoconti che documentano l’erosione della zona risalgono al 1929, ma oggi il fenomeno si sta aggravando sempre di più, a causa dell’innalzamento del livello dei mari dovuto al riscaldamento globale.
Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (o IPCC), l’organo delle Nazioni Unite che studia lo stato della ricerca sul cambiamento climatico, entro il 2100 il livello medio dei mari si alzerà globalmente tra i 29 e i 59 cm (in base a uno scenario in cui le emissioni di gas serra vengano drasticamente ridotte), o tra i 61 e i 110 cm (in base al peggiore degli scenari possibili). A causa dell’aumento della temperatura dell’atmosfera, le acque dei mari si scaldano e diventano meno dense, occupando più spazio, mentre i ghiacciai polari e quelli montani fondono, andando ad alimentare ulteriormente le masse d’acqua degli oceani. Secondo le stime dell’IPCC, nel corso dei prossimi secoli i livelli dei mari continueranno a salire, rimanendo elevati per millenni.
Oggi su queste coste le onde spazzano via fino a decine di metri di terraferma all’anno. «In Africa Occidentale le infrastrutture e le attività economiche sono concentrate nelle zone costiere, perciò l’innalzamento del livello del mare minaccia le nostre fonti di reddito e la nostra stessa esistenza. Siamo seduti su una bomba ad orologeria», spiega Kwasi Addo Appeaning, direttore dell’Istituto per gli Studi sull’Ambiente e l’Igiene del Dipartimento di Scienze Marine e della Pesca all’Università del Ghana.
Secondo i dati della Banca Mondiale, nei paesi dell’Africa Occidentale colpiti dall’erosione le aree costiere ospitano circa un terzo della popolazione, e generano il 56% del PIL complessivo.
L’oceano ha già distrutto intere comunità costiere e minaccia alcune tra le città più dinamiche della regione. Situata a pochi metri sopra il livello del mare, l’area metropolitana di Lagos, in Nigeria, è popolata da 21 milioni di abitanti e subisce inondazioni sempre più frequenti. Anche la capitale del Ghana Accra – una città di 5 milioni di abitanti in cui si concentrano le attività produttive del Paese – sorge su una linea di costa fortemente colpita dall’erosione. La zona meridionale di Nouakchott, in Mauritania, perde circa 20 metri di spiaggia all’anno. L’erosione della costa ha danneggiato anche diversi alberghi in Gambia e in Senegal, dove il turismo riveste un importante valore economico, e le strutture di depurazione delle acque di Cotonou, capitale economica del Benin.
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La spiaggia di Agbavi, un villaggio del Togo situato a un centinaio di chilometri a ovest di Fuvemeh, è ormai una sequenza desolata di edifici distrutti. «Un tempo la strada statale passava laggiù, tra la mia prima e seconda casa», spiega Togbe Agbavi Koffi, capo del villaggio, indicando un punto imprecisato dell’oceano. «Anche la mia terza casa sta per essere inghiottita dal mare. Vorrei piangere, ma un capo non può farlo». L’innalzamento del livello dell’oceano non è l’unico effetto del riscaldamento globale. Le temperature in aumento stanno anche portando alla migrazione del patrimonio ittico, riducendo alla fame i pescatori locali. L’erosione e la salinizzazione dei terreni, causate dalla risalita delle acque marine, hanno ridotto le aree coltivabili e contaminato le riserve di acqua dolce.
«L’immigrazione clandestina è tra le preoccupazioni principali dei paesi ricchi, ma le migrazioni sono causate proprio dalla povertà e dai cambiamenti climatici», spiega Fredua Agyeman, Direttore del Dipartimento Ambientale presso il Ministero dell’Ambiente, della Scienza, della Tecnologia e dell’Innovazione del Ghana. «Finché in Africa persisterà questo problema, nessuna barriera, poliziotto o guardiacoste potrà impedire alla gente di arrivare in Europa».
Oltre all’estrazione illegale di sabbia, venduta come materiale di costruzione nelle grandi città della zona e in Asia, anche lo sfruttamento delle foreste di mangrovie aggrava l’erosione delle coste. Le mangrovie formano infatti un cuscinetto naturale che protegge la costa dall’impatto delle onde.
La città di Keta, nella parte orientale della costa ghanese, mostra come le difese ingegneristiche possano essere un’arma a doppio taglio.
Un metodo alternativo consiste nel ripristinare le spiagge pompando grandi quantità di sabbia direttamente dal fondale. Questa soluzione è però molto costosa, e deve essere ripetuta regolarmente per rimpiazzare la sabbia che viene nel frattempo erosa dall’oceano. Il pompaggio della sabbia può inoltre seppellire i nidi di alcuni animali, come le tartarughe marine, o contenere specie aliene che mettono a rischio quelle locali.
La città di Keta, nella parte orientale della costa ghanese, mostra come le difese ingegneristiche possano essere un’arma a doppio taglio. Un tempo prospero centro commerciale nella regione del Volta, a partire dagli anni ’60 Keta ha subito una grave erosione costiera che ne ha irrimediabilmente danneggiato l’economia, portando all’esodo di più di metà della popolazione. Fort Prinzenstein, un forte di epoca coloniale che all’inizio del ’900 si trovava nel centro città, ora giace sulla riva del mare, parzialmente distrutto dalle onde. Il centro e gli eleganti palazzi storici sono immersi in un’atmosfera spettrale.
Far fronte all’erosione costiera potrebbe costare tra il 5 e il 10% del PIL dei paesi colpiti dal fenomeno. Fra le strategie di adattamento possibili ci sono una migliore gestione delle coste, oltre che la ricostruzione delle infrastrutture lontano dalla costa e l’evacuazione delle comunità maggiormente esposte al pericolo.
Ma una soluzione a lungo termine non sarà possibile senza un ripensamento globale del nostro modello di sviluppo. «Se non riusciremo a trovare un equilibrio tra la nostra insaziabile sete di modernità e la necessità della natura di rigenerarsi, non risolveremo mai i nostri problemi, a prescindere dai progressi scientifici o tecnologici» riflette Agyeman. «Ci consideriamo civilizzati perché siamo andati sulla Luna, ma fin quando non troveremo un modo di convivere pacificamente con l’ambiente non avremo raggiunto nulla».
(NdR: Tutti i virgolettati sono stati tradotti dagli autori.)