Claudio Smiraglia osserva la colorazione del ghiaccio in una grotta dei Forni. Insieme a Guglielmina Diolaiuti, entrambi glaciologi dell’Università degli Studi di Milano, ha osservato nel tempo il cambiamento della pelle del ghiacciaio lombardo e dice: «Il ghiacciaio dei Forni, come lo conoscevamo, non esiste più».
Roberto Ambrosini, professore di Ecologia presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università di Milano, cammina sul ghiacciaio del Belvedere, in Piemonte. Questo è un ghiacciaio tutto particolare, molto raro nelle Alpi. Qui, una grande quantità di sabbia, limo, e blocchi rocciosi coprono il ghiaccio ed il loro spessore è tale da formare perfino una sorta di coperta naturale, rallentando la fusione della massa di acqua congelata. Ambrosini studia un microcosmo del tutto particolare, le crioconiti. Queste non sono altro che pozzette di ghiaccio formate da polveri scure e fini che mentre fondono creano il loro micro-ambiente. All’interno di queste piccole pozzette accade di tutto: una serie di batteri comincia il ciclo della vita e, hanno scoperto Ambrosini e colleghi, questi riescono perfino a decomporre alcuni composti aerei prodotti dalle attività umane e cancerogeni. I biologi hanno anche visto che all’interno delle crioconiti si concentrano prodotti radioattivi: “Abbiamo misurato una notevole radioattività ancora risalente all’esplosione di Chernobyl”, spiega Ambrosini.
Ma ciò che più colpisce l’occhio di un visitatore degli anni 2000 è il contrasto tra le isole di roccia rossa, marrone o grigia, perfino all’interno dei ghiacciai, che si stanno assottigliando. Il ghiacciaio dei Forni oggi è frammentato in tre rami minori ancora in contatto ma presto del tutto separati. L’aumento della esposizione delle rocce comporta un aumento dei sedimenti e quindi l’effetto di “darkening”.