La biodiversità non si mangia

Parlare di biodiversità in tavola è evocativo, ma fuorviante. Un'analisi (un po' velleitaria) per esercitarci a usare il concetto di biodiversità in modo più corretto.

3 minuti | 23 Settembre 2020

Biodiversità in tavola, biodiversità alimentare, biodiversità agricola, sono espressioni comuni che arricchiscono il racconto della incredibile varietà di alimenti, animali e vegetali, che nel corso dei millenni l’essere umano ha selezionato.

Il movimento del biologico e di quelli che cercano un modo per promuovere un’alimentazione sostenibile, prodotta “in piccolo” e fatta di unicità, si appoggia sempre più spesso a questo concetto etereo e concreto allo stesso tempo, tanto affascinante quanto poco immediato: la biodiversità, appunto.

Però.

Al di là del racconto, che sappiamo benissimo essere parte fondamentale del processo di diffusione di un pensiero, c’è una importantissima questione di concetto, che rende la parola biodiversità davvero poco adatta a quel tipo di utilizzo.

La biodiversità, la bellissima espressione creata per descrivere l’enorme complessità degli ecosistemi, ci ha messo degli anni per passare dall’ambito scientifico all’uso comune, ma oggi è letteralmente sulla bocca di tutti.

In campo scientifico non c’è una vera e propria unanimità riguardo al significato del termine

Una delle definizioni più complete del concetto di biodiversità è quella del 1994 di Noss e Cooperrider in Saving Nature’s Legacy, che la descrivono come «la varietà della vita e dei suoi processi. Comprende la varietà degli organismi viventi, le differenze genetiche tra di loro, le comunità e gli ecosistemi in cui si trovano, e i processi ecologici ed evolutivi che li rendono funzionali, sempre nuovi e in continua evoluzione e adattamento». Una definizione estremamente complessa, che va ben oltre il senso di biodiversità alimentare, che si può riassumere in una conta della quantità di varietà alimentari e delle differenze genetiche tra di esse.

Va detto comunque che in campo scientifico non c’è una vera e propria unanimità riguardo al significato del termine. Nel corso degli anni, alcuni hanno definito la biodiversità come concetto strettamente quantificabile, quindi ad esempio “il numero di specie e le relative abbondanze”, altri invece come una caratteristica qualitativa di un ecosistema.

In un interessante trattato del 1996, in cui si analizza a fondo la parola e il suo significato, il biologo Don C. de Long jr, afferma che «delle 85 definizioni di biodiversità prese in esame, tutte tranne una considerano la biodiversità come uno status o un attributo [di un determinato ecosistema]».

La biodiversità è una caratteristica intrinseca di un ambiente, non un’unità di misura

Quindi, d’accordo con buona parte degli scienziati che hanno affrontato l’argomento (e da allora le cose non sono cambiate di molto), possiamo affermare abbastanza tranquillamente che la biodiversità è una caratteristica intrinseca di un ambiente, non un’unità di misura.

Detto questo, serve un inciso: la misurazione della biodiversità è un aspetto importantissimo per la gestione del territorio, i politici e gli amministratori purtroppo hanno molta più dimestichezza coi numeri che con i concetti e hanno bisogno di strumenti semplici e immediati. Quantificare la biodiversità rende sicuramente più facile individuare obiettivi e raggiungere risultati. Per questo motivo nel corso degli anni sono stati numerosi i tentativi di quantificare la biodiversità, attraverso indici, valori, specie particolarmente rappresentative (è piuttosto conosciuta la relazione positiva tra presenza di predatori e biodiversità).

Nonostante questo, però, il concetto rimane comunque abbastanza sfuggente e sembra più adatto a una definizione qualitativa, piuttosto che quantitativa.

In pace con questa definizione, appare da subito chiaro quanto sia riduttivo parlare di biodiversità alimentare per riferirsi a quello che in realtà è un conteggio numerico di tipologie di organismi. Dico tipologie perché se parliamo di cibo, specialmente per quanto riguarda i vegetali, molto spesso le differenze tra le varietà sono molto sottili, un esempio: il pomodoro, della famiglia delle Solanaceae, è una delle specie vegetali più diffuse e utilizzate per l’alimentazione umana; ne esistono oltre 500 varietà, diverse per forma, sapore, colore e caratteristiche. Eppure tutta questa enorme mole di tipologie appartiene a un’unica specie, Solanum lycopersicum, quindi con una variabilità genetica limitata e un ruolo ecologico di certo non molto diverso.

La parola giusta per definire quella cosa esiste: è la ricchezza

Ora, io non voglio assolutamente sminuire la stupenda diversità dei pomodori (Dio salvi i cuori di bue), dico solo che non vorrei che pensassimo che un orto con 50 varietà diverse di verdura sia più biodiverso di un boschetto bruttino con 4 specie di alberi e una ventina di piante erbacee.

Giunti al termine del ragionamento (crociata), la parola giusta per definire quella cosa esiste ed è anche piuttosto affascinante: è la ricchezza, ed è solo una delle molte parti che compongono la biodiversità.

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  • Francesco Martinelli

    Francesco Martinelli è un naturalista e giornalista scientifico. Si occupa di natura e conservazione, con particolare attenzione per la sostenibilità ambientale e culturale dell’entroterra italiano.
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