Strette nelle valli che circondano il Parco Naturale del Karakorum, un territorio dominato da possenti guglie granitiche che raggiungono, toccano, e superano i 7000 metri di altitudine, le donne stanno cominciando a riprendere uno spazio fino ad ora negato a causa di una rigida interpretazione della religione islamica. In quella catena montuosa, dove sorge la seconda montagna più alta al mondo, il K2 (8400 metri), potrebbe sorgere una nuova primavera per le donne del Pakistan.
La regione del Gilgit-Baltistan è nell’angolo più estremo del Paese. I suoi confini sono tratteggiati, contesi ancora con la Cina da un lato, e con il Kashmir indiano dall’altro. Questi ultimi sono confini che vivono un conflitti pluridecennale. A ovest, invece, il Gilgit-Baltistan confina con l’Afghanistan. Da qui giungono frequenti incursioni talebane a ricordare che alcune scelte religiose e culturali possono anche seguire una linea dura, violenta.
L’ora della preghiera serale nella valle del fiume Hunza dove si trova Karimabad la città più importante. Sullo sfondo il monte Rakaposhi, 7788 m. Pakistan, 2018.
L’emancipazione femminile corre lungo l’antica Via della Seta, nel karakorum
Eppure è in questa ultima casella angolare di un puzzle di culture e regioni climatiche che sta avvenendo ciò che nelle grandi pianure e nelle città pakistane ancora sembra essere lontano. Le donne stanno forzando, con la forza della inventiva, dell’unione, e dell’intraprendenza, quel blocco culturale che una società altrimenti fortemente patriarcale ha imposto per molte generazioni.
A Karimabad, nella valle di Hunza l’hijab è una scelta e non tutte le donne lo indossano. Le lavoratrici e le imprenditrici quando parlano con un uomo, con uno straniero, lo guardano negli occhi. Gli stringono la mano. Forse non è un caso che questa rivoluzione accada qui, dove per secoli lungo la Via della Seta prima, e la Karakorum Highway ora, sono passate conoscenza, spezie, ricchezze, e con loro esploratori ma anche armate. E dove si segue la dottrina Ismaili, un ramo moderato (anche grazie alla direzione dell’Aga Khan) della minoranza islamica sciita.
Nel Gilgit-Baltistan non è raro incontrare donne imprenditrici o lavoratrici. Cosa altrimenti rarissima in Pakistan, soprattutto nei villaggi contadini, e riservata a poche donne appartenenti alle classi abbienti delle grandi città come Islamabad o Karachi.
Una via di fuga dalla povertà
Nasreen Rani, per esempio, è co-fondatrice del primo laboratorio di taglio e vendita di gemme completamente femminile a Karimabad, antica capitale di Hunza. Il suo negozio, aperto nel 2014, consiste in pochi metri quadrati pieni di vetrine in cui brillano cristalli e pietre di ogni colore, è a due passi dalla maestosa e antica reggia del raja di Hunza.
Rani seleziona, taglia, commercia in pietre preziose come ametiste, zirconi e topazi. Ora le spedisce perfino in Giappone. La sua famiglia, inizialmente scettica, ha compreso il valore di avere in casa una donna lavoratrice: «Ora, grazie al mio lavoro, possiamo mandare la mia piccola sorella a studiare a Gilgit», dice. Rani conosce bene il valore dell’educazione. «Il mio desiderio ora sarebbe di poter impiegare più giovani donne, ma siamo agli inizi, per ora possiamo lavorare in tre», spiega presentando le sue due partner.
La signora Nasreen Rani gestisce un negozio-laboratorio dove vengono intagliate pietre preziose e realizzati gioielli originali. Questo laboratorio è interamente gestito da donne. Karimabad, Pakistan, 2018.
A pochi passi dal negozio di pietre c’è invece il ristorante di Lah Shahzaeli e sua cugina. Qui si mangiano solo piatti tipici di Hunza, come il caratteristico cheese chapati, preparato al momento e di fronte agli ospiti. La gerente dello Hunza Food Pavillon lo considera Hub del cibo tradizionale, come cita l’insegna. La donna ha due figli e il ristorante la impegna molto. «In molti ancora mi chiedono perché lavoro e non sto invece a casa, ma io sono fiera del mio lavoro, il mio nome è conosciuto».
Le richieste di lavoro adesso arrivano anche dagli uomini
Poco lontano dal laboratorio di pietre preziose e dal ristorante di Lah Shahzaeli sorge invece la falegnameria delle donne. Fa parte delle attività della Ciqam, una organizzazione fondata dal Karakorum Area Development Organization, con il supporto dell’Aga Khan e di donatori norvegesi e francesi. La Ciqam è stata creata nel 2003 con lo scopo di supportare le donne che vivono in aree rurali. Per raggiungerla si costeggiano campi coltivati a grano o alberi di albicocche, qui il verde dell’oasi di Karimabad crea un forte contrasto con le rocce color ruggine della valle.
La falegnameria, il cui rumore si inizia a sentire già da lontano, fornisce lavoro a circa 20 donne ed è uno dei successi maggiori della regione. Si trova ai piedi dell’antica fortezza Baltit di Altit, torre di guardia della valle, anticamente a protezione della Via della Seta, spesso oggetto di attacchi da parte di briganti.
Aqueela Bano, la giovane manager della carpenteria dice che per una donna trovare lavoro è molto difficile: «Le differenze di classe sono ancora molto sentite. Le classi più abbienti non si interessano della povertà, ma noi abbiamo lavoratrici che grazie a questo lavoro stanno emergendo dalla povertà», spiega. Poi però aggiunge: «Gli uomini ci chiedono perché lo facciamo, perché non facciamo come tutte le altre. Sono soprattutto le classi più benestanti a chiederlo, non accettano l’idea che una donna possa lavorare. Ora abbiamo richieste di lavoro anche da uomini, che però per il momento rifiutiamo. Loro possono muoversi, possono viaggiare, possono spostarsi a Karachi o all’estero, per le donne non è lo stesso. Le donne non lasciano la valle o il Pakistan da sole».
La signora Lah Shahzaeli insieme alla cugina conduce un piccolo ristorante per gente del luogo e viaggiatori. Questa attività economica rende indipendenti le due donne. Karimabad, Pakistan, 2018.
Nel Karakorum la rivoluzione è un cosa da donne
Forse fare la rivoluzione è cosa da uomini, si potrebbe pensare. Si fa con le barricate e la baionetta. Ma una rivoluzione femminile ha maggior probabilità di successo se compiuta attraverso l’educazione, con la formazione professionale, con l’intraprendenza. Con queste si possono vincere altre barricate: quelle culturali e sociali che reprimono le donne all’interno di alcune società. Questa è, almeno, la strategia che hanno deciso di seguire anche le ragazze del paese di Shimshal. Il paese sorge a 3100 metri di altitudine e una trentina di chilometri dalla Cina (in linea d’aria perché separati altrimenti da montagne invalicabili), talvolta rimane isolato per settimane, quando valanghe o frane lo tagliano fuori dal mondo.
Nel 2016 due giovani ragazze hanno fondato la Gilgit-Baltistan Girls Fooball League, il primo torneo giovanile femminile del Pakistan. L’evento nato in un paese contadino di alta montagna ora sta dilagando in tutta la regione del Karakorum. Tra i premi per le squadre vincenti e le migliori giocatrici c’è la possibilità di studiare nel capoluogo della regione.
L’emancipazione qui passa anche attraverso lo sport
Da quando questa attività ha mosso i primi passi le cose sono già molto cambiate, complici i social media, su cui sono condivisi fotografie e commenti che stanno favorendo l’espandersi del desiderio di emancipazione, anche attraverso lo sport. E anche attraverso sport considerati soprattutto maschili. Tant’è vero che nell’inverno passato ad Altit si è giocato anche il primo campionato di hockey su ghiaccio femminile. Iniziano ad esserci le prime guide turistiche donne, che accompagnano donne nelle valli del Gilgit-Baltistan.
Una partita di calcio d’allenamento a Pasu. In questa piccola località tra le montagne del Karakorum, attraverso il gioco del calcio si sta sviluppando il “germe” dell’emancipazione femminile. Per le ragazze di Pasu il gioco del calcio non è soltanto un momento di sport, ma il modo più semplice per dare un segnale di cambiamento in una società patriarcale dove la donna ha poco spazio per emergere. Pakistan, 2018.
Echi di quanto sta avvenendo nelle remote regioni del Karakorum stanno però raggiungendo Skardu, la città principale del Baltistan e del nord del Pakistan. Skardu è un’oasi immensa sulle sponde dell’Indo. Da qui sono passati tutti, dai persiani agli artiglieri di Sua Maestà la regina d’Inghilterra, e tutti con l’idea di conquistare, di appropriarsi di ricchezze e territori. Qui, nuotando contro la corrente dello scetticismo degli uomini, Shahina Batool è diventata elettricista. A Skardu l’influenza ismaili è più rarefatta rispetto alle correnti islamiche dominanti e più conservative. Per la donna provare la strada imprenditoriale, penetrare in una professione da sempre dominio maschile, è stato più difficile. Ma nel Gilgit-Baltistan difficile non significa impossibile.
«Mi chiedevano perché facessi un lavoro da uomini» mormora da sotto uno spesso hijab, e comunque accompagnata da uno dei figli. «Non so da dove nasca, ma ho sempre pensato di avere un talento particolare per riparare e sistemare oggetti elettrici, e quindi ho fatto ciò che ritenevo giusto», cioè ha fatto del talento che si sentiva di possedere una professione. L’unico spazio che si è potuta permettere però è un piccolo locale, in una strada secondaria, in una zona povera della città. Ma il talento e la motivazione non passano inosservati. «Ora hanno visto che riesco a fare perfettamente questo lavoro e sempre più clienti si affidano a me. Certo, mi faccio pagare meno di altri elettricisti. Forse anche per questo ora cominciano a venire da me, ma mi affidano incarichi sempre più importanti», dice.
Shahina Batool davanti al suo laboratorio di elettricista dove vende accessori e ripara piccoli elettrodomestici. Il suo sogno è poterne aprire uno in una zona centrale della città. Skardu, Pakistan, 2018.
Sale il tasso di alfabetizzazione, scende il tasso di criminalità
Skardu sulla carta non sembra poi così lontano da Gilgit e da Karimabad, e da lì a Shimshal, ma a separarli ci sono forre tagliate nella roccia emersa dagli abissi del Pianeta, e strade a dirupo su fiumi dalle acque impetuose del colore del caffelatte. Ma soprattutto non c’è quella base culturale che permette, seppure a fatica, a Karishma e Sumaira di lanciare la loro rivoluzione. Non a caso in questa regione il grado di alfabetizzazione è del 96%, mentre nel resto del Pakistan del 52%. La criminalità è bassissima, non è mai stata applicata la pena capitale (diversamente dal resto del Paese).
La rivoluzione femminile potrebbe inondare anche dove le valli si aprono, verso sud e sempre più lontano dalle montagne del Karakorum dove ha preso forma. Questo potrebbe anche accadere per merito dei social media e del fatto che i giovani si confrontano tra loro: sempre più persone osservano che una società pluralista è una società più sana e in cui si vive meglio. Tutti, uomini inclusi.