«Di lì a poco il caldo sarebbe diventato eccessivo. Affacciato al balcone dell’albergo, pochi minuti dopo le otto, Kerans guardò il sole sollevarsi dietro i fitti cespugli di gimnosperme giganti che crescevano in un intrico selvaggio sui tetti dei grandi magazzini abbandonati a quattrocento metri di distanza, sulla sponda orientale della laguna».
È con questo fulminante attacco che si apre Il mondo sommerso, quello che lo scrittore James G. Ballard considerava il suo primo romanzo. In realtà, l’anno precedente – il 1961 – aveva già pubblicato un altro romanzo, Il vento dal nulla, ma in seguito lo rinnegherà e indicherà sempre questo come il suo esordio. Il racconto de Il mondo sommerso parte da una Londra ricoperta dalle acque, dove appunto crescono ormai piante mutanti di enormi dimensioni e dove alle otto del mattino comincia già a essere troppo caldo per rimanere in terrazzo al Ritz, l’albergo di lusso semisommerso dove Kerans, il protagonista, vive temporaneamente.
Il cambiamento climatico de Il mondo sommerso
Attorno tutto è in sfacelo, come testimoniano i grandi magazzini abbandonati: il simbolo della società capitalistica che viene riconquistato da una natura che le nuove condizioni climatiche hanno trasformato profondamente. Ma non siamo dentro a un racconto di Jeff VanderMeer o in un romanzo di climate fiction. Non ci sono elementi propriamente weird né basati sulla scienza del clima. Anzi, Ballard non addossa nessuna responsabilità dell’innalzamento delle temperature all’essere umano. A cambiare è stato il comportamento del Sole, sul quale si sono cominciati a manifestare bagliori che mandano più energia verso la Terra, fondendo i ghiacci e provocando l’inabissamento di gran parte delle terre emerse.
I cinque milioni di terrestri sopravvissuti vivono oltre i circoli polari, unici luoghi dove le temperature sono accettabili. Nel resto del pianeta, le tracce della civiltà vengono progressivamente fagocitate dalla natura che si trasforma e l’ipotesi che aleggia nel libro è quella di un possibile ritorno a condizioni simili a quelle che hanno permesso, nel passato, la sopravvivenza di rettili di enormi dimensioni.
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Nuove carte geografiche per nuove colonie
Kerans è nato dopo l’innalzamento dei mari. È un tecnico incaricato dalle autorità di contribuire alla mappatura delle nuove lagune che si sono formate in corrispondenza delle grandi città europee, come Londra appunto. L’idea è che se in un prossimo futuro l’attività solare si dovesse normalizzare, e dunque le condizioni sul pianeta dovessero tornare simili a quelle di prima, saranno necessarie nuove carte nautiche e geografiche su cui basarsi per ripopolare i territori abbandonati.
Qui Ballard gioca apertamente con la sua esperienza di suddito britannico nato nel 1930 a Shanghai, dove vive fino ai sedici anni. Il mondo che descrive ha ampi riferimenti al colonialismo britannico, a cominciare da questa attività di mappatura che riflette la mentalità europea al possesso, o per lo meno al diritto del controllo, delle terre tropicali.
La nostalgia del passato perduto
Ma c’è anche il riconoscimento della difficoltà dell’esperienza coloniale di arrivare davvero a una fine. Emerge da alcuni personaggi, pervasi di una nostalgia malinconica e sorda per un ordine mondiale che il cambiamento climatico ha alterato in via definitiva. È il caso di Bodkin, collega più anziano di Kerans e quindi uno dei personaggi che ricorda come era il mondo prima: «anche durante l’infanzia di Bodkin, comunque, le città erano state simili a fortezze assediate, imprigionate da enormi dighe e disintegrate dal panico e dalla disperazione come tante Venezie riluttanti ad accettare l’inevitabile matrimonio con il mare». Un atto di resistenza che si è tradotto nella costruzione di enormi dighe a tutela dello spazio urbano. Un tentativo estremo e faticoso di procrastinare quel matrimonio con le acque che ha significato la loro fine.
Riggs, un altro collega di Kerans, anche lui nato quando il mondo era già cambiato, si chiede perciò che senso abbia mappare le lagune: «Tutti questi rilevamenti dettagliati di porti e baie da usare in un qualche ipotetico futuro sono semplicemente assurdi. Anche se i bagliori solari dovessero diminuire, occorreranno comunque almeno dieci anni prima che abbia luogo qualche serio tentativo di rioccupare questa città».
Il mondo sommerso: Affrontare la fine del mondo
L’attrito che si genera tra futuro e passato è uno degli assi del romanzo. E sebbene Ballard non fosse interessato a pungolare i propri lettori sulle responsabilità da prendersi per contrastare un cambiamento climatico antropico che non conosceva ancora, è un tema che ci parla del nostro oggi. L’umanità fatica a cambiare il proprio comportamento nonostante abbia chiaramente razionalizzato grazie alla scienza che si tratta di una strada che potrebbe seriamente portare all’estinzione della specie. Fatichiamo ad abbandonare il passato che ci è familiare e non abbiamo il coraggio di impegnarci per il futuro, come invece chiedono le generazioni più giovani.
Lo dice bene Andri Snær Magnason, uno scrittore di oggi che si è occupato di ghiacci che si sciolgono. In un breve video per TED dice che «dobbiamo connetterci con il futuro in un modo intimo e urgente». Perché dobbiamo pensare che il futuro è l’unica cosa che possiamo ancora cambiare, dato che non è ancora accaduto. Ballard lo sapeva benissimo e ha più volte dichiarato che era interessato a scrivere dei prossimi cinque minuti e non dei secoli passati. Per questo aveva scelto la fantascienza.
Kerans, il protagonista de Il mondo sommerso, è l’unico personaggio che sembra rendersi conto che il cambiamento esterno avvenuto, e sul quale nel romanzo non c’è possibilità di intervento da parte umana, apre la possibilità di un rinnovamento interiore profondo e radicale, forse addirittura impensabile altrimenti. Solo attraverso una riformulazione di cosa significhi essere vivi, stare al mondo, vivere in società – sembra dire Ballard – possiamo trovare nuovi pensieri, nuove idee e nuovi sentimenti che possano permetterci di affrontare la fine di un mondo. Qualcosa che, oggi, alla nostra specie e alle nostre società, sembra mancare quando si affronta il tema del cambiamento climatico. Ovvero quando parliamo del nostro futuro.
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