Il dibattito sulle TEA è sia scientifico che politico

Negli ultimi anni, l’Italia ha aperto alla sperimentazione di colture geneticamente modificate dopo decenni di divieti: non più OGM ma TEA, Tecniche di Evoluzione Assistita. Il dibattito sulla genetica agraria si è riacceso, tra chi le vede come soluzioni per la crisi climatica e chi teme un maggiore controllo industriale sulle colture.

10 minuti | 12 Marzo 2025

Nella primavera del 2024, duecento piante di riso geneticamente modificato hanno lasciato i laboratori per essere coltivate in un campo italiano, a Mezzana Bigli, in provincia di Pavia. Si è trattato di un evento che ha segnato una svolta dopo quasi vent’anni di restrizioni italiane sulle sperimentazioni OGM in campo aperto.

Il riso, chiamato RIS8imo, è stato sviluppato per resistere a una delle principali minacce alla produzione risicola a livello globale, la cosiddetta rice blast: il brusone del riso, una malattia fungina causata dal patogeno Magnaporthe oryzae. L’esperimento, guidato da Vittoria Brambilla, professoressa del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università di Milano, ha attirato scienziati, politici e agricoltori interessati a una possibile rivoluzione per l’agricoltura italiana.

L’entusiasmo è durato poco. «Un mese dopo la semina, le piante sono state distrutte, tagliate o sradicate», spiega Brambilla, sottolineando come questo abbia in parte compromesso il suo esperimento, che mirava a verificare se il RIS8imo riuscisse a resistere al fungo anche in campo aperto e non soltanto in laboratorio. «Chi ha distrutto le piante non conosceva bene la biologia del riso: il riso è un’erba, quindi se lo tagli, ricresce. Ed è esattamente quello che è successo: moltissime piante sono ricresciute e siamo riusciti comunque a raccogliere molti semi».

La distruzione del campo ha avuto un’ampia copertura sui media italiani e internazionali, portando Brambilla sotto i riflettori e trasformando il suo RIS8imo nel simbolo della rinascita della genetica agricola in Italia. Il paese, che un tempo era tra i più accesi oppositori in Europa degli OGM, sta ora vedendo il suo establishment politico e agricolo aprirsi alle promesse della genetica delle colture per contrastare la combinazione di crisi che sta mettendo in difficoltà le aziende agricole: dal cambiamento climatico all’abbandono delle campagne.

 

LE NUOVE TECNICHE GENOMICHE

Questa sperimentazione è stata possibile grazie a un decreto del governo Meloni sulla siccità, che ha permesso la coltivazione in campo aperto di piante geneticamente modificate, giustificando la decisione con la necessità di affrontare la crisi idrica e l’insicurezza alimentare. L’iniziativa ha scatenato forti polemiche. LAssociazione Rurale Italiana (ARI) ha denunciato il provvedimento come un «cavallo di Troia» per introdurre di fatto gli OGM in Italia, aggirando la storica opposizione dell’opinione pubblica e la legislazione restrittiva. Antonio Onorati, agricoltore e membro dell’ARI, ha definito il decreto «un modo antidemocratico di procedere», sottolineando che i cittadini non sono stati consultati. Secondo lui, l’Italia rischia di perdere il suo status di Paese “OGM-free”, compromettendo la competitività dei suoi prodotti sul mercato globale.

L’esperimento italiano si inserisce in un contesto più ampio di revisione normativa a livello europeo. La Commissione Europea sta infatti lavorando a una proposta di legge che punta a deregolamentare le Nuove Tecniche Genomiche (NGT), i più recenti e avanzati metodi di modifica genetica.

Le NGT comprendono tecnologie come Crispr-Cas, che permettono di modificare il DNA delle piante con una precisione mai vista prima. Gli scienziati sostengono che questa innovazione potrebbe ridurre l’uso di pesticidi, aumentare la resistenza delle colture ai cambiamenti climatici e migliorare la sicurezza alimentare in un’epoca di crescente instabilità ambientale.

Tuttavia, la proposta della Commissione prevede che molte colture modificate con NGT siano esentate dalle restrizioni sugli OGM, inclusi i controlli di sicurezza e l’obbligo di etichettatura. Questo ha scatenato un acceso dibattito tra sostenitori e critici delle nuove biotecnologie.

 

OGM, L’AVVERSIONE ITALIANA

Mentre la legge NGT dell’UE ha riacceso un acceso dibattito sui rischi e i benefici dei nuovi strumenti di modificazione genetica, gli sviluppatori di colture in Italia che desiderano cavalcare l’onda della NGT dell’UE hanno una questione più urgente: l’avversione degli italiani per gli alimenti OGM. Negli anni 2000, infatti, il forte rifiuto degli OGM da parte dell’opinione pubblica italiana ha portato a una legislazione tra le più restrittive in Europa.

Silvio Salvi, professore di genetica vegetale all’Università di Bologna e presidente della Società Italiana di Genetica Agraria (SIGA), che raggruppa scienziati e aziende coinvolte nella genetica vegetale, afferma che «gli errori commessi con i classici OGM all’inizio degli anni 2000 hanno lasciato alle scienze genetiche agricole una grossa cicatrice».

Un sondaggio Eurobarometro del 2010, ha rilevato che i cittadini dell’UE sono “complessivamente sospettosi” nei confronti degli alimenti geneticamente modificati, con una maggioranza che concorda sul fatto che “gli OGM sono innaturali” (70%), in disaccordo sul fatto che lo sviluppo di tali alimenti debba essere incoraggiato (61%) e convinta che non siano sicuri per le generazioni future (58%).

In Italia, il rifiuto pubblico degli OGM era così forte che, al momento della loro introduzione, migliaia di comuni italiani si dichiararono privi di OGM, in parte a causa delle forti campagne dei gruppi anti-OGM. In politica, ciò si tradusse in una serie di tagli ai finanziamenti e restrizioni alla ricerca sugli OGM, compreso il divieto di effettuare prove sul campo che costrinse i coltivatori e ricercatori a rimanere nei laboratori: una situazione unica in Europa.

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TEA: UN NUOVO NOME PER SUPERARE LA RESISTENZA AGLI OGM

Per superare le resistenze, la SIGA ha introdotto il termine Tecniche di Evoluzione Assistita (TEA), per descrivere le NGT. È un modo per dissociare le nuove biotecnologie dagli OGM tradizionali. Il termine TEA suggerisce un approccio “più naturale” e meno invasivo, facilitandone l’accettazione da parte del pubblico e della classe politica. «L’errore più grande commesso negli anni 2000 è stato non comunicare bene il valore degli OGM», spiega Daniele Rosellini, segretario della SIGA. «Con le TEA, vogliamo evitare lo stesso errore e sottolineare che non si tratta di transgenesi, ma di un’evoluzione delle piante più mirata».

Un passaggio cruciale è stato l’accordo con Coldiretti, la più potente organizzazione agricola italiana. Nel 2021, la SIGA e Coldiretti hanno sostenuto che le TEA fossero una soluzione su misura per l’agricoltura italiana, utile per rendere le colture più resistenti ai cambiamenti climatici senza compromettere la loro autenticità. In un rapporto governativo del 2017 che raccoglieva le opinioni dei principali attori del settore sulle NGT, Coldiretti esprimeva tutt’altre idee, in linea con le critiche di gruppi come l’ARI e Crocevia, un’organizzazione non governativa che sostiene l’agricoltura agroecologica e contadina in Italia e all’estero. Inoltre, tra tutte le associazioni di settore, Coldiretti fu l’unica a dichiarare che le TEA dovessero essere trattate come OGM, sostenendo che l’introduzione di queste tecnologie avrebbe messo a rischio la distintività dei prodotti italiani di alta qualità, venduti all’estero sotto il redditizio marchio Made in Italy.

Coldiretti, che non ha risposto alle nostre richieste di commento, all’epoca esprimeva anche preoccupazioni per l’impatto delle TEA sui piccoli agricoltori e sui produttori biologici, affermando che i prodotti agricoli sviluppati nei Paesi più aperti alle biotecnologie avevano già dimostrato la loro “scarsa utilità pratica” – una posizione ben lontana da quella odierna.



TEA COME COLTURE TRADIZIONALI?

Dopo il RIS8imo, viti sperimentali di Chardonnay sono state piantate nella regione vinicola della Valpolicella, a Verona, anch’esse modificate con le TEA. Le coltivazioni di riso e uva sono tra le più trattate con pesticidi per prevenire malattie, e secondo gli scienziati della SIGA questi esperimenti dimostrerebbero il potenziale delle TEA. «I trattamenti chimici possono essere ridotti in modo significativo apportando una piccola modifica mirata nel genoma di queste piante», spiega Salvi, aggiungendo che questi cambiamenti sono così minimi e precisi da non alterare le varietà di pregio.

TEA ris8imo

Vittoria Brambilla, professoressa del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università Statale di Milano (con il cappello), presso i terreni dell’azienda agricola Radice Fossati a Mezzana Bigli (Pavia) il 13 luglio 2024.

Ma i critici pensano che le TEA siano una soluzione miope, che avvantaggerebbe le aziende a scapito dei consumatori e della natura. Una delle principali preoccupazioni riguarda la proposta di legge dell’UE, che intende classificare molte TEA come equivalenti alle colture convenzionali, consentendone la vendita senza valutazioni del rischio né etichettatura. Un documento pubblicato quest’anno dall’Agenzia federale tedesca per la protezione della natura (BfN) ha rilevato che oltre il 90% delle piante TEA attualmente in fase di sviluppo rientrerebbe in questa categoria.

Salvi e Brambilla ritengono che questa classificazione sia più che giustificata, poiché le TEA non fanno altro che assistere e accelerare l’evoluzione naturale delle piante. Il RIS8imo di Brambilla ha già utilizzato questa categorizzazione, anche se non ha ancora alcuna validità legale, poiché è ancora in fase di negoziazione a Bruxelles, con numerosi Paesi ed esperti UE che la contestano.

Per Katja Tielbörger, professoressa di ecologia vegetale all’Università di Tubinga, questo approccio ribalta la logica dell’evoluzione. «L’evoluzione genera variazioni casuali e poi è l’ambiente a selezionare ciò che, in determinate condizioni, è più adatto a sopravvivere e riprodursi. Qui invece stiamo facendo il contrario: prima decidiamo cosa è meglio e poi modifichiamo i geni per ottenere quel determinato prodotto».

L’incredibile velocità con cui strumenti come CRISPR permettono di creare nuove piante, molte delle quali potrebbero sfuggire ai controlli di valutazione del rischio, potrebbe causare problemi ambientali. «E, dato che ne verranno prodotte tantissime, possiamo essere certi che alcune genereranno enormi problemi ecologici», afferma Tielbörger, problemi che sono impossibili da prevedere «e che potrebbero spaziare dall’invasività delle piante TEA alla destabilizzazione intera degli ecosistemi». La resistenza alle malattie, inoltre, potrebbe durare solo pochi anni. «I patogeni si adattano molto, molto rapidamente, soprattutto in una monocoltura di piante geneticamente identiche». È un problema che anche Vittoria Brambilla riconosce. «Probabilmente nel giro di pochi anni il fungo evolverà per attaccare le nostre piante di RIS8imo, quindi dovremo produrre nuove piante».

 

NUOVE TECNICHE GENOMICHE O POLICULTURA

Stefano Bocchi, professore di agronomia all’Università di Milano ed esperto di coltivazione biologica del riso, ritiene fuorviante pensare che le piante si evolvano indipendentemente dall’ambiente, e paragona l’uso delle TEA per adattare le colture alla crisi climatica ed ecologica a «progettare un’auto oggi senza considerare che domani le infrastrutture stradali potrebbero essere completamente diverse».

Bocchi e il ricercatore agronomo Pietro De Marinis collaborano con agricoltori biologici che praticano la policoltura, studiando come questi sistemi utilizzino – anziché sopprimere – la complessità ecologica. Uno di questi esempi è Cascina Bosco, a poche decine di chilometri dai campi sperimentali di RIS8imo, dove Roberto e Ilena Marinone coltivano antiche varietà di riso, cereali e legumi in un sistema di policoltura.

Il sistema a policultura risale a millenni fa, ma era stato soppiantato dall’industrializzazione. La policultura si basa su un uso circolare e sostenibile delle risorse, in cui i semi vengono selezionati e conservati per la stagione successiva, e i rifiuti organici vengono impiegati per fertilizzare colture diversificate che si nutrono, bilanciano e proteggono a vicenda, migliorando non solo la produttività, ma anche la salute del suolo e dell’ecosistema circostante. De Marinis sta supervisionando un esperimento nella fattoria dei Marinone per verificare se alcuni nutrienti, come il calcio, possano aiutare le piante di riso a contrastare il brusone.

TEA cascina bosco cover crop

Campo di fagioli dall’occhio miscuglio di cover pre semina. Le galline forniscono un servizio di predazione di parassiti e concimazione. Cascina Bosco, 2023.

Roberto Marinone concorda sul fatto che le TEA non farebbero altro che rafforzare un modello agricolo industriale che ha già ridotto il ruolo degli agricoltori a meri esecutori. Invece di conoscere e gestire attivamente le proprie terre, sempre più agricoltori si limitano oggi ad applicare i termini di contratti aziendali progettati per massimizzare la produttività. «Mi sembra che l’uso di queste tecnologie spinga sempre più in quella direzione dove l’agricoltore dipende dall’agroindustria e perde il contatto con i sistemi agricoli complessi».

Un ulteriore campanello d’allarme per Marinone e molti altri produttori è il fatto che le colture TEA potrebbero consentire alle aziende di brevettare intere piante, specifici geni o funzioni – una privatizzazione senza precedenti delle risorse alimentari e genetiche, secondo ONG e altri critici. Francesco Loprevite, cofondatore di Fenix Seeds, una piccola azienda sementiera siciliana, afferma che le TEA potrebbero essere utili per il miglioramento genetico, ma i brevetti escluderebbero realtà come la sua dal mercato. «Se brevetti un gene, imprigioni la natura», commenta.

 

IL RUOLO DELLE MULTINAZIONALI 

Le TEA non rappresentano solo una questione scientifica, ma anche una grande opportunità economica. Grandi multinazionali come Bayer e Corteva hanno investito ingenti risorse nella ricerca e nella promozione di queste tecnologie, spingendo per una deregolamentazione a livello europeo.

Bayer Italia, ad esempio, ha sponsorizzato eventi e collaborato con centri di ricerca per migliorare la percezione pubblica delle TEA, sostenendo che potrebbero ridurre l’uso di pesticidi e aumentare la resa delle colture.

Tuttavia, secondo Francesco Panié di Crocevia, il vero obiettivo delle multinazionali è eliminare le norme su etichettatura e trasparenza, facendo passare le TEA come prodotti naturali. Un altro problema riguarda la brevettabilità delle TEA. Se queste piante venissero brevettate, gli agricoltori perderebbero il controllo sulle sementi, aumentando la dipendenza dalle grandi aziende.

Le TEA stanno trasformando l’agricoltura italiana, ma il loro futuro dipenderà dalle decisioni politiche e dall’equilibrio tra scienza, economia e opinione pubblica. Il dibattito è destinato a proseguire, e le decisioni prese nei prossimi anni influenzano profondamente il futuro dell’agricoltura italiana. La domanda chiave resta: le TEA sono davvero la risposta alla sicurezza alimentare e alla crisi climatica o rappresentano solo un nuovo modello di business per l’agroindustria?

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Questo articolo è stato pubblicato con il sostegno di Journalismfund Europe.

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  • Gabriela Galindo

    Gabriela Galindo è una giornalista messicana freelance con sede a Bruxelles. Scrive di politiche dell’UE, in particolare nel settore dell’alimentazione, dell’agricoltura e dell’ambiente. Si occupa anche di politiche sanitarie e spaziali nell’UE, di conflitti, diplomazia e diritti umani a Ginevra.

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