Futuro antico

Il deposito di rifiuti radioattivi di Onkalo, in Finlandia, è progettato per durare 100.000 anni.Realizzare una struttura del genere ha costretto a pensare all’impossibile, e a riconsiderare il concetto di tempo e di probabilità.

6 minuti | 12 Marzo 2021

Testi di Gianluca Liva
Illustrazioni di Daniela Germani

La gestione dei rifiuti radioattivi anima la ricerca e spinge a confrontarsi con i limiti del nostro sapere. In Finlandia sorge il primo deposito geologico permanente, composto da un sinuoso sistema di gallerie che scendono fino a una profondità di circa 450 metri. Il deposito geologico di Onkalo [in finlandese “cavità, fossa”] si trova sull’isola di Olkiluoto, a poca distanza dalla centrale nucleare omonima, nel sud ovest del Paese. Il deposito è stato costruito per ospitare i rifiuti prodotti dalle centrali nucleari della Finlandia. La struttura è progettata con lo scopo di durare per tutto il periodo in cui le scorie rimarranno pericolose: 100.000 anni.

Concepito per entrare in funzione nel 2025, il deposito di Onkalo dovrebbe ospitare circa 6500 tonnellate di combustibile nucleare esaurito. Il progetto, il primo così complesso, ha comportato la costruzione di un impianto di ricerca sotterraneo per verificare l’idoneità del sito. L’impianto è stato sviluppato grazie allo scavo di un lungo tunnel di accesso e tre pozzi, di cui uno per il movimento del personale e gli altri due per la ventilazione. Le caratteristiche della roccia che avvolge e abbraccia il deposito sono state analizzate a fondo attraverso studi geologici, idrologici e geochimici prima di richiedere la licenza di costruzione finale. Le scorie verranno portate in un impianto di incapsulamento, inserite in speciali contenitori, e successivamente trasportate con un ascensore fino al deposito sotterraneo.

Le scorie perderanno il loro potenziale nocivo in un tempo paragonabile, per noi, all’eternità.

L’impianto di smaltimento finale è progettato sulla base della tecnologia KBS-3, sviluppata dalla Swedish Nuclear Fuel and Waste Management Company (SKB). È un fitto reticolo di corridoi, dove i contenitori di rifiuti sono inseriti in appositi pozzi. Il deposito di Onkalo, secondo le previsioni, dovrebbe essere del tutto riempito nei primi decenni del XXII secolo. Una volta esaurita la capienza, le gallerie verranno chiuse e gli accessi sigillati. La vegetazione ricrescerà e i giorni passeranno. Le scorie perderanno il loro potenziale nocivo in un tempo paragonabile, per noi, all’eternità.

Onkalo e la necessità di un deposito geologico

L’industria nucleare, come molte altre, produce rifiuti. Secondo i parametri sviluppati dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA), il 97% delle scorie prodotte sono classificate come di basso o medio livello. Si tratta di rifiuti smaltiti in depositi di superficie. Ben altro problema si pone nel caso dei rifiuti ad alta attività, caratterizzati da concentrazioni di radionuclidi così elevate al punto che il loro decadimento può richiedere migliaia di anni.
Una centrale nucleare che opera con un reattore da 1GW produce circa 25 tonnellate di combustibile usato ogni anno. Si stima che siano 400.000 le tonnellate di scorie prodotte finora dai reattori di tutto il mondo. Di queste, circa un terzo è stato ritrattato.

Ci sono voluti decenni di ricerche per capire quale fosse il tipo di struttura adatta a garantire uno smaltimento il più sicuro possibile. La soluzione è stata individuata nei depositi geologici permanenti. Il deposito finlandese è, probabilmente, solo la prima delle cavità scavate con questo obiettivo. L’Italia e molti altri Paesi europei valutano la possibilità di costruire depositi di profondità condivisi. Si tratta di progetti che richiedono sofisticate competenze multidisciplinari. Onkalo non è solo un buco profondo. La sua realizzazione ha costretto a pensare all’impossibile, e a riconsiderare il concetto di tempo e di probabilità.

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Un deposito per l’eternità

Un periodo di tempo di 100.000 anni comporta una pianificazione che rimane fuori dalla nostra portata. La storia umana documentata è ben più corta. Tra un secolo, Onkalo sarà chiuso per sempre, proprio come le tombe dei faraoni furono chiuse per non essere mai più riaperte. Sappiamo, invece, com’è andata.
Si apre davanti a noi un gigantesco ventaglio di possibilità da considerare. Siamo consapevoli che Onkalo non dipende da alcun tipo di sorveglianza attiva. Deve poter durare da solo, senza manutenzione, e resistere se necessario anche a una glaciazione. L’umanità forse se ne dimenticherà. Il punto è che, visti i nostri trascorsi, non possiamo fidarci di noi stessi. Il rischio di un’intrusione umana nel futuro è possibile.

Si suppone che gli esseri umani in grado di raggiungere l’accesso a Onkalo siano anche in grado di coglierne i rischi. Oppure no. Potrebbero vederlo come un antico luogo di sepoltura, magari pieno zeppo di tesori. Fino a 75 anni fa, le donne italiane non potevano votare. Che società ci sarà tra 100 anni? E tra 300? Forse avremo a disposizione una tecnologia efficace e risolutiva per rendere i rifiuti del tutto innocui. Oppure lotteremo per accaparrarci le ultime derrate di prezioso combustibile esaurito che, secondo alcune leggende, pare essere custodito in una misteriosa spelonca sotterranea.

 

Onkalo, una questione di semiotica nucleare

Le possibilità sono infinite e hanno aperto il dibattito sull’opportunità di lasciare qualche tipo di messaggio di avvertimento a lungo termine. Per alcuni, la rimozione di Onkalo dalla memoria collettiva ridurrebbe le possibilità di una riapertura del sito. Per altri, invece, bisognerebbe tramandare e aggiornare l’informazione sull’esistenza dei depositi di profondità; forse solo ad alcune persone, detentrici di una conoscenza in qualche modo elitaria. Per altri ancora, i depositi devono essere manifesti e devono poter “parlare” anche agli esseri umani di un remoto futuro.

I messaggi scritti potrebbero essere utili fino a un certo punto. […] Ci sarebbe bisogno di segnalatori fisici, frutto di un’architettura difensiva che colpisca nel profondo dell’emozione umana.

L’ambiente, l’architettura ostile, eventuali scritte dovrebbero indicare che si trovano davanti a un’opera artificiale, in cui abbiamo seppellito qualcosa per proteggerci. Vogliamo che sappiano che quel posto non deve essere toccato e che non è possibile viverci. Devono comprendere che lì non sono al sicuro. Solo dopo avere fornito questi messaggi rudimentali e cautelativi, potremo specificare la natura del luogo con informazioni più complesse. Bisogna spiegare che non possono avvertire la radiazione con i loro sensi, benché essa sia capace di ucciderli.

I messaggi scritti potrebbero essere utili fino a un certo punto. La decifrazione delle tavolette cuneiformi ha richiesto secoli. Ci sarebbe bisogno quindi di segnalatori fisici, frutto di un’architettura difensiva che colpisca nel profondo dell’emozione umana. Altre correnti della semiotica nucleare si concentrano su alcune immagini pittoriche. Una raffigurazione del pericolo, capace di incutere timore e allerta, potrebbe prendere come riferimento l’espressione del volto della serie di dipinti “L’urlo”, di Edvard Munch. Quel viso sconvolto mentre «un grande urlo infinito pervadeva la natura» sarebbe portatore di un messaggio universale e capace di resistere al tempo.

Immaginare un futuro energetico

Vista dalla prospettiva di questi primi decenni del XXI secolo, la gestione delle scorie nucleari sembra quanto mai complessa. Cerchiamo di spingerci più in là e immaginiamo futuri possibili. Ora come ora sappiamo che tra qualche tempo anche i combustibili usati per alimentare le centrali nucleari potrebbero scarseggiare, un po’ come sta succedendo con il petrolio. Forse le tecnologie capaci di superare il problema saranno già diffuse. Forse no.

Si può guardare al nostro futuro energetico in prospettive a breve, medio e lungo termine. A seconda della prospettiva, muta l’equilibrio tra la necessità del momento e la necessità di pianificazione; due fattori limitati dalle possibilità a disposizione. Pensare a un futuro remoto obbliga a non dare nulla per scontato. Into Eternity è il documentario del 2010, diretto dal regista danese Michael Madsen, che segue i lavori di costruzione di Onkalo e propone una riflessione sull’idea che abbiamo dell’eternità. Madsen poneva una domanda agli esseri umani del futuro: «L’energia è il nostro bene più prezioso. È lo stesso per voi?»

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