Siamo sulla Terra, ma il panorama non è familiare. Il terreno roccioso è spoglio e secco, coperto di polvere sottile. Non ci sono chiome che riparano dal Sole, che picchia la superficie con una dose di radiazioni a cui non siamo abituati. Siamo quasi alla fine del Precambriano, circa 600 milioni di anni fa. La terraferma sembra completamente deserta, ma non è proprio così: se analizzassimo il terreno, troveremmo degli strati di batteri in grado di fare la fotosintesi, alghe estremofile e qualche fungo, le cui ramificazioni simili a radici (dette ife) penetrano tra le rocce. Le acque, invece, brulicano di vita: il mare caldo è popolato da molluschi e artropodi, coralli e alghe.
Proprio in questo ambiente potrebbe essere nata la relazione che ha trasformato la terraferma e l’ha resa abitabile per una miriade di forme di vita diverse, tra cui anche noi umani: quella che da centinaia di milioni di anni lega le piante ai funghi. Una relazione che è fondamentale per chi oggi deve proteggere alberi e foreste dalla minaccia del cambiamento climatico.
Il fatto di essere organismi profondamente diversi dalle piante ci fa percepire le piante più come delle cose che come degli organismi viventi con una propria agentività, al punto da non notarle quasi più nell’ambiente che ci circonda (un fenomeno noto come plant blindness). Alcuni, tra cui l’antropologo Eduardo Kohn, sostengono invece che la foresta vive e pensa e che noi umani non siamo gli unici a interpretare il mondo che ci circonda: tutti gli esseri viventi lo fanno. Ma allora, le piante “vedono”? E se “vedono”, a cosa guardano? A cosa danno importanza e significato?
Lungo il “Sentiero dei grandi alberi”. Valdagno, Vicenza, Italia, ottobre 2022.
Storia di una coevoluzione
Non sappiamo esattamente quando le prime piante – originatesi da alghe verdi – abbiano colonizzato la terraferma. I reperti fossili sono pochi e rendono difficile capire le caratteristiche di organismi così antichi, e dunque di ricostruirne la storia. Ma su un punto la comunità scientifica è ormai concorde: le piante sono riuscite a diffondersi sulle terre emerse grazie a una relazione di simbiosi con i funghi. Oggi chiamiamo questa associazione di una pianta e un fungo micorriza, un termine ben noto agli appassionati di porcini e tartufi. È una relazione in cui un fungo colonizza le radici di una pianta. Nella sua versione più antica, la micorriza arbuscolare, il fungo penetra addirittura nelle cellule delle radici.
Le piante che per prime si trovarono a colonizzare le terre emerse «avevano il grandissimo problema del non avere facili possibilità di assumere gli elementi minerali che sono fondamentali per qualsiasi organismo vivente: fosforo, azoto, zolfo, potassio», mi spiega Paola Bonfante, professoressa emerita dell’Università di Torino, a capo del gruppo di ricerca di Biologia delle interazioni micorriziche. «Abbiamo invece fossili straordinari che ci fanno capire che i funghi erano già presenti circa 800 milioni di anni fa. E i funghi da sempre hanno la capacità di assumere, con la loro rete ifale, gli elementi minerali».
Le piante hanno fotorecettori diffusi in tutte le loro parti verdi, dove sono presenti le clorofille, molecole in grado di riconoscere la qualità della luce che ricevono e di assorbirla. È come se le piante avessero tanti occhi in grado di vedere lo stesso mondo che vediamo noi, ma da prospettive spazio-temporali e percezioni profondamente diverse. La suggestione che ne deriva è quella di un punto di vista sconosciuto su un mondo già conosciuto.
La fragilità climatica del territorio montano di Vicenza comprende l’approfondimento dei ghiaioni (vai) dovuto alla maggiore forza erosiva degli eventi atmosferici estremi, sempre più frequenti. Lungo il “Sentiero dei grandi alberi”. Valdagno, Vicenza, Italia, ottobre 2022.
Le piante hanno un pool di pigmenti fotosintetici (tra cui clorofille e carotenoidi) in grado di “vedere” diversi colori della luce. Ogni specie ha un suo specifico mix di questi pigmenti, ma tutte le piante del mondo hanno uno di questi, la clorofilla alfa. Ho quindi progettato e fatto costruire da Chroma un filtro che, montato sulla mia ottica, fa entrare nella macchina fotografica solo le due lunghezze d’onda assorbite dalla clorofilla alfa, il blu-viola (corrispondente a 430 nm), e il rosso (corrispondente a 662 nm).
La fragilità climatica del territorio montano di Vicenza comprende la durata e l’estensione di eventi siccitosi dei suoi torrenti. Torrente Agno in secca a causa dell’estrema siccità dell’estate 2022. Brogliano, Vicenza, Italia, agosto 2022.
Ma la vita non era semplice neanche per i funghi. Me lo racconta Giuseppe Barbiero, ricercatore in Ecologia all’Università della Valle d’Aosta. «Anche i funghi da soli non ce la facevano perché, tranne quello minerale, non c’era nessun altro tipo di sostentamento sulla terraferma. Avevano bisogno di una struttura fotosintetizzatrice», in grado di produrre energia, mi spiega. Con la fotosintesi, oggi le piante producono composti del carbonio ricchi di energia (come gli zuccheri) da cui dipende gran parte degli altri organismi.
Dunque, stabilirono una simbiosi con le piante. «Una simbiosi complessa, perché provengono da due regni diversi. Non sono solo due specie diverse: sono proprio due mondi completamente differenti». L’ipotesi è che la relazione sia nata da questa necessità: il fungo forniva elementi minerali alla pianta primitiva, e dunque la pianta premiava l’associazione cedendo al fungo il prodotto della fotosintesi, cioè il carbonio. La micorriza è considerata l’innovazione biologica che ha reso possibile alle piante di diventare onnipresenti sulle terre emerse.
Una pianta è sessile, cioè rimane ferma in uno stesso posto. Ogni pianta è in grado di elaborare continuamente paesaggi chimici, magnetici, sonori, visivi, gravitazionali dell’ambiente, e percepirne anche i più lievi cambiamenti. Le piante sono consapevoli che il clima terrestre sta cambiando e a questi cambiamenti cercano di adattarsi continuamente.
La fragilità climatica del territorio montano di Vicenza comprende la durata e l’estensione di eventi siccitosi che causano stress idrico nella vegetazione. Lungo il torrente Rio, località Spelaccia. Valdagno, Vicenza, Italia, giugno 2022.
Nessuna pianta è sola
Oggi si stima che circa il 90% delle specie di piante siano micorriziche. I diversi tipi di simbiosi micorrizica sono nati in tre ondate evolutive diverse. La più recente è ancora in corso, e sembra che abbia favorito l’aumento della biodiversità vegetale in alcuni hotspot.
Alcuni ricercatori mettono in guardia dal pensare alle piante come degli organismi indipendenti, delle entità a sé stanti. Piuttosto, dovrebbero essere considerate nelle loro associazioni con funghi e batteri che vivono dentro e sopra i loro tessuti. Questo microbiota vegetale infatti – come per noi umani – ha un ruolo determinante nella nutrizione di una pianta e nella sua capacità di resistere alle situazioni di stress. La crescita e la sopravvivenza delle piante derivano sì dalle funzioni fisiche e fisiologiche della pianta stessa, ma anche dalla salute dei suoi microrganismi.
L’idea che le piante terrestri non siano mai state davvero degli organismi indipendenti fu proposta per la prima volta negli anni Settanta, quando i micologi Kris Pirozynski e David Malloch affermarono che, senza la relazione con i funghi, le piante non sarebbero state in grado di colonizzare la terraferma. La sostenne Lynn Margulis, biologa statunitense che divenne nota – e controversa – per la sua teoria che la simbiosi fosse una delle forze alla base dell’evoluzione, e che spiegasse l’origine delle cellule eucariote (aveva ragione). Margulis scrisse che la simbiosi era stata come «la luna che attirò la marea della vita fuori dalle profondità oceaniche e la portò sulla terra e nell’aria».
La fragilità climatica del territorio montano di Vicenza comprende la perdita di biodiversità dovuta all’incremento del territorio dedicato ai pascoli di animali domestici. Piana di Marcesina, Enego, Vicenza, Italia, giugno 2022.
La fragilità climatica del territorio montano di Vicenza comprende l’impatto di eventi atmosferici estremi, come quello della tempesta Vaia su boschi monospecie di abete. Piana di Marcesina, Enego, Vicenza, Italia, giugno 2022.
Conoscere per conservare
«Le comunità vegetali, siano la foresta, il prato o la tundra, in realtà sono così perché sono il riflesso delle interazioni che ci sono sotto, nelle radici, in un mondo che non è visibile a occhio nudo», mi spiega ancora Paola Bonfante. «La conservazione deve essere fatta pensando a questa complessità. Le radici affondano nel suolo, dove si creano una serie di interazioni che sono assolutamente fondamentali. Perché poi tutta la nutrizione minerale – e da lì la produttività della pianta – dipende da quello».
Sposa questo approccio anche l’istituto di ricerca botanica dei Kew Gardens, a Londra, che dal 2020 ha deciso di integrare nel suo rapporto annuale sullo stato della flora globale anche quello che sappiamo sui funghi. Dal rapporto del 2023, redatto grazie alla collaborazione di più di 200 ricercatori da 30 paesi diversi, emerge che i botanici e i micologi di tutto il mondo sono impegnati in una corsa contro il tempo per identificare le specie e capire quali sono a rischio di sparire. Al momento conosciamo circa 350 mila specie di piante vascolari, ma si stima che altre 100 mila siano ancora sconosciute. E che di queste, 3 su 4 siano già a rischio di estinzione.
Nelle immagini che ho scattato con questo filtro, tutte le parti verdi (quelle cioè che contengono clorofilla alfa) risultano molto scure, tendenti al nero, perché sono come dei pozzi che assorbono tutto il blu e il rosso.
Faggeta di Monte Sptiz. Recoaro Terme, Vicenza, Italia, settembre 2022.
Della diversità dei funghi si sa decisamente meno, ma da tempo i ricercatori sospettano che il regno dei funghi sia altrettanto vario di quelli delle piante e degli animali, se non di più. Finora, spiega il rapporto, sono state descritte circa 155 mila specie di funghi. Ma ora i micologi stimano che siano almeno 2 milioni e mezzo, grazie ai progressi nella tecnologia del DNA metabarcoding, con cui si possono individuare centinaia di specie diverse a partire da uno solo campione. Da un cucchiaino di suolo, infatti, l’analisi del DNA permette di identificare nuove specie anche da piccoli frammenti di ife. Queste tecniche hanno dato un’accelerata alla ricerca sulla biodiversità fungina, con più di 10 mila nuove specie descritte solo dal 2020 a oggi.
Piante, funghi e clima che cambia
Paola Bonfante mi spiega però che il solo DNA non è sufficiente per capire come proteggere una specie di fungo. «Non è che nel momento in cui associ una sequenza a un potenziale genere o una potenziale specie poi ce l’hai in mano, e quindi puoi [capire come] proteggerla. Un conto è l’identificazione, un altro invece è avere questi funghi che crescono in coltura: senza poterli far crescere, senza poterli studiare fisicamente in coltura è difficile capire, per esempio, quanto una specie resiste alla temperatura».
Fino a pochi anni fa il ruolo che aveva il clima nelle interazioni tra piante e funghi è stato poco studiato, perché considerato limitato. Ma oggi se ne riconosce l’importanza. Incalzati dai cambiamenti nel clima globale dovuti all’uso dei combustibili fossili, alcuni ricercatori stanno cercando di capire come queste interazioni potrebbero cambiare. Uno studio di diversi ecosistemi nel Regno Unito, per esempio, ha mostrato che la quantità di precipitazioni e i cambiamenti nella temperatura modificano la composizione delle comunità microbiche in simbiosi con le piante.
La fragilità climatica del territorio montano di Vicenza comprende l’approfondimento delle frane dovuto alla maggiore forza erosiva degli eventi atmosferici estremi, sempre più frequenti. Il Monte Rotolon, che in lingua cimbra significa “frana delle pietre rosse”, per il colore delle rocce che si sono staccate, ha la seconda frana attiva più importante del Veneto. L’aumento dell’intensità di fenomeni meteorologici estremi rischia di attivare un nuovo distacco di materiale. Recoaro Terme, Vicenza, Italia, ottobre 2022.
Vedere la luce come è impossibile vederla dall’occhio umano: per gli umani la luce è un continuum, mentre mi sono immaginata che le piante vedano i fotoni, cioè i quanti di luce che arrivano sulla terra. Che forma hanno i fotoni?
Lungo il torrente Rio, località Spelaccia. Valdagno, Vicenza, Italia, luglio 2022.
Di sicuro, si è diffusa la consapevolezza che le micorrize devono essere parte integrante dei progetti di riforestazione, oggi considerati una delle soluzioni concrete per catturare anidride carbonica dall’atmosfera. «L’albero o la pianta avrà successo solo se si trova con i suoi giusti microorganismi associati, nel luogo in cui viene messa a dimora», spiega Bonfante. Per questo ha preso piede la pratica di inoculare funghi simbionti sulle radici delle piante già nei vivai, in modo che abbiano più probabilità di sopravvivere quando vengono piantate nei luoghi da riforestare.
Le micorrize, reti sotterranee di comunicazione
Nonostante lo studio del microbiota vegetale sia più antico di quello sul microbiota umano, la nostra comprensione dei suoi effetti sull’ecologia e sulla fisiologia delle piante è ancora agli albori. Alcune relazioni tra piante e microrganismi però sono particolarmente ben studiate, perché molto importanti per l’agricoltura (come nel caso del legame di simbiosi tra i legumi e i batteri azotofissatori). Capire meglio come funzionano queste interazioni – e quali elementi le alterano – potrebbe portare a innovazioni agricole per produrre cibo con minore uso di sostanze inquinanti.
Ho cercato di rendere la diversa percezione del tempo per le piante, creando dei paesaggi “medi”. Queste immagini sono ottenute con tempi di esposizione molto lunghi e spostando l’inquadratura della fotocamera per svariati minuti su diversi elementi dell’ambiente intorno alla pianta, e di cui la pianta è consapevole. Ad esempio un corso d’acqua, una strada, una casa, la cima di una montagna.
Lungo il “Sentiero dei grandi alberi”. Valdagno, Vicenza, Italia, luglio 2022.
I miceli dei funghi infatti connettono le radici di piante diverse in una rete che è stata ribattezzata Wood Wide Web – un concetto che negli ultimi anni è diventato molto popolare. L’idea è che lungo le reti micorriziche le piante scambino informazioni e nutrienti, in un sistema collaborativo in cui le piante che “hanno di più” sostengono quelle più deboli.
Secondo Bonfante, il modo in cui questi processi di distribuzione influenzano quelli di competizione per le risorse è ancora in parte da capire. Ma il fatto che lungo le ife fungine scorrano più facilmente i segnali di comunicazione tra le piante – sotto forma di composti chimici – è una scoperta affascinante. Negli ultimi anni, molti studi hanno mostrato come le piante attaccate dai parassiti inviino un segnale chimico a quelle nella stessa rete, che quindi possono attivare i propri meccanismi di difesa (per esempio aumentando la produzione di tossine) prima di venire attaccate a loro volta.
Vedere la luce come è impossibile vederla dall’occhio umano: per gli umani la luce è un continuum, mentre mi sono immaginata che le piante vedano i fotoni, cioè i quanti di luce che arrivano sulla terra. Che forma hanno i fotoni?
Faggeta di Monte Sptiz. Recoaro Terme, Vicenza, Italia, agosto 2022.
Agire in simbiosi
Pensare le piante come entità dai contorni sfumati, che includono e dipendono da una rete di altri organismi, è utile per capire come proteggerle. Ma dove ci si ferma? «Gli organismi che chiamiamo piante sono in realtà funghi che si sono evoluti per allevare alghe e alghe che si sono evolute per allevare funghi», scrive il biologo Merlin Sheldrake nel libro L’ordine nascosto.
Come specie che ha raggiunto la forma attuale appena 300 mila anni fa, e che almeno negli ultimi millenni ha mostrato un impegno frenetico nella catalogazione del mondo circostante, accettare l’alterità di forme di vita incredibilmente più antiche di noi può dare le vertigini. Consideriamo, per esempio, che il dialogo chimico tra piante e funghi si è affinato nel corso di almeno 400 milioni di anni. «Le tassonomie sono cose che abbiamo inventato noi per mettere ordine», commenta Giuseppe Barbiero. «La vita se ne frega del fatto che tu le classifichi come specie diverse. Tant’è vero che poi, man mano che ti allontani dai vertebrati, è sempre più difficile stabilire che cosa è una specie». Vale a dire: man mano che ci allontaniamo da noi, su cui abbiamo modellato il linguaggio con cui pensiamo il mondo.
Tutte le storie legate agli alberi sono profondamente radicate in un luogo, ma si sviluppano in un tempo lunghissimo.
Lungo il “Sentiero dei grandi alberi”. Valdagno, Vicenza, Italia, agosto 2022.
Non dobbiamo pensare al tempo del mondo vegetale come una linea, ma piuttosto come dei cerchi concentrici. Come quelli che vediamo in un tronco tagliato, dove la parte morta (durame), la parte giovane (cambio) e la parte vecchia (corteccia) coesistono nello stesso individuo e allo stesso momento. Il legno è tempo solidificato.
Località Fonte Santa Giuliana. Recoaro Terme, Vicenza, Italia, agosto 2022.
La simbiosi è una sfida concettuale, ma anche una metafora efficace per capire come agire. «Per [Lynn] Margulis le simbiosi sono il motore della macroevoluzione. I grandi passaggi evoluzionistici avvengono per simbiosi, per cooperazione, non per competizione», continua Barbiero. «Da questa prospettiva guardi il pianeta in modo completamente differente. Guardi il pianeta e, in ottica simbiotica, ti chiedi: qual è il tuo ruolo, come specie di primati? Prima di tutto quello di capire come funziona. Poi, di decidere come collaborare».
“Gli alberi non dormono bene, si assopiscono, soprattutto in inverno quando le alte stelle scivolano lungo i loro rami spogli come fredde gocce di rugiada”. Tratto da La ballata del pioppo carolina di Haroldo Conti.
Lungo il “Sentiero dei grandi alberi”. Valdagno, Vicenza, Italia, ottobre 2022.
Il progetto fotografico “Ti faccio vedere con gli occhi chiusi” di Elisabetta Zavoli, curato da Denis Curti, racconta la vulnerabilità climatica della parte montana della Provincia di Vicenza, e in particolare la valle del torrente Agno, attraverso lo sguardo delle piante. È un progetto artistico commissionato dall’Azienda Zordan nell’ambito del programma “Art for Sustainability”, ed è una mostra biennale visitabile presso il Museo Zordan a Valdagno fino a maggio 2025.