Quando dico di conoscere solo superficialmente gli oceani terrestri non parlo soltanto in senso metaforico. Poco sotto i primi metri del pelo dell’acqua non so proprio cosa ci sia. E dunque l’invito a documentare la scuola di sub scientifici di Panarea non poteva che incuriosirmi. Avevo intuito che la presenza di fenomeni di vulcanismo avrebbe potuto generare ecosistemi marini particolari, ma non avevo compreso in pieno di essere stato invitato in un enorme laboratorio naturale per lo studio degli oceani del futuro. Chi fa giornalismo e fotografia sul terreno però sa di dover essere pronto a partire con qualche idea e alcuni spunti, e tornare con un ricco carico di contenuti, suggerimenti, nuove linee da esplorare.
Il punto è che se cambia l’atmosfera, cambia l’oceano. Atmosfera e oceani si scambiano carbonio in continuazione. E se l’atmosfera si sta arricchendo di anidride carbonica, parte di questa passa nelle acque marine. A causa delle emissioni di gas serra, questo è ciò che sta accadendo, e per studiare come potrà essere l’oceano del futuro, in Europa non c’è luogo migliore di Panarea. Anzi, non c’è luogo migliore del Laboratorio ECCSEL-NatLab dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS, di Trieste), dalla cui terrazza si può osservare la cima fumante dello Stromboli.
Il laboratorio richiama sempre più spesso l’attenzione di chi si occupa di clima o biologia marina, e non solo per il fascino di essere su un’isola dell’arcipelago delle Eolie. In Europa non ci sono altri ambienti e laboratori tanto accessibili quanto questo di Panarea. Da qui, grazie alla continua emissione di gas vulcanici dai fondali è possibile studiare il processo di acidificazione degli oceani, una conseguenza dello scambio di carbonio tra il mare e l’atmosfera.
Superato lo scoglio Dattilo e giunto nelle zone di studio, come quella dell’Isola di Bottaro, il primo impatto è perfino deludente: un fotografo si attende scenari danteschi, mi aspettavo di vedere le acque ribollire come nel pentolone della maga Circe, invece nulla. Questo è perché nel mare tutto avviene in profondità, e lì sotto, infatti, si trova un mondo celato alla vista degli umani, a meno di non calarsi nell’acqua.
Panarea, villaggio preistorico di Punta Milazzese.
I sommozzatori preparano il materiale per le immersioni nelle zone delle fumarole.
I sommozzatori, preparate bombole e strumenti, si immergono con i loro strumenti. Sott’acqua si possono subito notare lunghe colonne di bolle che risalgono dal fondale torbido. Le fumarole sommerse emettono infatti anidride carbonica che rende la colonna d’acqua intorno leggermente più acida rispetto al mare circostante. In pratica, è come trovarsi in un gigantesco laboratorio naturale, dove la natura stessa sperimenta la risposta dell’ecosistema marino in un ambiente condizionato da un eccesso di anidride carbonica. Quello che gli scienziati provano a fare in laboratorio, in ambienti controllati, qui avviene in natura e su grande scala.
«Qui possiamo studiare un ecosistema sotto stress», spiega Cinzia de Vittor, dell’OGS. «Lo stress è dato dalla presenza della CO2, e questo ci offre una sorta di finestra, oggi, sull’oceano del futuro. Qui gli organismi sono adattati a questo ambiente particolare». L’oceano si sta lentamente facendo più acido, come se fosse proiettato in avanti di diversi decenni.
La ricercatrice spiega che in queste zone si nota subito la diminuzione della biodiversità. In particolare si riducono le specie calcificanti, per esempio i molluschi, che sopportano male anche i più lievi incrementi di acidità. Viceversa aumenta l’abbondanza di quelle poche specie, come alcuni crostacei e policheti, che tollerano meglio questo ambiente estremo.
Quello che gli scienziati provano a fare in laboratorio, in ambienti controllati, qui avviene in natura e su grande scala.
Pur essendo a portata di aliscafo e gommone, per gli scienziati è come avere un laboratorio vicino a una dorsale oceanica, dove le emissioni gassose formano quelle incredibili black smokers abissali, pullulanti di una vita a noi estranea, scoperte poche decine di anni fa durante le prime spedizioni oceanografiche atlantiche. Luoghi oscuri e con pressioni incredibili ma forse simili all’ambiente in cui si è sviluppata la vita primordiale di questo pianeta.
Il laboratorio dal 2015 offre una scuola estiva di specializzazione per il conseguimento del brevetto subacqueo scientifico organizzato dalla OGS insieme alla Università La Sapienza di Roma, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) di Palermo, la Stazione Zoologia Anton Dohrn di Napoli (SZN) e il diving locale Amphibia.
In quelle aree da cui da millenni fuoriescono esalazioni dalle profondità della Terra sono dunque una finestra affacciata sul futuro dei mari terrestri. Per per me è suggestivo, per gli scienziati è un laboratorio.
Dopo diverse lezioni teoriche, i partecipanti al corso per il brevetto di subacqueo scientifico dell’Associazione Italiana Operatori Scientifici Subacquei applicano tecniche per il campionamento e l’analisi di parametri chimico-fisici e biologici dell’acqua marina.
Un campione prelevato dalle aree a maggiore emissione, non lontano da Panarea.
Un tecnico dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia compie la manutenzione periodica della boa osservatorio dell’istituto.
Rocco Auriemma, dell’OGS, mostra il funzionamento di uno strumento per la raccolta di dati geologici, geochimici e biologici dell’area idrotermale di Panarea.
L’acqua nei pressi dell’area vulcanica lungo il cratere di Bottaro è particolarmente acida e potrebbe rappresentare lo stato degli oceani in futuro.
Nei pressi delle fumarole l’attività delle emissioni varia di ora in ora e talvolta è estremamente intensa.
Sub di ritorno da una ricognizione e mappatura delle aree di studio, nell’area di fronte alla spiaggia di Ditella.
Rientro dopo un campionamento sottomarino.
Panarea, sito del laboratorio di ECCSEL-NatLat Italy dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale (OGS, Trieste), dove è tenuto il corso per subacquei scientifici.