Il mio Mediterraneo

Come sono cambiati i fondali del Mediterraneo, tra morìe e specie aliene, negli ultimi decenni? Lo racconta Egidio Trainito, fotografo naturalista specializzato nel documentare la vita subacquea.

10 minuti | 4 Giugno 2021

Quasi un presagio. Nel 2019, ultimo anno dell’era pre-Covid, 68 ricercatori, provenienti da istituti di ricerca di 13 paesi mediterranei e non, riunivano le forze per costruire il primo database sugli eventi di mortalità di massa registrati nel Mediterraneo tra il 1979 e il giugno del 2018. Nei primi vent’anni ne erano avvenuti 230; dal 2000 in poi gli eventi erano pressoché raddoppiati: 435. Ovviamente, non si tratta di tutte le morie avvenute ma soltanto di quelle documentate, che riguardano circa 90 unità tassonomiche (identificate a livello di specie, genere o tipo) componenti del macrobenthos [organismi che vivono a stretto contatto con il fondo, le cui dimensioni superano il millimetro di lunghezza] appartenenti ad alghe, spugne, coralli, molluschi, briozoi e tunicati. Dei 665 eventi complessivi, 554 sono conseguenza di anomalie termiche mentre 44 sono stati causati da tempeste. In 55 casi sono stati individuati patogeni (batteri e funghi principalmente). 212 eventi sono stati classificati come estremi, avendo colpito dal 75 al 100% degli individui della specie target. Sono dati che derivano da vari fenomeni concomitanti ma a comprendere tutto c’è quello che ormai è conosciuto come cambiamento climatico. Ci sono poi gli eventi locali che danno conto di una impressionante accelerazione dei fenomeni e della loro persistenza per periodi sempre più lunghi e a profondità sempre maggiori. Ci sono infine i dati di recupero delle popolazioni colpite che impressionano per la loro assenza o per la agghiacciante lentezza con cui si intravedono segnali di ripresa. Ho sempre guardato a questi fenomeni con un approccio conoscitivo, descrittivo, ma riassumendoli ora, grazie al lavoro di quei ricercatori, non posso non rendermi conto che questo lasso di tempo, tra il 1979 e oggi, coincide con la parte della mia vita nella quale ho imparato ad andare sott’acqua, l’ho fatto diventare una professione ed è infine divenuto la mia fondamentale ragione di lavoro e di vita. Questi fenomeni, questa accelerazione, le perdite e i cambiamenti che hanno causato li ho vissuti sulla mia pelle (meglio, sulla mia muta), li ho visti con i miei occhi, li ho documentati con le mie fotografie, ho cercato di raccontarli con i miei libri. Come non ricordare lo sgomento di quando sembrava che l’alga assassina (Caulerpa taxifolia) fosse destinata ad annichilire i fondali con un uniforme e alieno manto verde? Così l’avevo conosciuta a coprire ogni cosa a Porto Maurizio in Liguria, per ritrovarmela poi in Sardegna.
La Secca di Spargiottello nel Parco Nazionale dell’Arcipelago di La Maddalena nel 1997 a moderata profondità, intorno ai 20 m, era letteralmente coperta da una foresta di gorgonie bianche (Eunicella singularis) mentre altre due specie di gorgonia, Eunicella cavolini e Paramuricea clavata, coprivano le pareti nella zona più profonda. La seconda immagine del 2010 rende conto della totale scomparsa di tutte le tre specie di gorgonia, con un impoverimento impressionante della biodiversità, diretto e indiretto. Oltre al danno biologico, le morie, modificando il paesaggio, fanno perdere anche attrattività estetica ai siti frequentati dal turismo subacqueo, con un danno economico direttamente calcolabile. Secca di Spargiottello, PN Arcipelago di La Maddalena, Sardegna.
Uno dei fenomeni più vistosi legati al cambiamento climatico e alle conseguenti ondate di riscaldamento della massa d’acqua riguarda le gorgonie. Sono coralli dallo scheletro rigido coperto da un tessuto connettivo all’interno del quale vivono i piccoli polipi che, collegati tra loro, formano la colonia. Nelle acque superficiali si sono registrati sempre più frequenti eventi di moria causati dall’attivazione di cariche di patogeni, latenti a temperature inferiori alle attuali. I patogeni creano la necrosi del tessuto connettivo delle colonie, con la morte dei polipi e il denudamento dello scheletro. La conseguenza più evidente è la perdita totale delle colonie alle basse profondità e una drastica riduzione anche a quote più profonde. Le due immagini mostrano gli stessi scogli nel 2008 e nel 2019, a 24 m di profondità: è evidente la riduzione di numero e dimensioni delle colonie. Tegghja Liscia, AMP Tavolara.
Erano gli anni ’90 e proprio sul finire del secolo le estati diventarono sempre più calde, il termoclino [strato di transizione tra le acque superficiali e quelle profonde nel quale si verifica una brusca diminuzione della temperatura] si abbassò sempre di più. Fu allora che osservai per la prima volta le paramuricee morire alla fine dell’estate: sembravano cotte dal caldo. In realtà, si seppe poi che erano aggredite da cariche di batteri e vibrioni, scatenate dalle alte temperature. Come dimenticare la crisi del 2003? Allora la moria delle gorgonie interessò anche le gorgonie gialle, oltre alla paramuricee, facendole scomparire dalle quote meno profonde di 25 metri e lasciando dietro di sé uno spettrale cimitero di scheletri nudi. E le morie successive? Sempre più ravvicinate, fino a diventare annuali e abbassare il limite di profondità per le colonie in buona salute a 40 metri. E la strage continua. Come non ricordare nello stesso anno quel tuffo sul relitto del KT12 al largo di Orosei? Non riuscivo a capire cosa ci fosse di diverso da ciò che conoscevo come le mie tasche finché, arrivato sul fondo a 34 metri, misi a fuoco l’intrico delle fronde e degli stoloni di Caulerpa cylindracea che avevano trasformato in un’immobile e aliena distesa verde il detrito mobile che circonda le lamiere. Se nel tempo Caulerpa taxifolia ha perso la sua fama di alga assassina, è C. cylindracea oggi a trasformare tutti gli ambient: ubiquitaria, inesorabile e inarrestabile.
Aplysia dactylomela, Porto San Paolo, AMP Tavolara, Sardegna
Bursatella leachili, Punta Saline, Olbia, Sardegna
C. taxifolia, Sardegna
Caulerpa cylindracea, Pilastrino, PN Arcipelago di La Maddalena, Sardegna
Credo fosse il 1989 quando un amico, pescatore professionista, raccolse nel Golfo di Olbia degli animali che non aveva mai visto e che avevano invaso i fondali dove lui pescava tartufi di mare. Erano Bursatella leachii, un mollusco indopacifico del gruppo delle lepri di mare. Alieno non solo per provenienza, ma anche per l’aspetto irsuto. Per me era la prima avvisaglia dell’invasione aliena. Di lì in poi questo alieno ci ha abituato a periodiche invasioni ed è ormai parte integrante degli ecosistemi mediterranei. Accelerazione, scrivevo. Anche l’arrivo di specie aliene è cresciuto nel tempo e, in meno di vent’anni, centinaia di specie si sono acclimatate nel Mediterraneo. Ero a Lampedusa nell’aprile del 2002, appena rientrato da un’immersione, quando un bagnante mi segnalò una presenza strana: un animale molliccio e bitorzoluto. Pensai “sarà una delle solite Bursatella”. Però non si sa mai, meglio controllare: mi tuffai di nuovo dalla spiaggia della Guitgia. Era sì una lepre di mare, ma mai vista prima e sicuramente estranea alla fauna mediterranea. Era la prima segnalazione di Aplysia dactylomela, un mollusco atlantico inconfondibile, con il corpo chiaro ricoperto da anelli scuri. In soli 17 anni quel mollusco dai movimenti lenti ha conquistato ogni angolo del Mediterraneo a oriente, a sud, a nord e fino al mare di Alborán dal quale era arrivato attraverso lo Stretto di Gibilterra. Potrei continuare, perché gli incontri sono stati tanti, ma c’è una storia che forse le riassume tutte. Nel 1997 pubblicai uno dei miei primi libri, Guida alle Immersioni in Sardegna. Il primo capitolo descriveva un sito molto particolare, la Città delle Nacchere a Golfo Aranci. In pochi metri d’acqua centinaia di grandi nacchere stavano erette sul fondo coperto da alghe verdi: ognuna di loro aveva un suo piccolo ecosistema di organismi molto disparati che sfruttavano sia la posizione sopraelevata, sia la corrente causata dalla continua attività di filtraggio del bivalve. Oggi non potrei più iniziare un libro descrivendo quel sito perché non esiste più. In appena un lustro tutte le città delle nacchere sparse nel Mediterraneo sono scomparse perché dal 2016 una micidiale pandemia causata da vari tipi di patogeni (scatenati dall’aumento della temperatura) le ha sterminate quasi tutte. Non si sa se le rarissime sacche di resistenza consentiranno la ripresa della specie, ma sono poche le speranze che ciò accada.
Le foreste di paramuricee sono un habitat cruciale per la buona qualità dei fondali profondi perché con i loro ventagli favoriscono l’insediamento di numerosi altri organismi e strutturano l’ambiente. Nelle due immagini, raccolte nel 2006 e nel 2019 a 40 m di profondità, è evidente come l’aumento delle temperature dell’acqua per lunghi periodi, anche a quella quota, abbia determinato l’impoverimento del sito non solo dal punto di vista estetico, ma soprattutto strutturale e biologico. La colonia che appare morta e ricoperta da epibionti nel 2019 è emblematica di questo processo che, iniziato alla fine degli anni ’90 del secolo scorso, sta divenendo sempre più frequente e a profondità sempre maggiori. Secca del Papa 1, AMP Tavolara, Sardegna
Le immagini raccolte nel 2012 e nel 2018 sul medesimo scoglio a 41 m di profondità evidenziano come la moria da riscaldamento impoverisca la complessità del popolamento, lasciando vuoti e presagendo la perdita totale delle colonie che mostrano chiaramente ampie porzioni prive di tessuto vivente. Alla base delle rocce, dove il fenomeno è in atto, si rinvengono accatastati gli scheletri delle colonie morte. Un eventuale recupero del popolamento richiede tempi molto lunghi essendo le gorgonie animali a crescita molto lenta. Perché una colonia raggiunga un’altezza di 50 cm sono necessari oltre 25 anni: la morte da riscaldamento, quando accade, avviene nel giro di un paio di mesi soltanto. Secca della Mandria, AMP Tavolara, Sardegna.
Lo confermano indirettamente studi recentissimi sulle popolazioni di paramuricea colpite dalle morie del 1999 e del 2003 in Liguria orientale: le condizioni pre-crisi non si sono mai ripristinate. Il recupero è stato solo parziale e nuovi equilibri vanno determinandosi, inquietantemente sconosciuti. Certo è che nuovi equilibri si creeranno, ma è altrettanto certo che saranno diversi da quelli che abbiamo conosciuto, così com’è certo che anche per noi le condizioni post pandemia non saranno quelle che conoscevamo. La lezione che viene dal mare dovrebbe essere studiata di più non solo per capire il futuro dei nostri oceani, ma soprattutto per capire quale potrà essere il nostro, che dipende in larga parte proprio dagli oceani.

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  • Egidio Trainito

    Egidio Trainito è fotografo naturalista e consulente, si occupa di sviluppo compatibile del turismo e di progetti di conservazione in aree marine protette. Per lungo tempo inviato per riviste nazionali, ha al suo attivo oltre 4000 immersioni nei mari del mondo. Socio della Società Italiana di Biologia Marina, ha pubblicato numerosi libri sugli ambienti marini e sulle AMP. La 6° edizione del suo Atlante di Flora e Fauna del Mediterraneo è da poco nelle librerie.

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