Una cava vicino a Bologna ci aiuta a capire la domesticazione del lupo

Nel sito di Ex Cava a Filo, nei Gessi bolognesi, è stata ritrovata una delle più antiche testimonianze della presenza di lupi geneticamente affini ai cani odierni in Italia. Lo studio di questo sito potrebbe fare nuova luce sulla domesticazione del lupo.

6 minuti | 18 Novembre 2022

Fotografie di Andrea De Giovanni

Siamo nel giacimento paleontologico di Ex Cava a Filo, San Lazzaro di Savena, nei dintorni di Bologna. Paolo Reggiani, paleontologo e tassidermista presso il Museo civico di Storia Naturale di Venezia, scruta con attenzione la vertebra di bisonte che, poco alla volta, sta emergendo dal sedimento che l’ha custodita per migliaia di anni. L’osso reca segni di rosicchiamento. «Si tratta molto probabilmente dei segni lasciati dai denti di un lupo», esordisce Reggiani. «Erano lupi più grandi di quelli italiani attuali, in grado di cacciare animali di grossa stazza. Un po’ come gli odierni lupi del Nord America». Solo qualche giorno fa, lo scavo ha restituito una vertebra di bisonte tranciata a metà con una precisione quasi chirurgica.

Tracce di macellazione e segni di rosicchiamento presenti sulle ossa dei grossi bisonti suggeriscono che, verso la fine dell’ultima glaciazione, umani e lupi si spartissero le risorse alimentari che la zona a sud-est dell’odierna Bologna aveva da offrire. E, oggi, i resti fossili di alcuni di quei lupi ci aiutano a gettare luce su un momento cruciale nella storia della nostra specie: la domesticazione del lupo.

 

Com’era l’Italia durante l’ultima glaciazione

Il giacimento paleontologico di Ex Cava a Filo fa parte dei depositi naturali di gesso che si formarono in seguito al prosciugamento del Mar Mediterraneo intorno a sei milioni di anni fa. Successivamente, nell’arco di decine di migliaia di anni, le acque meteoriche scavarono prima profonde cavità nel gesso, per poi riempirle di sedimenti e resti di animali morti, risalenti all’ultima glaciazione.

A quell’epoca, l’Italia settentrionale doveva apparire molto diversa da come la conosciamo. Imponenti ghiacciai ricoprivano gran parte dell’Europa, spingendosi fin sulle nostre Alpi. Il livello del mare era oltre un centinaio di metri più basso di quello attuale, e una vasta landa congiungeva il territorio dell’odierna Pianura padana con i Balcani. Le tribù di cacciatori che vivevano nella zona dei Gessi bolognesi vedevano davanti a loro una pianura dominata da piante erbacee, con alberi radi, ricca di acquitrini e percorsa in lungo e in largo da mandrie di grossi erbivori.

Come mi spiega Gabriele Nenzioni, direttore del Museo della Preistoria “Luigi Donini”, il sito di Ex Cava a Filo ha restituito le ossa di animali tipici di un clima freddo, come il megacero gigante (un cervide di grandi dimensioni) e la lepre variabile, ed è quello in cui è stato rinvenuto il maggior numero di resti di bisonte della steppa in Italia.

ex cava a filo

Il paleontologo Paolo Reggiani, del Museo di Storia Naturale di Venezia, porta alla luce quello che resta di una vertebra di bisonte della steppa. L’osso reca i segni lasciati dai denti di un lupo, la cui antica presenza nel sito di Ex Cava a Filo era già stata attestata. San Lazzaro di Savena, Bologna, 22 settembre 2022.

Le ipotesi sulla domesticazione del lupo

Se il cugino di Charles Darwin, Francis Galton, lo aveva solo ipotizzato, oggi ne siamo praticamente certi: il cane discende dal lupo per domesticazione. Meno certezza c’è su quando, dove e come la domesticazione del lupo sia avvenuta. Gli scenari proposti variano a seconda delle tecniche di studio impiegate e dei campioni analizzati. Una buona parte degli studiosi sostiene che il lupo sia stato domesticato tra i 40 e i 14 mila anni fa, in Asia. 

Per quanto riguarda le modalità, c’è chi ipotizza che gli antichi sapiens si appropriassero di cuccioli di lupo per crescerli come animali domestici, tenendo con sé quelli più mansueti e abbandonando o uccidendo gli altri. Altri studiosi, invece, ritengono più plausibile uno scenario alternativo. Attirati da scarti alimentari e altri rifiuti, alcuni lupi avrebbero cominciato ad avvicinarsi sempre di più agli accampamenti dei sapiens. Questi, solo in un secondo momento, si sarebbero resi conto dei vantaggi del vivere vicino ai lupi, iniziando ad accudire gli esemplari più confidenti e “collaborativi”.

 

Gli antichi lupi di Cava a Filo

Nel 2019, alcuni ricercatori sono balzati sulla sedia scoprendo che alcune porzioni del DNA estratto dai resti di un lupo di Cava a Filo, risalenti a quasi 25mila anni fa, erano molto simili a quelle dei cani attuali e in particolare alle razze canine più primitive, come l’Akita e il Siberian Husky. Si tratta di una delle più antiche testimonianze della presenza di lupi geneticamente affini ai cani odierni in Italia. 

«Non si può escludere che l’esemplare in questione facesse parte di una delle popolazioni di lupi dalle quali sarebbero discesi i cani attuali», spiega la paleogenetista Elisabetta Cilli, del Laboratorio del DNA antico dell’Università di Bologna, con sede a Ravenna. «Un recente studio ha dimostrato che i cani sono geneticamente più simili ai lupi antichi dell’Eurasia orientale. Nonostante ciò, la popolazione lupina dalla quale sarebbero discesi i cani attuali non è ancora stata identificata», continua Cilli. «Inoltre, i cani di Africa e Vicino Oriente hanno ereditato parte del loro patrimonio genetico da una popolazione ancestrale sconosciuta, ma che è imparentata con i moderni lupi euroasiatici sud-occidentali. Da questo punto di vista, la nostra scoperta di un lupo con DNA canino in Italia apre scenari suggestivi».

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Ricostruire il rapporto tra umani e lupi

Lo studio del 2019, tuttavia, prendeva in esame soltanto una piccola porzione del DNA estratto dai resti del lupo. Stabilire il ruolo giocato dai lupi di Cava a Filo nella storia evolutiva del cane a partire da quella singola porzione di DNA è come cercare di ricostruire la trama di un libro leggendone soltanto qualche frase. 

Oggi, i depositi di Ex Cava a Filo sono oggetto di nuove indagini. Un’equipe di studiosi sta proseguendo gli scavi iniziati negli anni ‘50 e continuati a più riprese fino ad oggi. L’intento è anche quello di chiarire i processi naturali che hanno determinato la formazione del giacimento, e di portare alla luce e analizzare altri fossili. 

Alcuni di questi saranno destinati al progetto FIDO, di cui Elisabetta Cilli è a capo. Il progetto si propone di studiare numerosi campioni di lupi antichi, e di selezionarne alcuni da destinare ad analisi genetiche molto approfondite. Ciò che si spera è che l’analisi del DNA estratto da altri resti, assieme alla prosecuzione dello studio paleontologico del sito, consentano di tracciare un quadro più chiaro sul rapporto che legava umani e lupi nella penisola italiana dell’ultima glaciazione.

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  • Andrea De Giovanni

    Andrea De Giovanni è naturalista, appassionato di fotografia e dottorando in Antropologia Molecolare presso l’Università di Bologna. Collabora con il sito di divulgazione scientifica BioPills e con SIMBIOSI Magazine.

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