Secondo i dati del Rapporto Waste Watcher 2019, il “buco nero” dello spreco alimentare è domestico (anche se, per fortuna, i dati per il 2020 sono più confortanti). Tuttavia, le perdite a monte nella filiera alimentare non mancano: cosa si può fare per ridurle? Uno dei fronti su cui si può agire è noto e antico quanto l’agricoltura stessa: cercare di limitare gli attacchi da parte di funghi e insetti patogeni. Il passo successivo è farlo in un’ottica di economia circolare, nella quale lo scarto non è più tale.
Scarti, ma ad alto valore aggiunto, ricchi di sostanze che permettono alla pianta di difendersi.
È per questo che il progetto SUSINCER punta a due vegetali largamente commercializzati in Italia: la rucola, della famiglia Brassicaceae, e le patate, della famiglia Solanaceae (il nome del progetto è un acronimo che sta per “Sustainable use of bioactive compounds from Brassicaceae and Solanaceae wastes for cereal crop protection”). «Vogliamo capire se lungo la filiera di produzione di queste due colture industriali si possano trovare biocomposti utili alla difesa di altre piante. E quindi come possano essere impiegati», spiega Carlotta Balconi, ricercatrice del CREA e coordinatrice scientifica del progetto. «A fronte di un vasto commercio, gli scarti di patate e rucola possono essere anche cospicui: per esempio, nel processo di trasformazione agro-industriale, lo spreco della buccia di patata si aggira sul 10-15% della massa in entrata e può arrivare al 40%. Mondialmente, ogni anno lo spreco ammonta a circa 70-140 migliaia di tonnellate con un trend in rapida ascesa, poiché il settore dei prodotti derivati da patata (surgelati e chips) è in forte crescita».
Scarti, ma ad alto valore aggiunto, ricchi di sostanze che permettono alla pianta di difendersi dagli stress biotici, cioè gli attacchi di parassiti e agenti patogeni. Perché allora non usarli per la protezione di altre coltivazioni?
È noto che le piante sono abili produttrici di “veleni”, varie sostanze chimiche che servono alla difesa da animali erbivori, funghi, batteri, nematodi e virus fitopatogeni. «La letteratura scientifica è particolarmente ricca per quanto riguarda le Brassicaceae, una vasta famiglia di cui fanno parte per esempio anche il broccolo e il cavolo», spiega Balconi. «Esistono già fungicidi basati sui glucosinolati, un gruppo di metaboliti secondari, estratti da queste piante». Con il progetto SUSINCER, i ricercatori vogliono migliorare le formulazioni già presenti sul mercato. Inoltre, cercano di capire se altre varietà di piante possano fornire maggiori quantità di questi composti e valutano i metodi di coltivazione per favorirne la produzione in natura.
«Per quanto riguarda le patate, la ricerca è un po’ più indietro», continua la ricercatrice. Nella buccia delle patate si concentrano alcaloidi e fenoli, molti dei quali sono direttamente implicati nella risposta della pianta agli stress e mostrano proprietà antimicrobiche. «Il nostro obiettivo è quello di identificare i composti più efficaci e testarli in ambiente controllato, per verificare le loro proprietà protettive nei confronti delle colture di mais e di frumento tenero, quello impiegato nella filiera del pane».
I funghi patogeni rappresentano una delle principali minacce all’agricoltura.
I composti bioattivi della pianta possono spesso agire tanto contro i funghi quanto contro gli insetti, anche grazie alla loro capacità di stimolare le difese della pianta, per esempio rafforzando la parete della cellula vegetale laddove ha subìto un attacco. Sono comunque soprattutto le proprietà antimicotiche di questi composti a interessare i ricercatori. I funghi patogeni rappresentano infatti una delle principali minacce all’agricoltura e sia il mais sia il frumento possono patire l’attacco di funghi in grado di produrre tossine che danneggiano la qualità della produzione: le più note sono quelle prodotte da funghi del genere Aspergillus e Fusarium. Inoltre, il loro impatto sulle coltivazioni potrebbe essere influenzato dal cambiamento climatico. Uno studio pubblicato su Scientific Reports, per esempio, suggerisce che la contaminazione da aflatossine del mais prodotte da Aspergillus, esacerbata dai cambiamenti climatici potrebbe diventare un importante problema di sicurezza alimentare in Europa.
«Il progetto è iniziato solo da un mese, ma i risultati che miriamo a raccogliere nei prossimi tre anni di lavoro possono avere un’importante applicazione nell’ottica dell’agricoltura sostenibile, perché ci concentreremo su composti a basso impatto ambientale», conclude Balconi. «Contemporaneamente, le attività di ricerca programmate possono aiutarci a prospettare una riduzione degli scarti: sia riutilizzando, secondo il modello dell’economia circolare, parti di patate e rucola, sia limitando le perdite che possono verificarsi nelle coltivazioni di mais e frumento».