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Ieri è iniziata la COP28, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima: migliaia di delegati dei paesi del mondo si sono riuniti a Dubai per definire le azioni per contrastare la crisi climatica.
La conferenza durerà fino al 12 dicembre, ed è stata preceduta da settimane di negoziati e dalla pubblicazione di numerosi rapporti (tra cui l’Emission Gap Report e il Production Gap Report del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) che fanno il punto sullo stato attuale dell’azione per la crisi climatica. Abbiamo messo assieme una breve guida a cos’è la COP e a cosa ci possiamo aspettare dai negoziati di quest’anno.
Cos’è la COP28
COP è un acronimo che sta per Conferenza delle Parti: le “parti” sono i membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), il trattato che è stato firmato a Rio de Janeiro nel 1992. Una COP “storica” è la COP3 del 1997, in cui è stato adottato il Protocollo di Kyoto.
La COP sul clima è la più famosa, ma ci sono altre COP per altri trattati dell’ONU, per esempio per la convenzione sulla biodiversità (che l’anno prossimo vedrà tenersi la COP16).
Alle COP, i delegati dei paesi negoziano misure e impegni per ridurre le emissioni e contrastare il cambiamento climatico. L’accordo finale dei negoziati deve essere approvato con il consenso di tutti i partecipanti, non solo con la maggioranza: un fattore che nella storia di queste conferenze ha portato a lunghissime trattative e ad accordi poco ambiziosi.
Da dove partiamo
Negli scorsi anni le COP hanno però avuto dei risultati misurabili. Nel 2015, le politiche globali sulle emissioni rendevano probabile che nel 2100 la temperatura globale sarebbe salita di 3,6 °C. Uno scenario catastrofico. Quello stesso anno, nel documento finale della COP21, cioè il cosiddetto Accordo di Parigi, 196 paesi si impegnarono a limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C. Non che le azioni messe in campo nel frattempo siano davvero state sufficienti per raggiungere l’obiettivo, ma un effetto c’è stato: si stima che con le politiche attuali nel 2100 il mondo sarà 2,6 °C più caldo. Ancora troppo, motivo per cui la COP28 di quest’anno e le prossime saranno cruciali per arrivare ad accordi più stringenti.
La COP27, che si è tenuta un anno fa a Sharm el-Sheikh, ha ottenuto un risultato storico: l’accordo sulla creazione di un fondo per coprire i danni economici dei disastri naturali legati alla crisi climatica. Ma l’accordo finale che ha chiuso i negoziati è stato deludente, perché non contiene un chiaro impegno a tagliare più velocemente le emissioni di gas serra. Non si menziona, per esempio, l’obiettivo di eliminare, anche gradualmente, l’uso di combustibili fossili. «Concretamente, i risultati sono stati sia positivi che negativi, ottenendo di più [in azioni] sugli impatti del cambiamento climatico che sulle sue cause», ha riportato il sito di analisi sulla crisi climatica Carbon Brief.
Il nodo dei combustibili fossili
Di cosa si discuterà alla COP28? Sicuramente di come accelerare la decarbonizzazione. La crescita delle rinnovabili non dovrebbe trovare grandi oppositori, ma il problema è ancora mandare in pensione petrolio, gas e carbone. Negli ultimi anni, infatti, uno dei nodi dei negoziati ha riguardato due espressioni: “phase down” (diminuire gradualmente) e “phase out” (eliminare gradualmente). L’oggetto, naturalmente, è l’uso dei combustibili fossili.
Due anni fa, dopo dibattiti infuocati è stato raggiunto un accordo annacquato per il “phasedown of unabated coal” (cioè la diminuzione graduale dell’uso di carbone non accompagnato da piani di cattura e stoccaggio del carbonio). L’anno scorso l’India ha chiesto di ampliare questo obiettivo di diminuzione graduale agli altri combustibili fossili, sostenuta da alcuni, tra cui i paesi UE, e osteggiata da altri. Ci possiamo aspettare che anche quest’anno gran parte del dibattito ruoterà attorno a queste due espressioni.
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Influenza e sorveglianza alla cop28
Quest’anno la COP28 si terrà a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Il fatto che gli Emirati siano uno dei cosiddetti petrostati, paesi la cui economia si fonda sull’estrazione di petrolio e gas, ha fatto sollevare più di un sopracciglio. Senza contare che la persona nominata a Presidente della conferenza è Sultan Ahmed Al Jaber, CEO della compagnia petrolifera di stato degli Emirati (ADNOC). In un lungo profilo per il Guardian, la giornalista Fiona Harvey scrive che Al Jaber sostiene di voler convincere i governi presenti alla COP a triplicare la capacità di energie rinnovabili nei prossimi anni e di avere l’esperienza giusta per parlare al settore petrolifero. Ma allo stesso tempo, sostiene che l’impatto ambientale dei combustibili fossili possa essere ridotto e che ne avremo ancora bisogno in futuro (è dunque per un phase down e non per il phase out).
La preoccupante influenza delle aziende del petrolio e del gas sui negoziati per il clima è stata svelata nelle ultime settimane da alcune inchieste. AFP per esempio ha scoperto che la compagnia di consulenza McKinsey sta usando la sua posizione di advisor alla COP28 per portare avanti gli interessi dei suoi clienti nel settore petrolio e gas. Da un’inchiesta di Associated Press è emerso che alla COP27 molti rappresentanti di compagnie petrolifere hanno partecipato ai negoziati in veste di delegati di paesi, senza dichiarare la loro vera affiliazione. Ed è di questa settimana la notizia, pubblicata dalla BBC, che gli Emirati stanno pianificando di sfruttare il proprio ruolo di ospiti della COP per stringere nuovi accordi per la vendita di petrolio e gas.
I giornalisti e gli attivisti che quest’anno andranno a Dubai sono preoccupati anche per il rischio di sorveglianza e repressione da parte delle autorità. Non sono preoccupazioni esagerate. Amnesty International ha scoperto che l’anno scorso la app ufficiale della COP27 (che, ricordiamo, si è tenuta in Egitto) era sostanzialmente uno spyware che permetteva di avere accesso ad alcune funzioni dei dispositivi su cui veniva installata.
Loss and damage
Un altro nodo della COP di quest’anno sarà l’istituzione di un fondo di “loss and damage” (perdite e danni) per i danni causati dal cambiamento climatico nei paesi più poveri, che è già stata discussa e approvata l’anno scorso. Nelle scorse settimane, durante i negoziati che precedono la COP (e che sono fondamentali perché a queste conferenze in effetti si ottengano dei risultati) è stato raggiunto un primo successo: un progetto per un fondo a cui contribuiranno i paesi più ricchi e che aiuterà quelli più colpiti da effetti del riscaldamento globale come siccità, alluvioni e innalzamento del livello dei mari.
Ieri, durante la prima giornata di negoziati e a poche ore dall’inizio della COP28, è stato raggiunto un primo accordo sull’istituzione del fondo. Le inviate del Guardian a Dubai, le giornaliste Fiona Harvey e Nina Lakhani, hanno riportato che «l’accordo è stato accolto con una standing ovation da parte dei delegati». Gli Emirati e la Germania hanno annunciato che contribuiranno ciascuno con 100 milioni di dollari (circa 90 milioni di euro) all’istituzione del fondo. Il resto dell’UE contribuirà con altri 145 milioni di dollari; il Regno Unito con 75 milioni; gli Stati Uniti con circa 25 milioni; il Giappone con 10 milioni.
Si stima che le perdite e i danni causati dalla crisi climatica nei paesi più poveri ammontino già a 400 miliardi (non milioni) di dollari l’anno. Come misura dei danni che provoca un disastro naturale, pensiamo a quelli che sono stati calcolati per l’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna a maggio: più di 9 miliardi di euro. Per mettere in prospettiva le cifre che i paesi ricchi e quelli produttori di combustibili fossili stanno promettendo di mettere sul piatto per il fondo perdite e danni, può essere utile sapere che in un solo trimestre dell’anno scorso gli utili di ADNOC Gas (la divisione gas naturale della compagnia petrolifera di stato degli Emirati) sono stati più di 980 milioni di dollari.
Dovremo comunque aspettare il termine dei negoziati, il 12 dicembre, per vedere come l’accordo finale sancirà questo fondo. Nel frattempo, il gruppo Italian Climate Network ha avviato una campagna e una raccolta di firme per sostenere l’attivazione del fondo “loss and damage”.
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