Carbon neutral, net zero, emissioni compensate: sono solo alcune delle diciture che sempre più spesso compaiono sui prodotti e servizi che acquistiamo quotidianamente, a segnalare un (vero o suggerito) impegno nella lotta al cambiamento climatico. Queste espressioni rimandano a una pratica apparentemente semplice: quella di acquistare dei token (o gettoni) detti crediti di carbonio, per compensare ogni tonnellata di CO2 immessa in atmosfera.
Una strategia di marketing che sfrutta la crescente sensibilità dei consumatori alle questioni ambientali, ma che spesso si basa su schemi finanziari complessi e non del tutto trasparenti, come quelli del mercato volontario dei crediti di carbonio.
Una tonnellata emessa, un credito acquistato
Il mercato dei crediti di carbonio volontari è un settore in crescita rapida e redditizio, ma ancora poco regolamentato e con numerose aree grigie. L’acquisto di questi crediti consente ad aziende e individui di compensare le proprie emissioni di anidride carbonica (CO2): ogni credito rappresenta una tonnellata di CO2 rimossa dall’atmosfera, o di cui si è evitato il rilascio. Questo meccanismo di compensazione è anche chiamato offset (dall’inglese per “bilanciare”).
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Attualmente, esistono due principali tipologie di mercati: quello regolamentato, come il Sistema di Scambio delle Emissioni dell’Unione Europea (ETS), in cui le aziende scambiano quote di emissioni per rispettare limiti prestabiliti, e quello volontario.
Il mercato volontario dei crediti di carbonio (VCM) permette ai privati e alle aziende di compensare le loro emissioni su base volontaria. Disciplinato dall’articolo 6 dell’accordo di Parigi siglato nel 2015, manca ancora di una più ampia cornice di norme a livello comunitario e si affida ad enti certificatori indipendenti.
Tra questi c’è Verra, gruppo statunitense che approva tre quarti di tutti gli offset volontari e che ha persino un suo standard (VCS) per l’autenticazione dei progetti. Di recente, però, il gruppo Verra è stato al centro di uno scandalo per aver messo in vendita “crediti fantasma”.
Piantare alberi, far crescere crediti
I progetti che generano token possono essere suddivisi in due categorie principali: avoidance e removal. I progetti di avoidance evitano l’emissione di CO2 nell’atmosfera attraverso l’implementazione di pratiche più sostenibili di quelle correntemente in uso, come l’impiego di energie rinnovabili al posto dei combustibili fossili per produrre energia.
I progetti di removal, invece, mirano a sequestrare direttamente l’anidride carbonica dall’atmosfera, ad esempio attraverso la messa a dimora di essenze arboree.
Una delle pratiche più diffuse è quella dell’afforestazione, che consiste nel piantare alberi in aree che non erano precedentemente coperte da foreste; la riforestazione, invece, implica il ripristino di foreste degradate o distrutte. Fanno parte delle strategie di removal anche i progetti REDD+ (Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation), che riducono le emissioni causate dalla deforestazione e migliorano le pratiche di gestione forestale.
Una volta piantati gli alberi, si stima quanta anidride carbonica potranno sequestrare nel corso del loro ciclo vitale attraverso il processo di fotosintesi. Poi si converte la somma in crediti che – come detto – equivalgono ciascuno ad una tonnellata di CO2, e si erogano i crediti da vendere sul mercato.
Proprio lo scorso mese di aprile, il Parlamento Europeo ha approvato un primo accordo provvisorio per la certificazione di progetti di removal.
Un credito di carbonio corrisponde a una tonnellata di anidride carbonica rimossa dall’atmosfera. Le aziende acquistano questi crediti per compensare le loro emissioni: in questo modo, potrebbero teoricamente portarle allo “zero netto” anche senza apportare cambiamenti strutturali nei processi produttivi. Il prezzo di un singolo credito varia a seconda dei progetti, con alcuni che possono raggiungere fino a 180 euro.
I limiti del mercato volontario dei crediti di carbonio
Investire in questo settore consente alle aziende di migliorare la propria immagine e di essere percepite come sostenibili e attente all’ambiente. Tuttavia, i principali acquirenti di crediti includono anche i grandi nomi dell’industria dei combustibili fossili: un circolo vizioso che genera notevoli flussi di denaro, ma impedisce azioni più concrete per ridurre effettivamente le emissioni di gas serra.
Piantare un albero, poi, non è sempre la scelta migliore a livello ecologico. «L’azione di piantare alberi ha un valore simbolico per le persone e quindi è molto attraente a livello commerciale», spiega Sydney Vennin, European Forest Campaigner di FERN, ONG impegnata nella protezione delle foreste. «Ma in realtà le foreste si rigenerano naturalmente se funzionano bene e non dovrebbe essere necessario piantarle».
C’è poca natura in queste distese di alberi piantati per far crescere i crediti. I boschi e le foreste sono ecosistemi complessi, che si reggono su un delicato e fitto intreccio di coesistenza tra specie vegetali e animali. «Molto spesso si tratta di monoculture e questo le rende particolarmente esposte a agenti patogeni. Non bisognerebbe chiamarle foreste ma tree farms [piantagioni]», prosegue Vennin. «E queste piantagioni non risolvono o compensano il problema della deforestazione e del degradamento delle nostre foreste».
Un giro d’affari in costante crescita
Il prezzo dei crediti di carbonio sul mercato volontario può variare notevolmente e può essere influenzato da diversi fattori. In media, i prezzi possono oscillare tra i 5 e i 50 euro per tonnellata di CO2, ma possono raggiungere anche prezzi superiori in base alla tipologia di progetto e all’area geografica dove è realizzato.
Una delle critiche che vengono mosse più spesso al mercato volontario dei crediti di carbonio è che mantenere prezzi dei token troppo bassi renderebbe più vantaggioso per le imprese inquinanti continuare ad acquistare questi servizi, anziché investire in progetti per ridurre direttamente le proprie emissioni. Inoltre, crediti troppo economici sono spesso indicatori di progetti di bassa qualità.
Per contrastare il fenomeno del greenwashing, l’Unione Europea mira ad introdurre entro il 2026 restrizioni sull’uso di claim come climate neutral o eco per i prodotti di consumo, a meno che non siano supportati da prove concrete. Nonostante ciò, la corsa per la compensazione delle emissioni non mostra segni di rallentamento. Dopo una lieve flessione nel 2010, il mercato ha ripreso a crescere, raggiungendo un giro d’affari globale di 1,7 miliardi di euro nel 2022. Le previsioni indicano che questo settore è appena all’inizio: entro il 2050, si stima che il mercato potrebbe valere oltre 34 miliardi di euro.