Clean Sea LIFE, a pesca di rifiuti

Clean Sea LIFE è un progetto europeo che porta l’attenzione sul problema dei rifiuti in mare e sperimenta nuove soluzioni di gestione, tra cui il coinvolgimento dei pescatori.

12 minuti | 19 Marzo 2021

Fotografie di Elisabetta Zavoli
Il Mare Mediterraneo è un hotspot di biodiversità. Con un volume che rappresenta solo lo 0,3% di quello dell’oceano globale, ospita il 7% delle specie marine finora identificate ed ha il maggior tasso di endemismo di specie marine al mondo, infatti tra il 20-30% delle specie marine che vivono nel Mediterraneo si trovano solo qui. Purtroppo però è anche uno dei mari più inquinati al mondo. Secondo il rapporto The Mediterranean: Mare Plasticum pubblicato nel settembre 2020 dall’Unione per la Conservazione per la Natura, ogni anno arrivano nel Mar Mediterraneo 216.269 tonnellate di macro rifiuti di plastica, ovvero l’equivalente di 4500 individui adulti di balenottera azzurra, il mammifero marino più grande che vive nel Mare Nostrum. E sui fondali del Mediterraneo si sono già accumulate 1.178.000 tonnellate di macro rifiuti di plastica. È possibile ripulire il Mediterraneo? Chi potrebbe farlo? Quanto costerebbe? E chi dovrebbe pagare? RADAR Magazine ha intervistato alcuni dei partner e partecipanti di Clean Sea LIFE, un progetto LIFE europeo che ha l’obiettivo di portare all’attenzione del pubblico il problema dei rifiuti presenti in mare e sulle spiagge e di sperimentare nuove soluzioni di gestione. Una delle attività promosse dal progetto è quella del Fishing For Litter: consentire ai pescatori di riportare a terra i rifiuti pescati in mare, accompagnato da un monitoraggio tipologico e merceologico dei rifiuti pescati per identificare la provenienza e capire come fare a gestirli.

Rifiuti marini, rifiuti di nessuno

Gli schemi di Fishing For Litter (FFL) esistono da oltre vent’anni nei paesi che si affacciano sul Mare del Nord, dove rappresentano un’attività consolidata e che funziona bene. I pescatori riportano a terra i rifiuti recuperati accidentalmente durante le attività di pesca e le municipalità costiere li recuperano e li smaltiscono. Nel Mediterraneo i sistemi di Fishing For Litter sono stati applicati solo recentemente, e in Italia solo in via sperimentale. «Nel Nord Europa ci sono pochi porti con pescherecci giganteschi. Questo rende più semplice istituire un sistema di Fishing for Litter. Nel Mediterraneo invece ci sono molti più porti e una moltitudine di imbarcazioni di dimensioni diverse e soggette a regimi differenti, con un’attività di pesca molto più piccola e diffusa, il che rende tutto più complesso» dice Eleonora de Sabata, portavoce del progetto Clean Sea LIFE.
clean sea life
Il motopeschereccio Levriero II del comandante Tomas Parenti (il più giovane comandante della flotta di pescherecci riminesi) rientra in porto a mezzanotte dopo un turno da 4 giorni di pesca in Adriatico.
Per la legge italiana i rifiuti pescati in mare sono considerati rifiuti speciali e la legge non stabilisce né chi debba occuparsi della loro gestione, né come debbano essere smaltiti. Negli ultimi anni i rifiuti, soprattutto di plastica, sono sempre più presenti nelle reti dei pescatori, ma la legge vieta loro di riportarli a terra e quindi spesso i rifiuti pescati sono rigettati in mare oppure riportati a terra in maniera semi-clandestina. «Il progetto Clean Sea LIFE non è stato il primo a introdurre il Fishing For Litter in Italia, ma rispetto a progetti precedenti il nostro obiettivo è stato cercare di capire come fare a creare un’organizzazione a terra per gestire i rifiuti. In particolare volevamo sapere: quanti e quali tipi di rifiuti sono pescati accidentalmente dai pescatori? Dove mettere i rifiuti riportati a terra? Chi deve occuparsi del loro smaltimento e come? E quanto costa e chi paga?» spiega Eleonora de Sabata. Per rispondere a queste domande il progetto ha fatto delle azioni dimostrative di una giornata che hanno coinvolto, nel 2018 e nel 2019, i pescatori e le autorità responsabili in quattro porti italiani: Porto Torres, Manfredonia, San Benedetto del Tronto e Rimini. Nell’ambito del progetto, i pescatori hanno ricevuto delle deroghe momentanee per riportare a terra i rifiuti e le autorità competenti (comuni, aziende per lo smaltimento dei rifiuti, autorità portuali, capitanerie di porto) si sono riunite attorno a un tavolo per decidere come smaltire i rifiuti. La gestione dei rifiuti in Italia è in capo alle Regioni, e nei quattro porti i rifiuti sono stati trattati in maniera diversa: a Rimini e Porto Torres sono stati assimilati ai rifiuti urbani, a Manfredonia sono stati trattati come rifiuti speciali non pericolosi, mentre a San Benedetto del Tronto sono stati assimilati ai rifiuti delle navi.

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Forte adesione delle marinerie alle raccolte di rifiuti

La media di rifiuti riportati a terra per giornata di pesca va dai 16 kg per peschereccio a Porto Torres ai 69 kg a Rimini, con grandissima variabilità legata all’area geografica (Adriatico in media molto più alta che nel Mare di Sardegna), vicinanza a sbocchi fluviali o allevamenti di mitilicoltura, tipo di attrezzo (strascico / rapido). Anche per lo stesso motopesca ci sono state ampie variazioni in base alla zona di pesca e alle condizioni meteo. A San Benedetto, una flotta di 40 pescherecci da ormai due anni riporta a terra ogni giorno i rifiuti con la collaborazione delle autorità, mentre negli altri porti molti pescatori continuano a portare a terra spontaneamente i rifiuti. «Fare il pescatore è un mestiere di famiglia, mio padre presto andrà in pensione, ma viene ancora a bordo. Lui mi ha sempre insegnato a non buttare in mare la plastica che produciamo noi a bordo, e quando ci hanno invitato a partecipare al progetto Clean Sea LIFE lui è stato favorevole da subito» dice Tomas Parenti, 25 anni, da 6 anni comandante del Levriero II, un peschereccio di 23 metri con base al porto di Rimini. «Recuperare la plastica che peschiamo con le reti è un lavoro in più. Le mastelle in cui la conserviamo a bordo pesano. Poi arrivati al porto dobbiamo metterla nei sacchetti, scaricare i sacchetti, metterli sul furgoncino e portarli ai cassonetti. Però con questo progetto ho visto che era fattibile e mi fa piacere. Quindi mi sono detto perché non continuare? Non sapevamo come avrebbe reagito la capitaneria, ma ci hanno lasciato stare e quando riportiamo la plastica a terra la buttiamo nei cassonetti del porto. Il problema è che al Porto di Rimini ce ne solo due cassonetti, e in una settimana uno lo riempio solo io» racconta il pescatore, che ormai da due anni riporta a terra i rifiuti di plastica pescati in mare.

I maggiori inquinanti

Un campione dei rifiuti marini raccolti nei quattro porti è stato analizzato per conoscerne composizione, natura e ove possibile la fonte, secondo il protocollo della Strategia Marina europea e il protocollo mediterraneo MEDITS. Il 60% del totale dei rifiuti analizzati è in plastica, di cui la frazione più importante è rappresentata da oggetti monouso come sacchetti, bottiglie e stoviglie, rifiuti di origine terrestre arrivati in mare a causa di una gestione insufficiente dei rifiuti urbani. Subito dopo saltano agli occhi le retine in plastica per la mitilicoltura, che rappresentano il 26% del totale dei rifiuti analizzati dei quattro porti e quasi il 62% dei rifiuti analizzati a Manfredonia. Alcuni mitilicoltori interpellati durante il progetto Clean Sea LIFE dicono che le retine sono perse a causa di forti correnti e di eventi meteorologici estremi, ma altri ammettono che invece sono deliberatamente buttate in mare durante le operazioni di rincalzo delle cozze.
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Un marinaio dell’equipaggio del motopeschereccio Levriero II si appresta a scaricare il pesce e i rifiuti pescati dopo 4 giorni in mare.
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Tomas Parenti e un marinaio del suo equipaggio mettono i rifiuti, raccolti dalle reti a strascico durante il turno di pesca, dentro un sacchetto nero per il conferimento nei cassonetti a disposizione sulla banchina.

Finanziare lo smaltimento dei rifiuti recuperati

comuni costieri non sono i soli produttori del problema, il marine litter è un problema di tutti» dice Sauro Pari, Presidente di Fondazione Cetacea, partner assieme al Parco Nazionale dell’Asinara, a CoNISMa, Legambiente, Medsharks e Centro Velico Caprera del progetto Clean Sea LIFE. «Come suddividere la responsabilità economica a livello nazionale? Da quanto emerso dal progetto Clean Sea LIFE la quantità di rifiuti riportati a terra è una frazione minima della quantità di rifiuti urbani prodotti annualmente. E anche i costi di gestione sono cifre minime rispetto a quelle sostenute dai comuni. Nonostante questo, sarebbe giusto che ci fosse un fondo nazionale pagato da tutti i cittadini, in altre parole che ci fosse una responsabilità collettiva, così come previsto nel disegno di legge Salva Mare». Il disegno di legge Salva mare, recante «Disposizioni per il recupero dei rifiuti in mare e nelle acque interne e per la promozione dell’economia circolare» – approvato dalla camera dei deputati nell’ottobre 2019 e da allora fermo nella Commissione Ambiente in Senato – prevede che i pescatori possano portare a terra i rifiuti accidentalmente finiti nelle reti, che sono equiparati ai prodotti dalle navi e quindi conferibili senza costi aggiuntivi all’impianto portuale di raccolta. Il disegno di legge prevede inoltre l’istituzione di una tassa di pochi centesimi di euro affinché tutti i cittadini contribuiscano a sostenere i costi della gestione dei rifiuti marini. Entro il 3 luglio 2021 l’Italia dovrà trasporre in legge nazionale la direttiva (UE) 2019/904 sulla riduzione dei rifiuti di plastica sull’ambiente, conosciuta anche come direttiva SUP. Tra le altre cose, la direttiva prevede che gli Stati membri introducano dei sistemi di responsabilità estesa del produttore sui prodotti di plastica monouso e sugli attrezzi da pesca per la raccolta, trasporto, trattamento dei rifiuti derivanti e per la sensibilizzazione. Questo è un altro meccanismo attraverso cui potrebbero essere sostenuti i costi di gestione e smaltimento dei rifiuti marini recuperati tramite il Fishing For Litter.
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Alcuni marinai del Levriero II scaricano sulla banchina i sacchetti neri con i rifiuti pescati durante le “cale” di una settimana di lavoro in mare.

La promessa al mare

Le operazioni di Fishing For Litter sarebbero sufficienti a ripulire tutto il Mediterraneo dai rifiuti di plastica? No. Molti dei rifiuti di plastica accumulati nelle zone più profonde del mare non sono recuperabili. Ed è necessario fermare l’emorragia di rifiuti di plastica in mare tramite la riduzione della produzione di imballaggi di plastica monouso usati a terra e l’introduzione per legge di meccanismi che evitino la dispersione di attrezzi da pesca. Però ogni rifiuto di plastica rimosso dal mare evita la sua frammentazione in microplastiche – che possono potenzialmente entrare nelle reti trofiche – e contribuisce a ripristinare almeno in parte alcune zone dei nostri mari. «Ogni settimana nel porto di Rimini sono riportate a terra tra gli 800 kg – 1,5 tonnellate di rifiuti. Se tutti i pescatori portassero a terra i rifiuti pescati si potrebbero recuperare oltre 200 tonnellate all’anno solo a Rimini» dice Sauro Pari, che dopo la fine di Clean Sea LIFE è impegnato a progettare nuove azioni di Fishing For Litter «Immaginiamoci se la raccolta dei rifiuti fosse fatta da tutte le imbarcazioni in tutta in Italia!»
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Tomas Parenti, 25 anni, comandante del motopeschereccio Levriero II, alla plancia di comando. Da ormai due anni, dopo aver partecipato alle attività di sensibilizzazione del progetto Clean Sea LIFE, il comandante Parenti porta a terra i rifiuti raccolti assieme al pescato nelle sue reti. Ogni settimana conferisce circa 50 kg di rifiuti, per lo più plastici.

Questo articolo è stato prodotto in collaborazione con Clean Sea LIFE.

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    Tosca Ballerini è biologa marina e giornalista scientifica. Si occupa di cambiamenti climatici, risorse marine, inquinamento e citizen science.

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