Ci sono alternative alla plastica in agricoltura?

La plastica in agricoltura è una fonte di microplastiche e viene riciclata poco, ma il suo uso è in crescita. Alcuni materiali (antichi e nuovi), però, offrono delle alternative.

9 minuti | 21 Ottobre 2023

Illustrazioni di Eliana Odelli

Quando si parla di plastica e produzione alimentare il pensiero va probabilmente agli imballaggi e alle confezioni di frutta, verdura, carne e tutto quanto troviamo sugli scaffali del supermercato. Eppure in agricoltura, nei campi, le serre, gli orti, i frutteti e i vivai, la plastica è molto utilizzata. Oggi ci si sta interrogando su quali siano le criticità e i rischi e su come sia possibile ridurre le quantità lavorando sulle filiere della raccolta e del riciclo. E su eventuali materiali alternativi.

 

Com’è usata la plastica in agricoltura

La plastica è stata introdotta nelle aziende agricole a partire più o meno dagli anni ‘60 del secolo scorso. Viene usata per coprire le serre e i tunnel o per la pacciamatura del suolo, per avvolgere le balle di fieno e di insilato per l’alimentazione animale, per i tubi dell’irrigazione, per le reti di protezione dagli agenti atmosferici. Ma anche per fare corde e fili, per i sacchi e i contenitori di fertilizzanti e fitofarmaci, per i vasetti e i vassoi utilizzati nei vivai, per proteggere i semi e per incapsulare i concimi granulari. 

I vantaggi sono moltissimi: i materiali plastici sono leggeri, resistenti, flessibili, elastici, economici, puliti e facili da utilizzare. In alcuni casi essi hanno sostituito i manufatti più caratteristici della circolarità tipica dell’azienda agricola familiare e tradizionale, che prevedevano tempi e produzione manuale inconciliabili con il modello produttivo dell’agroindustria, come le ceste, il vimini o le canne per la legatura e il sostegno delle piante.

In altri casi, l’introduzione dei materiali plastici ha rappresentato un vero e proprio input agronomico. La plastica ha permesso di migliorare rese e qualità, in modo paragonabile a quanto è avvenuto con l’uso dei concimi chimici. Un esempio su tutti è quello dei teli neri pacciamanti, utilizzati soprattutto nell’orticoltura di pieno campo. Le lunghe strisce di film plastico nero steso sul suolo riducono la crescita delle erbe infestanti, aumentano la temperatura del suolo favorendo la germinazione dei semi e l’attività delle radici e dei microrganismi, trattengono l’umidità e migliorano l’efficienza di uso dell’acqua e dei nutrienti nella pianta. Una serie di vantaggi diventati rapidamente irrinunciabili. 

 

Un settore in crescita

Sul totale delle materie plastiche di diverso tipo utilizzate nel mondo, quelle che entrano nel processo produttivo delle diverse coltivazioni non sono una fetta molto ampia. I dati riportati dalla FAO stimano che la quantità di plastica utilizzata in agricoltura e negli allevamenti sia intorno a 12,5 milioni di tonnellate ogni anno: circa il 3,5% dei 359 milioni di tonnellate della plastica consumata annualmente in tutti i settori a livello globale. In Europa si parla di 0,71 milioni di tonnellate. Di queste, il 63% è rappresentato dai film e teli utilizzati per la pacciamatura del suolo, la copertura delle serre o l’insilamento dei mangimi per il bestiame che richiede la creazione di un ambiente anaerobico. 

Tutto sotto controllo quindi? Non proprio. Anzitutto perché l’uso della plastica è in crescita. Soprattutto nei paesi dove l’intensificazione dell’agricoltura industriale è in forte ascesa, come in Cina, le quantità di plastica utilizzate nelle coltivazioni è elevatissima (i dati FAO riportano 5,2 milioni di tonnellate) a fronte di una percentuale di riciclaggio che non supera il 10%. 

I rischi collegati al cosiddetto plastic footprint dell’agricoltura, l’impatto ambientale legato alla plastica, sono quindi sotto la lente di ingrandimento di scienziati, decisori e istituzioni impegnate nella tutela dell’ambiente e nel 2022 anche il Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite ha dedicato un approfondimento alla plastica nel settore agricolo

Nel Focus Group realizzato nel 2021 da EIP Agri, la rete della Commissione Europea per l’innovazione in agricoltura, venti esperti evidenziavano due possibili strategie da integrare all’interno di un sistema complesso che coinvolge settori, materiali, usi e ambienti molto diversi. Da un lato la necessità di gestire, migliorare e ottimizzare quello che si definisce after life dei prodotti di plastica, a partire dalla progettazione, la durata e l’uso fino alla raccolta e il riutilizzo dei materiali riciclabili. Dall’altro, l’importanza di continuare a studiare e sviluppare materiali alternativi e plastiche biodegradabili.

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Il problema del riciclo

Per quanto in Europa gli smaltimenti scorretti dei residui plastici, come il sotterramento o la bruciatura siano fortemente repressi e perseguiti e rappresentino fenomeni fortunatamente ormai marginali, la plastica e i rifiuti per l’agricoltore rappresentano ancora un problema da gestire e un costo da sostenere. Secondo i dati riportati dal rapporto di EIP Agri in Europa, nel 2020 il 37% del rifiuto plastico prodotto in agricoltura veniva riciclato, il 36% utilizzato nella produzione di energia, mentre il 26% restava nelle campagne.

Implementando gli schemi di raccolta e creando sui territori nuove filiere di recupero e riciclo, la plastica può non solo cessare di rappresentare un costo, ma divenire una vera e propria risorsa. In economia circolare, per definire come un rifiuto possa rientrare nel ciclo produttivo cessando di essere uno scarto e tornando a essere una materia prima, si parla di materia prima seconda

«Un rifiuto lo si recupera quando poi la materia prima seconda che si ricava può essere destinata al mercato di trasformazione delle materie plastiche, altrimenti il recupero può essere fatto per qualsiasi tipologia di rifiuto ma poi si è obbligati a portarlo in discarica o all’incenerimento» spiega Gian Domenico Savio del Consorzio Ecopolietilene autorizzato dal Ministero dell’Ambiente che si occupa della raccolta, recupero e smaltimento dei prodotti in polietilene.

Gli spazi per farlo e per fare incontrare la domanda con l’offerta ci sono. 

«In Italia la raccolta e il riciclo stanno aumentando e l’agricoltura rappresenta un bacino importante per la nostra raccolta» continua Savio, «Il valore della materia prima raccolta non è alto perché la plastica dismessa dall’agricoltore è spesso sporca, deteriorata dagli agenti atmosferici o contaminata dai prodotti chimici, ma è comunque richiesta. Addirittura, c’è molta concorrenza tra le aziende che svolgono la raccolta perché hanno un mercato di riciclatori pronti a utilizzarla». 

 

Filiere sempre più efficienti

Alcune filiere sono già attive ed efficienti, come nel caso dei tubi per l’irrigazione che utilizzano per la produzione la stessa plastica raccolta dal riciclaggio dei tubi usati. Oppure dei teli per la pacciamatura che si sono rivelati idonei per la produzione dei sacchetti per la raccolta differenziata nelle nostre case. 

In altri casi, dove lo smaltimento e il riciclaggio rappresentava un problema, è stato necessario uno studio più approfondito per individuare la destinazione di un nuovo prodotto di riciclo. In Puglia, per esempio, i vigneti destinati alla produzione di uva da tavola sono coperti con dei teli di polietilene. Si parla di una tonnellata di teli di polietilene della durata di 4-5 anni per ogni ettaro di superficie in una regione che ha più di 25000 ettari investiti con questa coltura. Fino ad alcuni anni fa il destino di questi teli difficilmente era il riciclo, perché la loro composizione – nonché la presenza di additivi e parti di colore diverso – ne rendeva difficile la cernita o la lavorazione a nuovo polietilene. 

«Per questo – racconta ancora Savio – il Consorzio ha realizzato un progetto pilota, coinvolgendo due aziende agricole, un raccoglitore della provincia di Taranto e un impianto di riciclo in Campania. Sono stati fatti diversi test fino a ottenere una nuova materia prima di plastica riciclata che è stata miscelata con altri granuli plastici per ottenerne un film utilizzabile in edilizia. Con questo progetto abbiamo messo a punto una filiera e adesso le coperture utilizzate nei vigneti sono richieste, ritirate e destinate al riciclo da quasi tutti i raccoglitori».  

 

L’agricoltura, fonte di microplastiche

Uno degli aspetti più critici dell’uso delle materie plastiche utilizzate in agricoltura è legato alla degradazione dei teli plastici e all’accumulo dei residui nel suolo. Esposti agli agenti atmosferici e a contatto con il terreno i teli possono rompersi e al termine del ciclo produttivo, al momento della loro rimozione, parte di essi è soggetta a restare nel suolo.  Questi residui insieme agli altri oggetti monouso come i fili o i ganci delle legature delle piante da frutto o delle viti più soggetti a essere dispersi e abbandonati nell’ambiente, si riducono di dimensione ed entrano a far parte del gruppo dei contaminanti ambientali conosciuti come microplastiche.

Le microplastiche che si vanno ad accumulare nel suolo tuttavia non provengono solo dalla plastica utilizzata in agricoltura. Secondo Luca Nizzetto, che studia i rischi legati alla dispersione delle microplastiche nell’ambiente presso il Norwegian Institute for Water Research, una quota importante di questi inquinanti deriva dai fanghi e dai biosolidi ottenuti dalla depurazione urbana e dispersi in modo diretto o indiretto nei terreni agricoli come fertilizzanti o ammendanti. Una pratica di economia circolare per la quale esistono standard e limiti per altri potenziali contaminanti ma non per le microplastiche.

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I rischi delle microplastiche

Come sottolineano Liuyue He e colleghi in un articolo breve pubblicato nel 2023 su Science Insight, dell’effetto delle microplastiche sull’ecosistema del suolo, la fisiologia delle piante e i rischi per l’ambiente e la salute dell’uomo, si sa e si parla purtroppo ancora poco. Occorrono standard, limiti di legge e normative basate su dati ed evidenze che impongano o limitino l’uso di alcuni materiali e dispositivi in plastica più dannosi per l’ambiente, incentivino la riduzione dell’uso delle plastiche monouso e favoriscano lo studio e lo sviluppo di eventuali alternative biodegradabili. 

Con il loro accumulo le microplastiche modificano la struttura fisica del suolo, interferendo sulla sua porosità e la capacità di trattenere e far circolare l’acqua, e alterano il metabolismo dei microrganismi e dei piccoli vertebrati e invertebrati presenti nel suolo. Queste azioni hanno un impatto non solo in termini di inquinamento e alterazione dell’ecosistema, ma anche di riduzione della capacità di assorbimento delle radici delle piante coltivate, la produttività dei terreni e le rese delle colture.

A questo infine si aggiunge la necessità di analizzare più a fondo il rischio legato alla sicurezza alimentare in quanto, con gli animali che vivono nel terreno come i lombrichi, le microplastiche entrano nel ciclo alimentare. Inoltre, secondo alcune ricerche recenti, alcuni frammenti di polimeri plastici di dimensioni submicrometriche sarebbero in grado di deformare le cellule e penetrare i tessuti delle radici attraverso dei veri e propri varchi di accesso tra le cellule dell’epidermide, per venire quindi trasportati dal sistema vascolare in tutti gli organi vegetali, compresi quelli che consumiamo. 

 

Le alternative alla plastica in agricoltura

Per sostituire i materiali plastici in alcuni casi è possibile introdurre soluzioni sostenibili di carattere agronomico. Come le coperture vegetali di materiali inerti come la paglia o il cippato di legno, o le cosiddette cover crop, cioè coltivazioni erbacee di copertura, che possono svolgere tutte o alcune delle funzioni dei film pacciamanti.  

Sull’uso delle plastiche biodegradabili disponibili per sostituire i film plastici utilizzati in agricoltura ci sono ancora molti interrogativi aperti. Il primo tra questi  riguarda la durata e la resistenza nel tempo di questi materiali. In alcuni casi, sottoposti all’azione degli agenti atmosferici e a contatto con il terreno potrebbero degradarsi, parzialmente o totalmente, prima ancora di avere svolto la loro funzione all’interno del ciclo produttivo. 

Inoltre, solo alcuni dei materiali oggi disponibili possono essere biodegradati nel suolo entro i due anni richiesti dallo standard adottato dall’Unione europea, dal momento che le condizioni di interramento, umidità, temperatura e attività microbica dei terreni agricoli possono variare molto. 

I film biodegradabili cioè sono disponibili sul mercato e possono essere una soluzione efficace e sostenibile in alcune situazioni ma non funzionare altrettanto bene in condizioni diverse. Nella sostituzione delle plastiche tradizionali ogni nuovo materiale dovrebbe quindi essere testato nelle reali condizioni di utilizzo, ma spesso gli agricoltori non hanno le informazioni né le competenze per farlo. Ed è per questo, ma anche per i costi ancora elevati dei nuovi materiali e per un’atavica resistenza e diffidenza del settore dell’agricoltura nei confronti dell’innovazione, che l’adozione delle soluzioni alternative alla plastica nei campi, gli orti, le serre, i frutteti e i vigneti procede ancora con il freno tirato.

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  • Alessandra Biondi Bartolini

    Alessandra Biondi Bartolini è agronoma, giornalista e divulgatrice scientifica. Collabora con riviste tecniche del settore agricolo e vitivinicolo e con magazine e blog di divulgazione scientifica. È direttrice scientifica della rivista trimestrale Millevigne (Editore Vignaioli Piemontesi). Nell’attività di divulgazione prende spunto dalla chimica, la biologia e la fisica del vino per parlare di scienza, e dalla scienza per parlare di vino. Con Antonella Losa ha creato il podcast “C’è Fermento, storie di Uomini e Microbi”.

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    Eliana Odelli è art director, illustratrice, grafica, designer e autrice. Co-fondatrice del collettivo artistico Balene In Volo.
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