La bellezza della ricerca scientifica è tra le ispirazioni della pratica artistica di Caterina Morigi, giovane artista di Ravenna. Una bellezza che non deriva dalla perfezione, ma dall’ostinazione del voler realizzare qualcosa di nuovo, traendo – a volte – anche spunto dagli errori e dal caso.
Partita dall’interesse e dallo studio della storia dell’arte, Caterina Morigi ha iniziato la sua sperimentazione artistica mettendo in discussione le sostanze, i materiali, le dimensioni degli elementi che compongono l’opera d’arte, interrogando la materia per ottenere un risultato diverso. Uno dei suoi primi lavori sono dei monocromi dipinti con il succo di frutta. Sono opere che si modificano col tempo, coinvolgendo i sensi: si imbarcano, cambiano colore, si muovono, anche a livello olfattivo.
«Non mi è mai interessato bloccare la materia in un istante» spiega Caterina Morigi. «Tutt’ora mi oppongo all’idea patriarcale di modellazione, a come siamo ancorati allo stereotipo di scultore forte che scolpisce la pietra ed ha prerogativa sui metalli, mentre la donna è musa immobile, plasmata e inventata dall’uomo». Nella sua pratica artistica, infatti, Morigi preferisce innescare senza spezzare, suscitare reazioni inaspettate, mettere in evidenza la vitalità della materia.
Monocromi, 2012, tela, succo di ananas. Fotografia di Caterina Morigi.
Un passaggio importante è stato, per Caterina Morigi, vivere a Venezia. Un’esperienza che ha plasmato il suo sguardo sulle cose, ha amplificato la voglia di guardarle da vicino, di ritrovarle come frattali e di esplorare «l’imprescindibile e paradossale relazione tra umano e naturale, che a Venezia è incarnata nell’architettura». In quegli anni di studio e ricerca, Caterina Morigi è entrata in contatto con alcuni laboratori scientifici, come il L.A.M.A., il Laboratorio dei materiali antichi dell’Università IUAV di Venezia. Questi incontri le hanno permesso di approfondire gli aspetti più tecnici dello studio sui materiali, fondamentali per portare avanti un approccio attento e, in qualche modo, da ricercatrice.
Mescolare il dato umano con quello scientifico
Caterina Morigi racconta che negli anni Novanta i suoi genitori la portavano in viaggio per castelli e antiche biblioteche. Sua madre, psicoterapeuta junghiana, le parlava degli alchimisti come antenati comuni di scienziati e psicologi. Intanto, suo padre la metteva in posa davanti a una parete rocciosa come riferimento dimensionale per la fotografia delle stratificazioni geologiche, trasmettendole un forte senso di valore e attenzione per gli ecosistemi naturali. Grazie anche agli stimoli forniti dai genitori, ha trovato un modo tutto suo di «mescolare il dato umano con quello scientifico».
Caterina Morigi.
Queste esperienze hanno stimolato in lei la curiosità di poter leggere e decifrare il mondo fisico. Morigi sente il fascino di guardare il tempo scorrere sulle cose, vedere che non sono ferme. E allo stesso modo, di osservare come avvengono talvolta le scoperte scientifiche, per caso o per errore, e come il genere umano ha iniziato a costruire utensili sempre più funzionali tramite l’esperienza, ma anche cogliendo ispirazione dagli imprevisti.
«Trovo che evidenziare l’errore e mostrare ciò che è sempre rimasto nell’ombra sia un gesto politico. È come una rivincita del margine e del silenzio, che nella mia pratica reitero».
Per Caterina la fatalità non toglie importanza alla ricerca, che è bella poiché assidua, ostinata, e talvolta, silenziosa. Lontana dagli sguardi, condivide con l’arte la volontà di vedere realizzato qualcosa di totalmente nuovo oppure pensabile solamente nella teoria: ovvero il compito di dare sostanza a un’idea.
La vita nella materia
Nelle sue opere, Caterina Morigi riflette sui collegamenti e i rapporti che ci legano alla materia e alla natura. All’eternar le opere, per esempio, è il progetto che ha avvicinato Caterina al materiale lapideo. Ha bagnato con una soluzione di acqua e inchiostro dei piccoli frammenti di architetture veneziane deteriorate dagli agenti atmosferici: le venature naturali del marmo si sono rivelate con decisione. Penetrando nel corpo della pietra, il liquido ha reso decifrabili i piccoli frammenti e le crepe, altrimenti invisibili a occhio nudo.
«La bellezza della materia è innegabile. In questo caso io non ho fatto nulla se non riconoscerla, dare avvio a una lieve sfumatura cromatica. Non ho scolpito, non ho distrutto: si tratta solo di guardare una piccola porzione di carbonato di calcio eroso dal microclima lagunare».
All’eternar le opere, 2015, marmo, inchiostro. Fotografia di Caterina Morigi.
In 1/1 invece Caterina Morigi ragiona sui rimandi tra i pattern naturali e quelli umani. L’opera è composta da lastre di ceramica industriale a finto marmo, alle quali l’artista ha aggiunto una seconda stampa superficiale con dettagli di altri marmi, frammenti di pietre antiche e porzioni di pelle umana con nei, cicatrici, vene che collimano con le venature del marmo e il nostro occhio confonde con estrema facilità. L’idea era quella di sovrapporre lo strato naturale, rappresentato dall’immagine del marmo scannerizzato, con quello umano della pelle, per raccontare della somiglianza visiva e sostanziale, guidando lo sguardo verso microscopici dettagli che svelano l’incessante rapporto di scambio, imitazione e somiglianza tra umano e natura.
1/1, 2018, stampa su gres porcellanato in collaborazione con Museo MAMbo e Ariostea. Fotografia di Caterina Morigi.
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In Elitropia, progetto figlio della pandemia, l’artista mescola tra loro sulla carta sostanze antisettiche e disinfettanti che vanno a generare texture e colori incredibilmente simili a nuove forme di vita, batteri, muffe, epidermide. Le carte non trattengono a lungo le sfumature, che a poco a poco svaniscono lasciando visibili altre trame. In contrasto con il loro valore antibatterico, i disegni assumono l’aspetto di nuove forme di vita. Assomigliano visivamente a texture naturali, ossa e conchiglie. Questi elementi sono la parte strutturale degli esseri e la sostanza minerale che vive in noi, rendendoci parte sostanziale del mondo naturale. Su ogni foglio il disegno cambia continuamente nel tempo, sbiadendo o mostrando nuove sfumature.
Marmo, conchiglie e noi
Dopo la pubblicazione di Honesty of Matter (Witty Books), Caterina Morigi entra in contatto con Gabriela Graziani, ingegnera dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna. Graziani in passato si era occupata di metodi per la conservazione dei beni culturali – sviluppando consolidanti e protettivi per i materiali lapidei – ed era poi passata a un progetto sui biomateriali: attraverso lo studio di conchiglie, ossi di seppia, aculei di ricci di mare, cercava metodi per ricreare parti di ossa umane mancanti. La compatibilità di questi elementi, apparentemente diversi tra loro, dimostra come vi sia in realtà una relazione sostanziale tra umano e natura.
Dall’incontro con Gabriela Graziani, Caterina Morigi scopre anche quanto siano simili il lavoro d’artista e quello di ricercatrice – a partire dalle difficoltà di affermarsi in quanto giovani e donne. Ma ciò che Caterina trova più significativo di questo rapporto sono lo stupore e il rispetto delle reciproche discipline. «Mi sono trovata di fronte a una persona aperta e sensibile, con cui è nata anche un’amicizia».
Da questa collaborazione è nato Sea Bones. Caterina Morigi racconta come il nostro scheletro sia composto da fosfato di calcio, e come il marmo e le conchiglie siano formate da carbonato di calcio, una sostanza molto simile e trasformabile. Lo stesso materiale è alla base della vita dei primi organismi esistiti sulla terra: il minerale era sparso in un brodo primordiale che ha dato vita anche ai viventi.
Sea Bones, 2022, stampa 3D. Fotografia di Caterina Morigi.
Il progetto fonde attraverso la fotografia il micro e il macro della materia, sovrapponendo i vari strati di realtà in una possibile nuova alleanza. Ciò che è possibile ora è assimilare l’appartenenza di umano e naturale a un unico mondo di relazioni. Il progetto si evolve raccogliendo immagini con il microscopio ed altri dispositivi, in collaborazione con gli ingegneri e ricercatori dell’Istituto Ortopedico Rizzoli e dell’Università degli Studi di Bologna. Intercambiabili tra loro, le fotografie sfruttano il supporto trasparente, rivelando questa compatibilità anche attraverso la vista e favorendo, con il materiale traslucido, una moltitudine di immagini captate differenti: palpabili o immaginarie.
Come è avvenuto per Sea Bones, Caterina Morigi porta avanti i progetti a lungo, in modo da poterli valorizzare e dare loro il tempo per sedimentare. «Così i temi scientifici restano nel mio pensiero per un tempo dilatato, incrociandosi con altre discipline come la filosofia, la storia dell’arte. Ci sono gli esperimenti scientifici e i miei esperimenti, che sono quasi infantili perché in parte inconsapevoli». La giovane artista ha sempre mantenuto un rapporto empirico con la materia, una volontà di sperimentare toccando e mescolando, lasciandosi stupire dalle variazioni inattese, illusorie, istantanee o lente, microscopiche o macroscopiche.
«Penso semplicemente che la scienza faccia parte della realtà e sia più poetica di quanto immaginiamo. Sea Bones è solo all’inizio e sicuramente prenderà strade inaspettate». Per uno dei suoi prossimi progetti, Caterina Morigi vuole approfondire anche la conoscenza degli smart materials, andando – come sempre – avanti e indietro nel tempo attraverso riferimenti antichi portati nel contemporaneo.