Bernal Díaz del Castillo era uno dei soldati al seguito del conquistador spagnolo Hernán Cortés. Di quell’esperienza ha raccontato in Historia verdadera de la conquista de la Nueva España, pubblicata nel 1576.
Tra le altre cose, Díaz ha scritto della meraviglia provata nel visitare il palazzo reale di Montezuma, il re che governava lo stato azteco dalla capitale Tenochticlán: «Andammo nel frutteto nel giardino, talmente bello da ammirare e percorrere che non mi stancavo mai di osservare la diversità degli alberi e sentire lo specifico profumo di ciascuno di essi, e i sentieri pieni di rose e di fiori, i tanti alberi da frutto e le rose autoctone, nonché gli stagni d’acqua dolce».
E poi la voliera, con uccelli dagli eleganti piumaggi, e la gigantesca cisterna per l’acqua che alimentava il palazzo e i giardini. Cortés e la delegazione spagnola erano stati accolti amichevolmente da Montezuma in persona nel novembre del 1519. Ma già alla fine di giugno dell’anno successivo, il re azteco era stato fatto prigioniero dagli spagnoli e nel giro di poco Tenochticlán, e con essa il palazzo reale, fu distrutta. «Oggi tutte le meraviglie che ammirai allora […] sono state abbattute e perdute, nulla è rimasto in piedi», scrive Díaz. Era iniziata la colonizzazione spagnola del Centro America e nel 1533, l’imperatore spagnolo Carlo V fece insediare nella nuova capitale Città del Messico il primo viceré della Nuova Spagna.
Quella ripercorsa da James Poskett all’inizio del suo Orizzonti, libro che indaga la storia della scienza facendone emergere le radici extra-europee, è la tipica storia di colonizzazione di un popolo ritenuto inferiore per qualità morali (devono essere convertiti al cristianesimo), per capacità fisiche (sono corpi degenerati, più lontani dall’ideale adamitico), per progresso tecnologico e intellettuale (non hanno una lingua scritta come quelle europee, non conoscono le scienze del Vecchio Continente: vanno civilizzati). Ed è esattamente il pezzo di storia che Herbert George Wells ha deciso di raccontare, anche se non esplicitamente, in uno dei suoi capolavori, La guerra dei mondi. Nel romanzo, la colonizzazione è raccontata dal punto di vista del popolo invaso. Solo che a essere vittime della violenza coloniale sono gli inglesi del Middlesex alla fine dell’Ottocento.
L’invasione dei marziani
Arrivano a bordo di cilindri di metallo lanciati dal loro pianeta natale verso la Terra. L’impatto del primo produce un grande cratere che attira i curiosi che vivono nelle vicinanze. Proprio come accadde per Montezuma e la sua corte, il primo contatto non è particolarmente cruento: qualcuno si sporge dal bordo del cratere per guardare giù, ma di primo acchito non sembra ci sia un pericolo imminente. Solo un ragazzo, incautamente, cade all’interno. Di lui non se ne saprà più nulla ma, se non fosse per quanto accadrà più tardi, l’evento sarebbe potuto essere derubricato come un incidente. I marziani hanno corpi deboli, inadatti – nota la voce narrante – alla maggiore gravità terrestre e per certi versi sembrano innocui. Ma nel giro di qualche giorno il loro darsi da fare attorno ai cilindri fa emergere delle macchine di distruzione: treppiedi altissimi e semoventi dotati di un raggio di calore capace di distruggere qualsiasi cosa incontri. Inizia così il tentativo di colonizzazione della Terra da parte dei marziani.
La guerra dei mondi e il colonialismo europeo
Il parallelo con la storia dei conquistadores potrebbe non essere il primo che è venuto in mente a Wells, che faceva riferimento soprattutto all’Impero britannico, arrivato all’epoca della pubblicazione del romanzo al suo apice espansivo. Ma non ci sono dubbi sull’intento di critica diretta dal colonialismo.
Lo scrive esplicitamente Anthony West, il figlio di Wells e della moglie Rebecca West, che nel 1984 ha pubblicato una biografia del padre (“H.G. Wells. Aspects of a Life”, Hutchinson). Ricordando la genesi de La guerra dei mondi, sottolinea come per la prima volta nella sua carriera di scrittore Wells abbia ideato un intreccio narrativo con un intento preciso di critica sociale. Se esistono i marziani con un tecnologia tanto più avanzata della nostra da poter compiere il viaggio interplanetario, Wells immagina la relazione che avrebbero con i terrestri. «Supponiamo che [i marziani] trattino i terrestri come gli europei hanno trattato i popoli che hanno incontrato ai quattro angoli del pianeta», scrive Wells. «Gli abitanti della Tasmania sono stati estirpati dalle loro terre natali e sterminati in cinquant’anni; i belgi hanno fatto lo stesso in Congo, con la nazione Zulu sterminata allo stesso vile modo».
La storia che nei manuali viene ricordata come “Guerra Nera” (1820-1832) è quella del genocidio degli aborigeni della Tasmania operato dall’esercito imperiale per conquistare definitivamente il subcontinente australiano. La conquista del Congo da parte di re Leopoldo II del Belgio è ricordata come una delle dominazioni coloniali più brutali della storia. Wells commenta questi fatti: «Supponiamo che i marziani abbiano la nostra stessa arroganza razziale e siano venuti sul nostro pianeta per ripulire il pianeta e colonizzarlo, proprio come successo in Tasmania». Ecco le basi del romanzo.
Nascosto in piena vista
In La guerra dei mondi si trovano solo pochi accenni, in apertura, a questi temi che hanno ispirato il romanzo stesso. Wells ha deciso di lasciare che siano le emozioni a guidare il lettore. Ci si trova l’adrenalina di un romanzo che si trasforma presto in una fuga per il Middlesex, nel tentativo da parte del protagonista di rimanere in vita e ricongiungersi con la moglie. Ma c’è anche tantissima paura. Non quella di un romanzo dell’orrore, ma la paura di trovarsi di fronte a un nemico superiore per mezzi e potenza. E dotato di quell’arroganza che Wells vedeva negli europei conquistatori della Tasmania.
Nel romanzo, infatti, non c’è nessun tentativo dei marziani di aprire un dialogo: i terrestri vanno solo distrutti per fare spazio alle esigenze dei colonizzatori. In questo modo, l’identificazione empatica di chi legge con l’aborigeno, l’africano, l’indiano è completa: prova gli stessi sentimenti che ci accomunano come esseri umani, ma che sono negati dall’ideologia colonialista.
Un Wells ottimista?
A questa dose di critica sociale – non scontata per un uomo della sua epoca – Wells aggiunge una dose di, forse involontario, ottimismo. Nel romanzo, come in tutte le versioni cinematografiche, i marziani sono sconfitti abbastanza rapidamente da un virus, un agente patogeno che è innocuo per la specie umana ma per il quale gli alieni non hanno difesa alcuna.
Sul piano della critica al colonialismo, Wells lancia una sorta di allarme: attenzione, Impero britannico, perché anche tu potresti finire decimato da una forza ignota che ancora non conosci. Ma d’altra parte, la casualità dell’evento lascia pensare che Wells non credesse possibile che, dall’interno delle società europee, potesse emergere una consapevolezza che il colonialismo era una forma arrogante e razzista di vedere il mondo. E come dargli torto, se a distanza di oltre un secolo dalla pubblicazione de La guerra dei mondi, e decenni dopo la fine della stagione coloniale, larghe frange della società occidentale, delle istituzioni internazionali e dell’opinione pubblica continuano a negare le atrocità commesse dalle potenze colonizzatrici?