Crizia l’aveva sentito raccontare dal nonno, che a sua volta l’aveva sentito riferire da Solone, il quale l’aveva appreso da alcuni sacerdoti durante un suo soggiorno in Egitto. Ѐ una specie di telefono senza fili, quello raccontato da Platone nel Timeo a proposito dell’ubicazione di Atlantide, un’isola grande come la Libia e l’Asia, poi scomparsa inghiottita dal mare. Su dove fosse, le ipotesi si sono moltiplicate nel corso di oltre due millenni: c’è chi la ipotizza oltre le colonne d’Ercole, tra Europa e America; chi invece la pensa come una delle isole dell’Egeo; c’è l’ipotesi che fosse il Sahara dei tempi remoti, prima di diventare un deserto e chi crede che possa trattarsi della Sardegna. In queste poche righe, però, non andremo a caccia dell’isola perduta. Quello che ci interessa è l’ipotesi che almeno un’area del bacino del Mediterraneo a un certo punto sia stata abbastanza asciutta da poter essere abitabile.
Atlantropa, il sogno di un nuovo continente
Quella di un Mediterraneo all’asciutto non è un’ipotesi del tutto campata in aria. Dalle evidenze geologiche che vanno sotto il nome di crisi di salinità del Messiniano, sei milioni di anni fa lo stretto di Gibilterra si sarebbe chiuso in diverse occasioni. Le cause? Due: i movimenti relativi delle placche tettoniche e le glaciazioni. Le conseguenze del ritiro delle acque sono due: l’emersione di enormi territori asciutti e la scomparsa della barriera marina tra Europa e Africa.
In qualche momento della storia, però, le acque dell’Atlantico sono tornate nel Mediterraneo anche attraverso il cosiddetto corridoio di Siviglia/Cordova o corridoio Betico, prima che si riaprisse definitivamente il varco di Gibilterra. Poco meno di un secolo fa, nel 1927, un architetto tedesco ipotizzò però di far ricongiungere nuovamente Europa e Africa.
L’architetto Herman Sörgel aveva un sogno. E questo sogno si chiamava Atlantropa, un unico continente che non fosse più interrotto dal Mediterraneo. Era sì un sogno, ma non così irrealizzabile. In fin dei conti, bastava chiudere con una diga lo stretto di Gibilterra e quello dei Dardanelli e nel giro di pochi anni il nuovo supercontinente sarebbe stato realtà: grandi distese di terreni fertili da coltivare, nuove vie di comunicazione da costruire per collegare nuove città che sarebbero sorte su nuove coste.
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Avvicinare, non colonizzare
Non si trattava però di un sogno di dominio e supremazia, ma di un sogno di avvicinamento dei popoli e di disponibilità di nuove risorse da sfruttare per il benessere di tutti. Non voleva, insomma, che le sue idee venissero confuse con quelle degli inglesi e delle loro mire colonialiste. Dalla fine della Prima Guerra mondiale, con la sconfitta delle truppe tedesche in Tanganica, gli inglesi avevano ottenuto per la prima volta il controllo della totalità dell’Africa orientale, potendo dare inizio alla costruzione della ferrovia da Città del Capo al Cairo: il segno di un intero continente sotto il controllo dell’Impero britannico.
Sörgel calcolò che il Mediterraneo, per effetto dell’evaporazione naturale, si sarebbe abbassato di 1,6 metri l’anno e in poco tempo avrebbe offerto 660 mila chilometri quadrati di nuove terre.
Il progetto di Sörgel non era solo un’ipotesi affascinante. Per tutta la vita, l’architetto di Ratisbona si dedicò allo studio di come realizzarlo, creando progetti su progetti e fondando anche un’organizzazione che raccogliesse i fondi necessari. Sörgel calcolò che il Mediterraneo, per effetto dell’evaporazione naturale, si sarebbe abbassato di 1,6 metri l’anno e in poco tempo avrebbe offerto 660 mila chilometri quadrati di nuove terre. Le dighe necessarie, inoltre, sarebbero state sfruttate anche per la produzione di energia idroelettrica, fornendo a regime circa il 30% del fabbisogno europeo. I nuovi territori sarebbero stati anche, secondo Sörgel, un paradiso per archeologi e storici, che vi avrebbero potuto rinvenire navi romane, greche e reperti di ogni epoca passata.
Da navi a treni
Il problema fu l’ascesa del nazismo. L’idea di nuovi territori era perfettamente in linea con la necessità identificata da Adolf Hilter di un nuovo spazio vitale per il popolo tedesco. Ci fu quindi un momento in cui Sörgel forse pensò di sfruttare questo interesse delle gerarchie naziste. Ma ben presto si rese conto che unire Europa e Africa significava anche facilitare i contatti e i mescolamenti tra ariani e popoli africani, considerati antropologicamente inferiori. Alla fine, quindi, non se ne fece niente, con grande sollievo dello stesso Sörgel, le cui convinzioni cosmopolite e utopistiche erano in contrasto con i valori del nazismo. Anzi, già nel 1942 il governo tedesco proibì a Sörgel di pubblicare i suoi progetti.
L’architetto visionario morì nel 1952, investito da un’auto a Monaco di Baviera, in un incidente poco chiaro: il conducente non fu mai trovato. L’istituto Atlantropa venne definitivamente chiuso nel 1960, proprio all’inizio del decennio che avrebbe portato alla nascita dei movimenti ambientalisti. Il progetto di Sörgel, infatti, non si era mai preoccupato delle conseguenze sul clima e sugli ecosistemi che la creazione di Atlantropa avrebbe potuto provocare. Rimane la storia, raccontata in un bel libro di Osvaldo Guerrieri, di un uomo per certi versi geniale, figlio di un’epoca di grandi speranze per il futuro, che sognava un Mediterraneo solcato non più dalle navi, ma dai treni.