Anche i cavalli sono a rischio epidemia

Un recente focolaio di herpesvirus equino, scoperto nel corso di una serie di gare a Valencia, ha suscitato una particolare preoccupazione per il grande numero di animali colpiti. E ha fatto emergere il ruolo dei trasporti come vettore dei virus.

5 minuti | 14 Maggio 2021

Illustrazioni di Eliana Odelli
In questi tempi di pandemia, è difficile non essere particolarmente sensibili alle questioni riguardanti la diffusione di malattie, siano esse nuove o già conosciute e documentate. In questo caso, però, il rischio non tocca gli esseri umani ma i cavalli, in particolare gli esemplari coinvolti nelle competizioni. Lo scorso febbraio si è diffusa la notizia di un focolaio di herpesvirus equino di tipo 1 (EHV-1) durante una serie di gare a Valencia, il CES Valencia Tour. Di per sé, il virus non è di solito preoccupante e causa infezioni poco dannose per gli animali. In questo caso, però, pur non trattandosi di un nuovo ceppo del virus, stando al sequenziamento genetico, questa epidemia si è rivelata particolarmente pericolosa per gli animali.

Cos’è l’herpesvirus equino

Gianluigi Giovagnoli, medico veterinario e responsabile dell’ufficio veterinario della Federazione Italiana Sport Equestri, spiega nel dettaglio: «l’Equine Herpes Virus 1 (EHV-1) è un virus identificato già da metà del ’900 e perciò da molti anni diffuso endemicamente nella popolazione equina (si stima con prevalenze da 20% nei giovani a 60% negli adulti)». In analogia a quanto avviene per altre infezioni erpetiche (ad esempio, per l’herpes zoster della varicella umana), nei cavalli che superano la prima infezione il virus può rimanere latente. «Possono rimanere nelle cellule dei gangli cervicali e nei linfociti», racconta Giovagnoli, «per riattivarsi a seguito di eventi stressanti o a qualsiasi altro fattore in grado di provocare soppressione immunitaria, con successiva eliminazione nell’ambiente anche in assenza di sintomi clinici». In questo caso, il recente focolaio scoperto nel corso della manifestazione sportiva di Valencia ha suscitato una particolare preoccupazione per il grande numero di animali colpiti. A contrarre il virus sono stati circa 80 cavalli nella sede della competizione, i quali hanno successivamente contagiato altri esemplari nelle rispettive nazioni d’origine. A seguito del rientro di cavalli portatori del virus, infatti, si sono poi verificati altri focolai secondari in Spagna e in molti altri paesi europei. Di questi animali contagiati, 17 sono morti per le complicazioni legate alla malattia o per eutanasia. Per limitare un’ulteriore diffusione, la Federazione Equestre Internazionale (FEI) e alcune Federazioni Nazionali, tra cui anche l’italiana FISE, hanno dapprima sospeso tutte le gare, per poi riprenderle solo dopo il sequenziamento genico che ha escluso si trattasse di un nuovo ceppo del virus. EHV-1 può causare sindromi respiratorie e neurologiche, oltre a provocare aborti nelle giumente negli ultimi mesi della gravidanza, con possibile mortalità neonatale nei puledri che contraggono l’infezione prima della nascita. Sono possibili anche forme in cui i sintomi sono poco visibili o anche invisibili. Anche in queste ultime, comunque, si ha propagazione del virus e diffusione dell’infezione a soggetti sensibili.

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Limitare la diffusione

Il virus viene trasmesso per via respiratoria e con i feti e le membrane fetali. Per questo motivo, alla base della diffusione vi sono i contatti ravvicinati e, soprattutto, le contaminazioni ambientali e di materiali e utensili di scuderia. «Proprio la trasmissione indiretta risulta essere la più subdola», racconta Giovagnoli, «poiché per contrarre l’infezione è sufficiente che un cavallo annusi un oggetto o una superficie contaminata da un portatore (compresi i paucisintomatici e gli asintomatici)». La contaminazione può passare attraverso oggetti inanimati (finimenti, materiale di scuderia, secchi, coperte, abiti delle persone che sono state in contatto con un altro cavallo), ma anche le mani degli operatori o anche altri vettori passivi. L’evento di Valencia ha dimostrato come anche il trasporto dei cavalli da competizione possa essere vettore della malattia: come sottolineato da un documento informativo della FISE, van e rimorchi su cui hanno viaggiato i cavalli infetti possono essere contaminati dal virus e così trasmettere la malattia ad altri animali. È quindi fondamentale curare l’igiene sia delle scuderie sia dei mezzi di trasporto. I viaggi possono essere fonte di stress per gli animali da competizione, e non è escluso che questo porti a un abbassamento delle difese immunitarie dei cavalli nei confronti di EHV-1. Non bisogna però temere uno spillover: la malattia è specie specifica e quindi non è trasmessa ad altri animali, compreso l’essere umano. La FEI e la FISE hanno emanato delle buone pratiche di igiene e di biosicurezza efficaci per ridurre la diffusione dell’epidemia. La situazione attuale, in cui la pandemia di COVID-19 sta ancora influendo in maniera significativa sulla nostra quotidianità, potrebbe aver aumentato la nostra attenzione nei confronti di questa epidemia, come osserva Giovagnoli: «Probabile che il periodo storico che stiamo vivendo possa aver influenzato anche l’aumento della percezione del rischio per altre forme virali e, di conseguenza, anche di quella di cui stiamo parlando. Tuttavia, un aumento di consapevolezza non può che migliorare la gestione in sicurezza delle scuderie, dell’allevamento equino e delle attività equestri». Insomma, il peggio sembra essere passato ma bisognerà comunque tenere gli occhi ben aperti in futuro, per evitare nuove epidemie e garantire il benessere degli animali coinvolti.

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