Quando è nata, nel 1980, Amy Karle era affetta da aplasia cutis congenita (ACC): una malattia rara e potenzialmente letale, che si manifesta con l’assenza di pelle e ossa. Nel caso di Amy, la malattia colpiva la testa. L’infanzia di quella che sarebbe diventata una delle (bio)artiste più note al mondo è trascorsa tra laboratori e farmacie, seguita dai genitori: una biochimica e un farmacista. Dopo numerosi tentativi falliti, Amy Karle si sottopone alla giusta cura – un’operazione sperimentale – che le permette oggi di condurre una vita normale.
Questa esperienza dolorosa ha alimentato in lei, negli anni, il desiderio di esplorare le tecnologie biomediche come artista. Le sue opere scatenano una riflessione profonda sulla condizione umana, sul corpo e sui suoi limiti, integrando medicina, design, filosofia, arte e biotecnologia.
Amy Karle: l’arte che nasce dal corpo
Cresciuta in mezzo alla scienza, Amy Karle ha trovato nell’arte il suo linguaggio primario naturale. «Ricerco e comunico attraverso l’arte perché è il linguaggio che conosco meglio e che mi permette di trasmettere idee ed emozioni complesse sull’umanità e sulla vita».
Il lavoro di Amy Karle ha sempre riguardato il corpo, la fisiologia e le domande fondamentali su cosa significhi essere umani ed essere vivi, con le conseguenti difficoltà e fragilità. Questo ha significato anche mettere a disposizione il proprio corpo per esperimenti scientifici e artistici. «Il mio rapporto con la salute e la prospettiva futura della medicina riflettono la storia della mia vita, intrecciata con sfide mediche e la scoperta della vulnerabilità, della fragilità, della forza e della complessità del corpo umano. La narrazione della malattia, con tutte le paure, speranze e la ricerca di guarigione, costituisce un filo conduttore nella mia ricerca e nel mio lavoro. Questa narrazione mi spinge a immaginare una simbiosi in cui la tecnologia funge da tramite per promuovere il benessere, approfondire la comprensione e arricchire l’esperienza umana di fronte alle sfide mediche».
In Biofeedback (nella foto in apertura di questo articolo), Amy Karle collega il suo corpo e la sua coscienza alla tecnologia per creare arte, riadattando un sintetizzatore video come dispositivo di visualizzazione elettrofisiologica. Mentre medita, l’artista immette il suo biofeedback nel computer, che genera immagini e suoni in tempo reale. L’opera d’arte è sia la performance di lunga durata sia la videoarte sperimentale che viene creata durante il processo.
Integrare la tecnologia nel suo processo creativo è stata una progressione naturale. Con la tecnologia, Karle esprime l’intricata danza tra il tangibile e l’intangibile, l’organico e l’artificiale, per contemplare le complessità dell’esistenza umana di fronte alla rapida evoluzione tecnologica e biotecnologica.
LEGGI ANCHE: Le conoscenze indigene che aiutano la zoologia a identificare nuove specie
Campioni e reliquie
Amy Karle è cresciuta in un laboratorio con sua madre, dove spesso la osservava e aiutava negli esperimenti scientifici. Ma, allo stesso tempo, è cresciuta in un ambiente cattolico. Sua nonna la portava nei santuari e nelle chiese per visitare le reliquie. Entrambi gli spazi ospitavano spesso oggetti viventi – o che un tempo erano stati viventi – che dovevano essere considerati con molta cura e rispetto.
L’estetica di questi oggetti – spesso collocati in vasi di vetro, illuminati in modo codificato – ha profondamente influenzato il modo in cui Amy Karle presenta le sue opere d’arte: sia come reliquie che come campioni scientifici. «Quando utilizziamo tecnologie e biotecnologie che possono alterare in modo permanente l’umanità e cambiare il corso della nostra evoluzione, dobbiamo affrontarle con l’importanza della ricerca e della cura scientifica, oltre che con la venerazione di una reliquia sacra».
Ne è un esempio Regenerative Reliquary, un’opera in cui impalcature biodegradabili stampate in 3D sono usate per la coltura di cellule staminali umane, installate in un bioreattore. «Stavo esplorando le opportunità di miglioramento umano attraverso il bioprinting, ad esempio la sostituzione di arti o organi, e mi chiedevo fin dove ci saremmo potuti spingere. Gli scienziati stavano già lavorando alla crescita dell’osso con questo metodo, ma il lavoro era svolto in laboratorio su una scala molto piccola, come un millimetro o meno».
Amy Karle, Regenerative Reliquary (2016). Fotografia di Charlie Nordstrom.
Per realizzare qualcosa di più grande e immediatamente identificabile come parte di un corpo, Karle e gli scienziati con cui ha collaborato hanno dovuto costruire computer in grado di elaborare i dati per creare una geometria che doveva rappresentare una quantità di cellule simile a quella di un osso della mano umana. Poi hanno dovuto stampare un materiale su cui le cellule potessero crescere senza che il materiale stesso si esaurisse o marcisse durante i lunghi tempi di stampa 3D.
Il risultato è stato il più grande oggetto stampato in 3D mai realizzato per la coltura cellulare. «Anche se quest’opera d’arte non è mai stata concepita per essere installata nel corpo, questo processo potrebbe essere utilizzato un giorno per creare innesti ossei adatti alle esigenze del paziente e realizzati con le sue stesse cellule per ridurre il rischio di rigetto».
Design migliorabile
The Heart of Evolution? è stata la progressione naturale di questa ricerca. L’obiettivo di Amy Karle era creare un’opera che potesse essere immediatamente riconosciuta come un oggetto vivo da uno spettatore. Ed è proprio questo punto cruciale a portare l’artista a lavorare con il cuore, perché le cellule cardiache si contraggono con un ritmo ben visibile, immediatamente identificabile.
Amy Karle con la sua opera The Heart of Evolution? (2019).
Karle ha lavorato con un chirurgo vascolare per immaginare un nuovo design per il sistema vascolare del cuore, potenzialmente in grado di migliorarne la funzione e di avere conseguenze meno gravi in caso di ostruzione di una aorta. Entrambe le opere mettono in discussione il modo in cui gli interventi biomedici curano e migliorano il corpo, superano la selezione naturale e possono alterare il corso dell’evoluzione. The Heart of Evolution? si interroga sul modo in cui l’umanità verrebbe alterata – fisicamente ed emotivamente – da tali modifiche al nostro design e da simili tecnologie per curare e migliorare il corpo.
Rovesciare le convenzioni
Ma per Amy Karle la fisiologia è anche una fonte di ispirazione per ribaltare le convenzioni sul corpo e sulla bellezza. Internal Collection è una serie di abiti ispirati all’anatomia umana, che rappresentano piuttosto fedelmente i nostri apparati interni: il sistema nervoso, i polmoni, il sistema vascolare e i legamenti. Fondendo moda, biologia e tecnologia, Karle ha creato abiti realmente indossabili.
Amy Karle, Internal Collection, cardiovascular (2017).
Amy Karle, Internal Collection, nervous system (2017).
Amy Karle, Internal Collection, lungs (2017).
Amy Karle, Internal Collection, ligaments (2017).
Ogni pezzo ha un approccio di progettazione unico. Il vestito Breathe, basato sull’anatomia dei polmoni, e la tuta ispirata al sistema nervoso sono stati creati per esempio da disegni in stile anatomico realizzati a mano dall’artista e poi trasformati nell’ambiente di modellazione CAD. Ma ha impiegato anche tecniche come le scansioni 3D e la creazione di design a zero o basso spreco.
Karle crea oggetti ispirati all’anatomia umana, con tecniche avanzate che potrebbero contribuire a far avanzare la ricerca scientifica. Ma non si limita a questo: l’artista si interroga – ed esorta chi osserva le sue opere a fare lo stesso – sul senso della nostra esistenza e sui confini, a volte scivolosi, tra avanzamento biotecnologico ed etica. «L’indagine non consiste (necessariamente) nel trovare le risposte, ma nell’affinare le domande migliori da porre. Le domande poste sono un invito a un’ulteriore indagine, a una ricerca più approfondita e a un discorso, piuttosto che a una conclusione».
Un futuro da creare
L’attenzione del mondo sull’intelligenza artificiale e l’arte generativa è cresciuta solo negli ultimi anni, ma è una ricerca che Amy Karle porta avanti fin dal 2015. Finora ha collaborato con aziende, organizzazioni e istituzioni. Ha contribuito a think tank internazionali, hackathon e conferenze sull’IA, sostenendo una convivenza etica ed emancipante con l’IA. «Il futuro con l’IA non deve essere qualcosa che ci accade, ma è qualcosa che possiamo co-creare».
L’artista vanta innumerevoli mostre e premi e nel 2019 è stata selezionata dalla BBC come una delle 100 donne più influenti al mondo. Per l’artista, creare un’opera d’arte e condividerla pubblicamente nei musei e online fa crescere la consapevolezza sul complesso rapporto tra tecnologia e bioetica più di quanto facciano gli esperimenti in un laboratorio e su scala molto ridotta.
Amy Karle sogna un futuro in cui le collaborazioni tra uomo e biotecnologia sono etiche, sostenibili e moltiplicatrici. Ma pensa che non ne dobbiamo ignorare i potenziali pericoli. «Dobbiamo essere consapevoli dei possibili impatti, positivi e negativi. L’intersezione tra bioarte, biodesign, tecnologia, scienza e medicina promette di superare i confini tradizionali, aprendo territori inesplorati. Vedo un futuro in cui la bioarte e il biodesign non sono solo un riflesso, ma parti attive nella creazione e nel dibattito dell’innovazione scientifica e medica, nonché un laboratorio dalle potenzialità infinite per sperimentare una comprensione nuova dell’etica, delle speranze, delle paure e dei misteri della vita».
Gli abiti della serie Internal Collection (2017). Design di Amy Karle, fotografia di Christyl O’Flaherty.