Addio tundra?

L’ecosistema della tundra siberiana sta sparendo a causa dell’aumento delle temperature globali. Nei prossimi decenni, potrebbe essere quasi del tutto sostituita dalla taiga.

5 minuti | 17 Giugno 2022

Testi di Julia Hager

La tundra in Siberia è uno degli habitat che più sta risentendo degli effetti del cambiamento climatico, soprattutto a causa dello scongelamento dei suoli del permafrost e del cambiamento delle precipitazioni, pioggia e neve. Ma il rapido aumento delle temperature nell’Artico sta anche modificando il suolo, lo sta preparando per l’espansione verso nord delle foreste boreali, che si sostituiranno alla tundra.

Gli scienziati dell’Alfred Wegener Institute hanno compiuto una simulazione sul futuro di questi territori. Hanno visto che, anche con misure ambiziose di riduzione dei gas serra, solo un terzo della tundra siberiana verrebbe preservato.

Cambiamenti drastici nell’Artico

Negli ultimi 50 anni, la temperatura dell’aria nell’Artico è già aumentata di oltre 2 gradi Celsius, più che in qualsiasi altra parte del mondo. Con una drastica riduzione delle emissioni di gas serra (scenario di emissioni RCP 2.6), l’ulteriore riscaldamento dell’Artico potrebbe essere limitato a poco meno di 2 gradi Celsius entro la fine del secolo. Al contrario, se non riduciamo le emissioni (scenario RCP 8.5), in meno di 80 anni l’Artico potrebbe registrare temperature medie estive di 14 gradi Celsius superiori a quelle attuali.

«Per l’Oceano Artico e il ghiaccio marino, il riscaldamento attuale e futuro avrà conseguenze significative», afferma il Ulrike Herzschuh, responsabile della Sezione Sistemi Ambientali Polari Terrestri dell’Alfred Wegener Institute (Germania) e co-autore dello studio. 

Se non riduciamo le emissioni, in meno di 80 anni l’Artico potrebbe registrare temperature medie estive di 14 gradi Celsius superiori a quelle attuali.

«Ma l’ambiente cambierà drasticamente anche sulla terraferma. Le vaste aree di tundra artica in Siberia e in Nord America si ridurranno in modo massiccio perché il limite degli alberi si sta attualmente spostando verso nord e si sposterà più rapidamente nel prossimo futuro. Nel peggiore dei casi la tundra scomparirà quasi completamente entro la metà del millennio.

Nel nostro studio abbiamo simulato il processo per la tundra siberiana della Russia nordorientale. L’attenzione si è concentrata su una domanda in particolare: quale percorso di emissioni deve seguire l’umanità per salvare almeno una parte della tundra come rifugio per animali e piante, nonché per la cultura e le relazioni ambientali tradizionali delle popolazioni indigene?».

tundra siberiana

L’erioforo e le altre piante della tundra sono ben adattate alle condizioni artiche, con estati brevi e inverni lunghi. Anche animali come renne, lemming e insetti come il bombo artico hanno trovato qui il loro habitat. Foto di Stefan Kruse.

Come la tundra potrebbe sparire 

I due autori dello studio, Ulrike Herzschuh e Stefan Kruse dell’AWI Helmholtz Centre for Polar and Marine Research, hanno prodotto una mappa dell’evoluzione della vegetazione arborea siberiana. Spiega Kruse: «Il modello mappa l’intero ciclo di vita del larice siberiano nel passaggio alla tundra, dalla produzione e dispersione dei semi alla germinazione e alla crescita completa dell’albero. Questo ci permette di calcolare in modo molto realistico l’avanzamento della linea degli alberi in un clima sempre più caldo».

Secondo la simulazione, la velocità di diffusione aumenterà bruscamente già a partire dal 2030. Entro il 2500, potrebbe restare solo circa il 6% dell’area della tundra in Siberia.

I risultati mostrano che la foresta di larici si sta espandendo verso nord a un ritmo di 30 chilometri per decennio. Poiché la tundra non ha la possibilità di espandersi a causa dell’adiacente Oceano Artico nella Siberia settentrionale, queste aree si ridurranno. 

L’espansione della foresta procede ancora molto lentamente, poiché la vegetazione è in forte ritardo rispetto al riscaldamento. Tuttavia, secondo la simulazione, la velocità di diffusione aumenterà bruscamente già a partire dal 2030. Entro il 2500, potrebbe restare solo circa il 6% dell’area della tundra in Siberia. Tuttavia, anche nello scenario RCP 2.6 – che prevede una drastica riduzione delle emissioni – si conserverebbe solo un terzo dell’area originaria, nella penisola di Taymir e in Chukotka.

Una questione di sopravvivenza

«Per la tundra siberiana è ormai una questione di mera sopravvivenza» commenta Eva Klebelsberg, responsabile delle regioni artiche del WWF Germania. «Solo con obiettivi di protezione del clima molto ambiziosi è ancora possibile salvare aree più vaste. E anche in questo caso, nel migliore dei casi, rimarranno a lungo termine solo due rifugi con popolazioni animali e vegetali più piccole e molto vulnerabili alle influenze dirompenti.

Ecco perché è importante ampliare le misure di protezione e le aree protette nelle zone colpite, al fine di preservare i rifugi per la biodiversità unica della tundra», chiede Eva Klebelsberg, che si batte per la designazione di aree protette in collaborazione con l’Alfred Wegener Institute. «Perché è chiaro che se continuiamo a seguire il cosiddetto percorso business as usual, questo ecosistema è destinato a scomparire».

vista della penisola di taimyr

Veduta aerea delle foreste aperte di larici nella penisola di Taimyr – intorno al fiume Chatanga in Russia. Qui i larici crescono a volte più densamente, a volte solo sporadicamente. I ricercatori si riferiscono a questa zona come alla regione di confine, che va dalle foreste un po’ più dense del sud a quelle del nord, dove gli alberi sono sporadici. Foto di Stefan Kruse.

La versione originale di questo articolo è stata pubblicata su PolarJournal, sito di informazione che racconta le zone polari, con notizie di politica, cultura, scienza, turismo, storia.

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  • Julia Hager

    Julia Hager è una biologa marina che ha preso parte a spedizioni scientifiche in Antartide, nel Mare di Bering, nel Pacifico settentrionale e nell’Atlantico settentrionale. Da più di 10 anni si occupa di problemi ambientali e dell’inquinamento da plastica. Fa parte del team di Polar Journal.

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