Da giovane non avrei mai immaginato di diventare un lichenologo. Scoprii i licheni in Alaska, dopo la laurea: dovevamo rilevare la vegetazione lungo l’Alaska Highway ma nelle pinete c’erano più licheni che piante, per cui iniziai a tentare di dar loro un nome lavorando ogni sera per tre mesi avvolto da nuvole di vampiresche zanzare. Tornato in Italia, scoprii che il nostro Paese, tra il 1846 e il 1860, fu uno dei principali centri della lichenologia mondiale, ma che a causa delle politiche del governo sabaudo la lichenologia si estinse in pochi anni, e che da circa 100 anni quasi nessuno in Italia si era occupato di licheni. C’era quindi molto da fare, e qui cominciò l’avventura.
In breve scoprii che sono “funghi intelligenti”, capaci di fare agricoltura: sono una simbiosi tra un fungo e uno o più organismi che fanno fotosintesi (un’alga o un cianobatterio), ma in realtà al loro interno vivono spesso batteri, altri funghi e addirittura invertebrati. Oggi tendiamo a considerare un lichene come un vero e proprio ecosistema in miniatura.
Certo, la parola lichene evoca spesso paesaggi nordici con tundre e renne. Tanto che i nastri d’argento che decorano gli alberi di Natale, una tradizione nordica, sono il ricordo delle barbe di bosco, lunghi licheni filamentosi che pendono dai rami nutrendosi dei minerali presenti nella nebbia. Tuttavia, anche i licheni seguono la regola generale per cui il numero di specie tende a decrescere dall’equatore ai poli: l’Italia, con più di 2700 specie, ospita più varietà di licheni della Finlandia.
Licheni, rocce e relitti
I licheni crescono quasi ovunque, dalle pareti rocciose più assolate ai tronchi di vecchi alberi in foreste umide. Alcuni vivono in ambienti particolari, ad esempio dentro le rocce (licheni endolitici). Ogni anno porto gli studenti sul Carso Triestino e davanti a un paesaggio roccioso dico loro: «Scommettiamo una birra che qui non vedete neanche una roccia?».
Regolarmente devono pagarmi una birra: basta colpire una roccia con un sasso appuntito per vedere apparire una striscia verde: sono le alghe che il lichene, dissolvendo il calcare, ha portato all’interno della roccia. La cosa più sorprendente è che la quantità di clorofilla presente nella roccia, per unità di area, è simile a quella contenuta nella foglia di una quercia. Nel Carso è difficile trovare una superficie rocciosa libera da licheni endolitici: tutte le nostre rocce sono vive, respirano e fanno fotosintesi!
Lo studio delle “strisce d’inchiostro” […] ci porta indietro di centinaia di milioni di anni, prima che le piante colonizzassero gli ambienti terrestri.
Le strisce d’inchiostro
Un altro ambiente particolare occupato da licheni sono le pareti rocciose verticali, ambienti estremi che pochi organismi sono in grado di colonizzare. Spesso, dopo le piogge, su queste pareti si osservano delle vistose strisce nere, quelle che i Tedeschi chiamano Tintenstriche (strisce d’inchiostro). Sono patine di cianobatteri, organismi molto primitivi in grado di fare fotosintesi, probabilmente tra i primi a colonizzare l’ambiente terrestre. Molti cianobatteri resistono a lungo ad alte temperature e al completo disseccamento, assorbendo rapidamente l’acqua piovana e trattenendola in guaine gelatinose che circondano le loro cellule.
Lo studio delle “strisce d’inchiostro” è interessantissimo, perché ci porta indietro di centinaia di milioni di anni, prima che le piante colonizzassero gli ambienti terrestri. Al centro della striscia, dove l’acqua cola più di frequente, si trovano solo cianobatteri e alcuni funghi che di loro si nutrono, ma alla periferia, dove l’acqua scorre più raramente, cominciano ad apparire dei piccoli licheni neri che entrano in simbiosi con i cianobatteri stessi.
Si tratta delle Lichinaceae, una delle famiglie più primitive di licheni, che rappresenta un relitto – giunto sino a noi in ambienti estremi molto conservativi – dei primissimi fenomeni di lichenizzazione. La capacità di sopravvivere in ambienti estremi, come nei deserti o sulle cime delle più alte montagne, ha reso i licheni interessanti per l’astrobiologia. Alcuni sono stati esposti per giorni nello spazio e riportati sulla terra, dove hanno continuato tranquillamente a vivere.
Pulire o non pulire
Insomma, sono organismi tanto sorprendenti quanto poco conosciuti. Ma anche loro hanno un lato oscuro. La capacità dei licheni di colonizzare le rocce fa sì che essi a volte si rivelino dannosi per i monumenti in pietra. L’Italia ha uno dei più ricchi patrimoni culturali al mondo, e le facciate delle chiese, i bassorilievi e le statue sono spesso colonizzati da dense patine di licheni che ne alterano l’aspetto cromatico e che a volte degradano la roccia.
L’eliminazione dei licheni dai monumenti non è sempre facile: a volte i restauri si rivelano più dannosi dei licheni stessi, aumentando il degrado della roccia o favorendo la dispersione dei minutissimi propaguli dei licheni, che presto sono in grado di ricolonizzare le superfici pulite. Per questo l’eliminazione dei licheni è oggi regolata da norme molto precise, che richiedono l’intervento di un esperto lichenologo.
A volte l’eliminazione dei licheni non è nemmeno auspicabile: le aree archeologiche che circondano Roma sono ricche di monumenti costruiti con pietre portate da luoghi molto lontani, substrati che sarebbero altrimenti assenti e che ospitano una ricchissima biodiversità lichenica. Oggi che la biodiversità è considerata un valore, l’eliminazione totale dei licheni dovrebbe venire evitata.
I licheni, sentinelle per l’inquinamento
I licheni stanno un po’ dappertutto, ma c’è una cosa che temono: l’inquinamento dell’aria. Alte concentrazioni di anidride solforosa provocano la morte dell’alga e quindi la sparizione dei licheni. Un tempo quasi tutta la Pianura Padana e i centri delle più grandi città erano dei veri e propri deserti lichenici. Oggi, almeno in Italia, le concentrazioni di anidride solforosa sono diminuite, e i licheni stanno ricolonizzando gli ambienti urbani. Per la loro sensibilità all’inquinamento i licheni sono famosi come bioindicatori: centinaia di studi sono stati svolti in tutto il mondo per mappare e monitorare l’inquinamento su aree anche molto vaste. Uno studio svolto alla fine degli anni ’90 in Veneto ha rivelato un’altissima correlazione negativa tra biodiversità dei licheni e incidenza di cancro al polmone: in altre parole, dove muoiono i licheni muoiono anche gli esseri umani.
Un’altra peculiarità dei licheni è quella di riuscire ad accumulare, apparentemente senza danni, grandi quantità di metalli in traccia. Ciò permette di utilizzarli come “bioaccumulatori”, mappando dettagliatamente la diffusione dei metalli a partire da una data fonte emittente.
Industrie chimiche in miniatura
Piccoli, talvolta sottili, apparentemente di poco interesse: eppure i licheni sono delle vere e proprie “industrie chimiche” che producono una serie di sostanze rare in natura, alcune delle quali avrebbero anche un potenziale interesse economico. In passato alcuni licheni erano usati per la tintura delle stoffe. Tipico è il caso di quelli del genere Roccella, che venivano raccolti lungo le coste del Mediterraneo e portati a Firenze per le industrie tessili: Palazzo Rucellai apparteneva a una famiglia – i Rucellai, appunto – che prese il nome da questi licheni. Altri licheni sono commestibili, come Aspicilia esculenta, forse la manna della Bibbia, o alcune specie di Umbilicaria vendute a caro prezzo in Giappone.
I licheni del genere Evernia sono ancor oggi ricercati dalle industrie profumiere. Alcune sostanze licheniche, come l’acido usnico, hanno interessanti proprietà farmacologiche. Tuttavia, l’uso dei licheni è molto ridotto, a causa dell’impossibilità di coltivarli su larga scala e della loro lentissima velocità di crescita: un lichene di 10 cm di diametro può avere centinaia di anni.
Nonostante l’alto numero di specie, la loro presenza quasi ubiquitaria, e il fatto che siano uno dei più emblematici esempi di simbiosi nel mondo dei viventi, molti non hanno mai “visto” un lichene, o lo confondono con un organismo diversissimo come un muschio. In effetti i licheni crescono ovunque, dagli alberi dei viali ai muretti in pietra, ma anche al suolo, a volte persino sul metallo, sul vetro e sulla plastica. Ogni anno, dopo i laboratori di Lichenologia, capita che qualche studente mi dica: «Prima non avevo mai visto un lichene, ora appena esco di casa li vedo dappertutto!».