I giardini zoologici e gli acquari sono oggi considerati – nel loro complesso – una delle maggiori forze a favore della conservazione della biodiversità, eppure non sempre questo ruolo viene riconosciuto loro dall’opinione pubblica. Ne ebbi l’ennesima conferma durante la presentazione del romanzo dell’amico Pascal Janovjak, Les zoo de Rome, presso il centro di cultura svizzera della capitale. Alla fine fui avvicinato da alcuni presenti che mi chiedevano conferma, quasi una rassicurazione, della veridicità del mio intervento in cui spiegavo che uno zoo non è una semplice mostra di animali esotici e la salvaguardia delle specie uno degli obiettivi principali, e non da oggi.
Nel loro insieme, gli zoo sono i terzi finanziatori per la conservazione della biodiversità a livello mondiale (350 milioni di dollari è la cifra stimata annualmente). La riproduzione in cattività ha avuto un ruolo essenziale nel 20% dei casi in cui assistiamo a un miglioramento dello status di una specie minacciata. Non sempre sono gli zoo a iniziare questi progetti di riproduzione (negli Stati Uniti, ad esempio, se ne occupa il Fish and Wildlife Service), ma anche in quei casi nelle fasi successive gli zoo si rivelano essenziali per dividere la popolazione di una specie minacciata in diversi luoghi, minimizzando i rischi che potrebbero derivare da eventuali zoonosi e partecipando alle spese di gestione. Di questo pragmatico approccio hanno tratto beneficio specie quali il furetto dai piedi neri, il lupo rosso, il lupo messicano (una sottospecie del Canis lupus), la gru americana, il rallo di Guam e il condor della California.
Il caso del bisonte europeo, salvato dagli zoo
Ma già in precedenza, quasi casualmente, gli zoo hanno salvato da completa estinzione il bisonte europeo, il cavallo di Przewalski, l’orice dalle corna a sciabola, il cervo di Padre David, a volte con la collaborazione di allevatori privati come il Duca di Woburn. Qui gli zoo si erano ritrovati delle piccole popolazioni, frammentate in diversi luoghi, mentre a causa della turbolenza delle guerre o per una caccia eccessiva, le popolazioni selvatiche si erano estinte. Particolarmente importante e pregna di significato fu l’operazione per salvare il bisonte europeo, iniziata nel 1923 e che coinvolse tutti i paesi europei che si erano affrontati nella Grande Guerra. Il biologo italiano Oscar de Beaux (curatore del Museo di Storia Naturale di Genova), che assunse la responsabilità della sezione italiana della Società Internazionale per la Conservazione del Bisonte europeo, scriveva che «Oggi tutti coloro che sanno pensare europamente, che riescono ad elevarsi a concetti sereni, che divinano l’intima essenza di vera civiltà, la quale anziché demolitrice deve essere conservatrice del buono e del bello…, oggi tutti gli amatori di bellezze naturali, gli zoologi, gli zoofili, i veri naturalisti e cacciatori, debbono deplorare la scomparsa della più grossa ed imponente selvaggina dell’Europa, del bisonte».
Qualche anno dopo, nel 1930, lo stesso de Beaux pubblicherà un saggio dal titolo Etica biologica. Tentativo di risveglio di una coscienza naturalistica, primo contributo per un tema destinato ad avere molta risonanza. Il de Beaux aveva lavorato presso il Tierpark di Amburgo e nel 1932 promosse la creazione di un piccolo giardino zoologico a Genova Nervi, attivo sino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Nell’art. 1 del regolamento del Giardino Zoologico di Genova-Nervi, che porta il titolo Definizione e scopi, de Beaux senza esitazione afferma che «Oltre che scopi scientifici ed istruttivi il Giardino Zoologico persegue scopi educativi e zoofili».
Le basi etiche del lavoro degli zoo
Senza saperlo, sono stato educato alla etica biologica fin dalla più tenera età, in quanto alcuni passaggi dei suoi scritti erano utilizzati ampiamente dal Prof. Ermanno Bronzini, sino al 1978 direttore del Giardino Zoologico di Roma e grande sostenitore dell’etica biologica. Chi d’altronde poteva migliorare la definizione di giardino zoologico offerta dal de Beaux?
«Il Giardino Zoologico è infatti un luogo di studio serio e piacevole per lo zoologo di professione e per il dilettante, che vi possono imparare a conoscere le abitudini, il modo di accrescimento, le attitudini e il comportamento fisici e psichici, tanto differenti ed istruttivi, nei vari animali. È un luogo congeniale al lavoro dell’artista, che osserva e fissa sulla tela, sulla carta o nell’argilla la bellezza delle pose, l’eleganza, la destrezza, le armoniche proporzioni delle forme animali. Esso costituisce la mèta delle passeggiate quotidiane di molti bambini, il posto di sano trattenimento all’aria aperta per la gioventù, il luogo di ritrovo per famiglie intere. È una buona scuola di educazione alla pulizia, all’ordine, all’arte importantissima della manutenzione. È scuola efficace di etica biologica, ossia del rispetto all’esistenza delle unità biologiche, del rispetto alla vita, indice assai sicuro del livello civile raggiunto da un popolo».
Oggi, a distanza di un secolo, possiamo solo aggiungere che l’esperimento del bisonte europeo è diventato la norma nel mondo degli zoo, che lavorano europamente (tramite l’EAZA, European Association Zoos and Aquaria) e anche globalmente per gestire popolazione di specie a rischio ed identificare habitat o specie su cui investire anche in situ. E così, mentre contribuiscono al ritorno del gipeto sulle Alpi o alla salvaguardia del visone europeo o della lince pardina, gli zoo accordano anche la massima attenzione al benessere degli animali che ospitano, pubblicando una mole considerevole di studi che affrontano il tema da un punto di vista scientifico.
Ritengo che sia però urgente anche spiegare meglio il nostro lavoro di conservazionisti e le sue basi etiche. È importante fare capire al pubblico che quegli esemplari che osservano negli zoo non sono sottratti alle popolazioni selvatiche ma al contrario si aggiungono a queste, provvedendo informazioni scientifiche, sensibilizzazione e fondi che possono essere cruciali per la