«L’emozione di toccare una carota di ghiaccio ed entrare in connessione con un passato che risale a milioni di anni fa è qualcosa che non può essere spiegato. Sono onorata di aver avuto la possibilità di lavorare con il progetto Ice Memory attraverso la mia arte». Emma Critchley è un’artista subacquea inglese che ha lavorato per 20 anni usando la fotografia, il film, il suono e l’installazione per esplorare il nostro rapporto umano con il mondo sott’acqua in termini politici, ambientali e psicologici. Il suo lavoro punta a fornire un luogo di incontro, uno spazio che supera i confini tra la ricerca e la vita quotidiana, dove la ricerca diventa partecipativa e le pratiche diventano condivise. Attraverso film e installazioni invita il pubblico in ambienti costruiti, consentendo la messa in discussione da una prospettiva esperienziale.
Nel 2019 è stata la prima artista vincitrice del programma triennale di residenza Earth Water Sky della Science Gallery dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Il programma, che si rivolge ad artisti interessati all’ambiente e alla ricerca d’avanguardia, è stato dedicato nel primo anno all’acqua. Il progetto di ricerca a cui Emma è stata abbinata dalla curatrice del programma, Ariane Koek, è stato Ice Memory, condotto da Carlo Barbante, docente di Ca’ Foscari e direttore dell’Istituto di Scienze Polari del CNR, e dal suo team. Ice Memory è un progetto internazionale che raccoglie carote di ghiaccio da ghiacciai in pericolo per conservarle in Antartide, così da costituire una biblioteca di ghiaccio che preservi le informazioni sul clima che cambia per studi futuri.
Ricercatori del progetto ICE MEMORY. Fotografia di Riccardo Selvatico.
La memoria del ghiaccio
«Questo progetto», spiega Emma, «ha aumentato la mia consapevolezza di quanto sia critica la situazione glaciale e il suo posto all’interno della più ampia emergenza climatica. Sono naturalmente molto consapevole dell’urgenza della crisi climatica, ma apprendere che quasi tutti i ghiacciai sono ormai classificati come morti, non accumulando più abbastanza massa per muoversi, mi ha davvero scioccato ed è il motivo per cui ho risposto specificamente a questo nel lavoro».
Lavorare con Carlo Barbante e il progetto Ice Memory ha insegnato a Emma il concetto di interconnettività su scala globale. In passato, l’artista aveva già lavorato sulla relazione interdipendente che abbiamo con il nostro ambiente attraverso l’esplorazione dell’aria che respiriamo. Una delle prime cose che l’ha affascinata, durante la residenza a Science Gallery, è stato ragionare sulla connessione fondamentale che abbiamo con l’atmosfera, non solo attraverso lo spazio ma anche attraverso il tempo.
Emma ha svolto una serie di workshop con un gruppo di ballerini veneti. Sono stati selezionati due ballerini, che non avevano mai lavorato sott’acqua prima, e sono stati sottoposti a un periodo di formazione intensiva in apnea alla Y-40 The deep joy, a Bassano del Grappa, la piscina subacquea più profonda d’Italia e la terza al mondo.
Dopo questo allenamento durato quattro mesi, Emma Critchley ha lavorato con i ballerini e un apneista, in collaborazione con il coreografo Lukas Timulak del CSC – Centro Scena Contemporanea, e li ha filmati mentre eseguivano sequenze subacquee ispirate alle storie contenute nelle carote di ghiaccio.
“Witness”, fotogramma di Emma Critchley.
Un viaggio nel nostro passato
Ne è nato un film a doppio schermo (che si può guardare dal padiglione virtuale italiano CityX Venice fino alla fine dell’edizione 2021 della Biennale Architettura), una meditazione sulle molteplici narrazioni del ghiaccio. L’opera si basa sull’esame di una carota di ghiaccio come post mortem di un ghiacciaio, creando un’interazione tra il corpo umano e il corpo di ghiaccio.
La narrazione del film racconta eventi storici rivelati all’interno delle carote di ghiaccio, che contengono bolle d’aria conservate dall’atmosfera terrestre fino a 2,7 milioni di anni fa. Intrecciando queste storie con le scoperte scientifiche e le storie legate al ritiro dei ghiacciai, l’opera considera il ghiacciaio come testimone degli eventi che hanno portato al suo inarrestabile declino. Attingendo al nostro passato collettivo, non lineare, per esplorare l’interconnessione degli eventi, il film ci chiama in causa come testimoni dell’emergenza climatica che sta investendo in molteplici forme.
Rehearsal, fotografia di Emma Critchley
testimone delle nostre storie
Witness affronta anche il tema della Biennale di Venezia di quest’anno, “How Will We Live Together?”. Per la direttrice creativa Ariane Koek, che ha avviato il programma Earth Water Sky e che ha prodotto Witness, «facendo il collegamento tra il corpo umano e il corpo di ghiaccio noto come ghiacciaio attraverso il movimento, le parole e le immagini tratte da esperimenti scientifici, l’opera di Emma è una meditazione su come tutto ciò che esiste nel nostro mondo, senziente o meno, è interconnesso e influenza il tutto».
Alla base della scelta del titolo del film – Witness, “testimone” – non c’è solo il fatto che la natura sia testimone delle nostre storie, ma anche che noi tutti siamo testimoni degli eventi che sono accaduti e continuano ad accadere.
Da qui lo stimolo ad agire. «Non possiamo più essere solo osservatori di questa crisi. L’azione deve essere globale e allo stesso tempo locale. Dobbiamo fare pressione sui politici e sulle grandi aziende per cambiare le loro modalità e abbiamo la capacità di farlo attraverso il modo in cui viviamo la nostra vita quotidiana. Ogni acquisto che facciamo, per esempio, alimenta il sistema in cui viviamo attualmente. È tutto interconnesso».