A cinquemila metri di altitudine, sulle Ande peruviane, si trova La Rinconada.
Qui, tutto ruota intorno all’oro. All’estrazione artigianale lavorano decine di migliaia di persone, che vivono in condizioni infernali.
I vapori tossici di mercurio coprono ogni cosa e contaminano anche i ghiacciai, che alimentano le riserve d’acqua della regione.

La Rinconada. L’oro malato delle Ande

Una brutale El Dorado peruviana a cinquemila metri di altitudine, in cui decine di migliaia di persone cercano la fortuna. Ma dove le condizioni di vita sono impossibili e i vapori tossici hanno contaminato anche i ghiacciai.

16 minuti | 2 Luglio 2021

Fotografie di James Whitlow Delano
La Rinconada ha un aspetto molto diverso dal leggendario El Dorado dei conquistadores. Nessuna giungla lussureggiante la protegge dagli estranei: oltre i 5 mila metri non cresce un filo d’erba. Le strade non sono ariose e lastricate d’oro ma salgono incerte e dissestate tra cumuli di rifiuti.

Perfino la vita dei suoi abitanti è tutto tranne che agiata: le condizioni di lavoro sono inumane, l’acqua è avvelenata, il rancio scarso e il clima spietato. Eppure, le lusinghe dell’oro richiamano nella città orde di novelli cercatori, attirati dalla possibilità di fare fortuna in breve tempo scavando quello che è soprannominato “il paradiso del diavolo”. Molti di loro non se ne andranno mai più.

UN AMBIENTE ESTREMO

Situata tra i 4.900 e i 5.100 metri sul livello del mare, La Rinconada è il centro abitato più elevato del mondo. A causa dell’altitudine estrema, le condizioni climatiche sono più simili a quelle della costa occidentale della Groenlandia che a una località tropicale: la temperatura media annuale è di poco sopra lo zero. Questo nido d’aquila si erge infatti nelle Ande peruviane, nel distretto di Ananea della provincia di San Antonio de Putina, a un centinaio di chilometri più a nord del lago Titicaca. La successione di baracche e umanità che la compongono è adagiata ai piedi del ghiacciaio Auchita, soprannominato “la bella addormentata”, e dei ricchissimi filoni di quarzo aurifero che venano il fianco occidentale del Monte Ananea.

Un minatore ritorna alla sua casetta di lamiera lungo un precipizio carico di rifiuti, nel complesso della miniera d’oro di La Rinconada, a più di 5400 m in Perù.
Le piscine sono scavate dai lavoratori nel ghiacciaio sopra La Rinconada per raccogliere acqua da utilizzare nella miniera o come acqua potabile. A 5400 m, nevica in qualsiasi momento dell’anno e un tuffo in una di queste piscine potrebbe indurre un’ipotermia fatale.

Sebbene lo sfruttamento dei giacimenti auriferi di alta quota fosse già praticato dagli Incas, e successivamente dagli spagnoli, fino agli anni ’70 del secolo scorso La Rinconada era uno dei tanti villaggi circondati da roccia e ghiaccio­ della zona, abitato da appena una manciata di persone. Nei decenni seguenti, la crisi economica del Perù e l’aumento del prezzo dell’oro attirarono sul posto dapprima minatori e quindi studenti e contadini, nullatenenti e disoccupati, avventurieri e disperati.

Qui mancano tutti i servizi

A poco a poco, in questa città di soli uomini li seguirono anche donne e bambini: secondo il più recente censimento ufficiale, la città conta 30 mila anime, la maggioranza delle quali sono indigeni quechua e aymara, gli unici abituati a tollerare per lunghi periodi l’alta quota. Il numero esatto dei residenti rimane tuttavia incerto: secondo altre stime, sotto i tetti di lamiera si affollano tra le 50 e le 70 mila persone.

Nel disinteresse dello stato – rappresentato unicamente da un risicato presidio di polizia e da una misera clinica sanitaria – questa comunità sopravvive senza acqua corrente, rete fognaria e perfino riscaldamento. La raccolta e il trattamento dei rifiuti sono inesistenti: i grandi cumuli di immondizia abbandonati ovunque, perfino nel cimitero, rendono La Rinconada una colossale discarica a cielo aperto. L’unico motivo per cui le disastrate condizioni igieniche della città non causano un’epidemia è il freddo brutale che argina la proliferazione dei batteri.
La mancanza dei servizi di base, a eccezione dei trasporti e della telefonia mobile, rendono la vita un inferno di miseria. L’elettricità è arrivata in città nel 2002 ma rimane destinata a soddisfare prevalentemente il fabbisogno delle miniere.

Non ci sono numeri precisi, ma si pensa che tra le 30.000 e le 50.000 persone vivano alla base di questo ghiacciaio andino. Sono in cerca di fortuna, ma la maggior parte della gente qui vive in un contesto pessimo, tra fango, pioggia, neve e inquinamento da mercurio.

Schiavi dell’oro

Già, le miniere. Perché a La Rinconada tutto ruota attorno all’oro. Il Perù è l’ottavo produttore globale, ma i suoi giacimenti costituiscono la quarta riserva più ricca, preceduta solamente da quelle di Australia, Russia e Stati Uniti.

Secondo le stime dello United States Geological Survey, nel 2020 sono state estratte in Perù 120 tonnellate di oro, pari a circa il 4% del totale mondiale. Il complesso minerario de La Rinconada non è l’unico del Paese – anche la regione amazzonica è ricca del prezioso metallo – ma è di certo il più ostile: per raggiungere le svariate centinaia di tunnel e cunicoli che lo compongono, ogni giorno gli uomini si inerpicano fino ai 5.400 metri di altitudine lungo sentieri impervi, costellati di immondizia, ritornando con sacchi colmi di rocce sulle spalle. Per ogni tonnellata trattata rimangono, in media, dai dodici ai quindici grammi di oro puro.

Tra freddo e mancanza di ossigeno

Alle donne è invece vietato mettere piede nelle miniere: la superstizione vuole che la montagna sia molto gelosa e che l’oro magicamente scompaia quando entrano. E così, al di fuori dell’imbocco delle gallerie, si accalcano gruppi di pallaqueras che setacciano accovacciate, con un martello in mano, gli scarti dell’estrazione, alla ricerca di scaglie d’oro residue.

Lo sfruttamento minerario dell’intera zona è in concessione alla Corporación Minera Ananea. Questa distribuisce i singoli cunicoli a circa cinquecento “operatori” minerari. Ciascun operatore subappalta a sua volta il lavoro a squadre di minatori, obbligati a lavorare in condizioni estreme in un labirinto di gallerie scavate tra la roccia e il ghiaccio, nelle quali l’ossigeno scarseggia e il freddo penetra le ossa.

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I minatori tornano dalle miniere d’oro all’ora di pranzo lungo un sentiero inciso in una scogliera, oltre una montagna di rifiuti, nel complesso della miniera d’oro La Rinconada.
Un lavoratore entra in un pozzo della miniera cosparso di spazzatura. Il monte Ananea è costellato da decine di pozzi minerari che seguono il ghiacciaio. I minatori seguono strette vene d’oro lunghe fino a 2 km nel cuore della montagna.
Il mercurio, molto più pesante dell’acqua, si deposita sul fondo di una tinozza, dove sarà usato per raffinare l’oro. 
Un minatore impiega una fiamma ossidrica per vaporizzare il mercurio e isolare l’oro, senza usare alcuna protezione respiratoria o per gli occhi.

Il sistema del cachorreo

Lavorare per la Corporación implica accettare il sistema del cachorreo. Questa modalità di lavoro risale all’epoca precoloniale quando il cacicco, cioè il capo del villaggio, disponeva liberamente del lavoro dei membri della comunità in cambio del loro sostentamento. I minatori de La Rinconada sono senza contratto, non godono di ferie, permessi di malattia né contributi previdenziali. Ma soprattutto, lavorano del tutto gratuitamente eccetto uno o due giorni al mese. In questo periodo, tutto l’oro che dovessero trovare diventa di loro proprietà. Si tratta di un vero e proprio terno al lotto: se sono fortunati possono guadagnare qualche migliaio di soles (mille soles valgono circa 250 euro).
Se non lo sono, avranno lavorato gratuitamente per un mese.

Nonostante le condizioni di degrado, sono numerosi quelli che accettano l’azzardo: se premiato dalla scoperta del giusto filone, qualche anno di inferno può riscattare un’intera vita di incertezze e di salari miseri e garantire un’esistenza decorosa per sé e per la propria famiglia. Per questa ragione, i fiacchi tentativi del governo di abolire il cachorreo sono stati finora infruttuosi.

L’incasso è una scommessa

La proposta di riforma del sistema di retribuzione si è spesso scontrata con le proteste dei minatori informales, cioè artigiani, contrariati dalla prospettiva di ricevere uno stipendio misero, benché fisso. Eliminata la sorte dall’equazione, il gioco – e quindi il mestiere – non vale la candela.

Per la maggioranza delle persone, infatti, il colpo di fortuna non arriverà mai, come lasciano intendere le testimonianze, tutte mestamente simili, raccolte negli anni da numerosi reporter. La riflessione più frequente si può riassumere in “sono venuto con l’intenzione di rimanere solo qualche anno, il tempo necessario per arricchirmi. E invece, ho finito per rimanerci”.

Un minatore guida un carrello trasportatore appositamente progettato, nei vicoli stretti e fangosi di La Rinconada, per consegnare il minerale da cui estrarre l’oro.
Una partita di calcio su erba artificiale, perché l’erba non cresce a 5400 metri. Il visitatore fatica a respirare a quell’altezza, eppure i giovani, per lo più quechua e aymara, giocano questo sport di movimento a La Rinconada.
Una negoziante, infagottata contro il costante freddo andino, chiacchiera nel suo piccolo negozio di alimentari nella zona di lavorazione dell’oro. È questa parte di La Rinconada che è maggiormente contaminata dal mercurio, che dopo essere stato vaporizzato durante il processo di purificazione dell’oro si condensa su tutto.

Il problema dell’inquinamento a La Rinconada

A differenza delle ore di lavoro per conto della Corporación, nelle quali i minatori sono spesso dotati di un trapano pneumatico e l’oro viene separato meccanicamente dal resto dei minerali, durante il cachorreo tutto il processo è manuale. Una volta estratte con scalpelli e martelli, le rocce vengono macinate con il quimbalete – una pesante mezzaluna in calcestruzzo e ferro – fino a ridurle in polvere che sarà poi mescolata ad acqua e mercurio in un bollitore.

A temperatura ambiente, il mercurio si combina facilmente con l’oro, formando un amalgama che precipita sul fondo e che permette di isolarlo facilmente dagli altri minerali. A questo punto, una fiamma ossidrica è sufficiente a separare l’amalgama: i vapori di mercurio si disperdono nell’aria fredda dove condensa immediatamente, depositandosi sui tetti delle baracche come sul ghiacciaio che sovrasta la città, che alimenta le principali sorgenti di acqua a disposizione degli abitanti de La Rinconada.

Fango, cianuro e mercurio

Alla fine del processo rimane una grande quantità di fanghi che contengono ancora una certa percentuale d’oro. Per recuperarlo, i fanghi vengono trattati con una soluzione di cianuro, la cui contaminazione ambientale va ad aggiungersi a quella da mercurio.

Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), il rilascio di mercurio nell’ambiente dovuto all’estrazione artigianale dell’oro è responsabile di oltre un terzo dell’inquinamento globale causato da questo metallo, pari a circa 2 mila tonnellate ogni anno. L’inefficienza del metodo non deve trarre in inganno: l’estrazione artigianale produce circa il 12-15% dell’oro mondiale e coinvolge da 10 a 15 milioni di minatori, tra cui 4-5 milioni di donne e bambini, in una settantina di paesi.

La fine del ghiacciaio principale di La Rinconada, che si ritira e cade lungo i fianchi del monte Ananea, impigliato in una rete di tubi che portano l’acqua alle miniere e alla comunità. Nell’aria fredda delle Ande, i vapori tossici di mercurio prodotti dalla purificazione dell’oro si condensano rapidamente su qualsiasi cosa si trovi nelle vicinanze, compreso il ghiacciaio.

Un altissimo prezzo da pagare

L’Organizzazione Mondiale della Sanità considera il mercurio tra le dieci sostanze in assoluto più pericolose. Il principale bersaglio è il sistema nervoso ma danneggia anche reni, polmoni, cuore e sistema immunitario. L’avvelenamento cronico causa disturbi come perdita della memoria, tremori, mal di testa, insonnia, disfunzioni cognitive e disfunzioni nei movimenti.
I bambini sono i più vulnerabili perché il metilmercurio, assunto tramite la dieta, altera il normale sviluppo del cervello causando difficoltà di apprendimento e di elaborazione del pensiero, disturbi della memoria, dell’attenzione e del linguaggio, e disfunzioni motorie e visive.
Una fase critica è quella della gravidanza, perché il feto può essere esposto al mercurio se la madre consuma carne di lama contaminata, l’unica fonte – o quasi – di proteine a disposizione degli abitanti de La Rinconada.

Come se non bastasse, anche la silicosi è molto diffusa nella popolazione. Le vene di quarzite da cui si estrae l’oro sono infatti ricche in silice: l’inalazione prolungata di polvere contenente biossido di silicio danneggia progressivamente i polmoni, causando disfunzioni respiratorie irreversibili. Per una ragione ancora sconosciuta, gli individui silicotici risultano inoltre particolarmente suscettibili alla tubercolosi.

Una minatrice, chiamata “pallaquera” o Figlia di Awichita, tiene un sacco che riempirà di rocce, recuperate da quelle scartate dai minatori, nella speranza di estrarre l’oro. Alle donne è proibito entrare nelle miniere. Si crede che Awichita sia il dio che protegge i minatori e che, se le donne entrassero nella miniera, tutto l’oro scomparirebbe.
Il lago Titicaca è stato cruciale per la storia andina per millenni. Il Rio Ramis, inquinato alla fonte con mercurio, cianuro e metalli pesanti sotto La Rinconada, è il più grande fiume che sfocia nel lago Titicaca, da cui dipendono 2,6 milioni di persone per il loro sostentamento. Nel pesce pescato nel lago sono stati misurati livelli elevati di mercurio.

vivere col mal di montagna 

La malattia più distintiva de La Rinconada, tuttavia, è causata dalla rarefazione dell’aria: ogni respiro qui contiene la metà dell’ossigeno rispetto al livello del mare. La costante privazione può causare una sindrome chiamata mal di montagna cronico, caratterizzato da un’eccessiva proliferazione dei globuli rossi. I sintomi includono vertigini, mal di testa, ronzio nelle orecchie, disturbi di sonno, mancanza di respiro, palpitazioni, affaticamento e cianosi, che rende le labbra, le gengive e le mani di un blu violaceo.
A lungo termine, il mal di montagna cronico può portare a insufficienza cardiaca e morte. Questa condizione non ha cura eccetto il trasferimento a altitudini inferiori, sebbene alcuni dei danni possano essere permanenti.

Ma La Rinconada non uccide solo lentamente, anzi. La maggioranza dei decessi sono causati da incidenti in miniera – detonazioni maldestre di dinamite, crollo di soffitti, asfissia – oppure da risse e rapine. A La Rinconada non mancano infatti bar e bordelli nei quali i minatori sperperano i soldi guadagnati. Questi locali sono aperti a ogni ora del giorno ed è frequente vedere diverbi che si concludono con morti o feriti.

L’oro non è eterno: anche la vena più ricca è destinata a esaurirsi. Si stima che a La Rinconada sarà possibile continuare a scavare solamente per un’altra decina d’anni. Quando quel momento arriverà, i minatori, uno per uno, partiranno alla ricerca di un nuovo El Dorado, portando con sé le loro famiglie e i loro sogni di ricchezza. Ma soprattutto, quella volontà d’acciaio mista a disperazione, tutto ciò che serve per fondare una nuova città infernale.

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    Davide Michielin è biologo e giornalista. Collabora regolarmente con la Repubblica e Le Scienze occupandosi di temi a cavallo tra la salute e l’ambiente. Attualmente è Senior Scientific Manager presso il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) e docente al Master in comunicazione della scienza dell’Università Vita-Salute San Raffaele.
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