Il documentario Seaspiracy [disponibile su Netflix, ndr] ha fatto riscoprire il tema della pesca sostenibile e dell’acquacoltura, riportandoli all’attenzione dei consumatori. Molti ricercatori sono intervenuti evidenziandone alcune pecche, imprecisioni e preconcetti. Mi interessa invece condividere alcuni elementi che possano essere utili ai cittadini per orientarli verso scelte consapevoli e responsabili nel consumo dei prodotti ittici della pesca.
Per farlo serve prima chiarire un elemento di fondo: la sostenibilità non va confusa con l’impatto. Ogni azione umana ha un impatto sulla natura. Che sia trasformare una foresta o un prato in un terreno agricolo o, come nel nostro caso, usare attrezzi da pesca per catturare del pesce, tutto ha un impatto. Nella pesca può riguardare le specie commerciali, quelle non commerciali, gli habitat e, complessivamente, gli ecosistemi.
Cosa si intende per sostenibilità
Il punto è valutare se questo impatto sia sostenibile o meno, ovvero se gli effetti siano reversibili. In pratica questo concetto viene tradotto, per le specie commerciali, nel pescare non oltre il “massimo rendimento sostenibile”, cioè all’intensità che permette di ottenere la massima produzione senza compromettere le capacità dello stock ittico di rigenerarsi. Nel Mediterraneo siamo lontani da questo traguardo di sostenibilità. Secondo la FAO, nel 2018, il 75% degli stock ittici era sovrasfruttato. Un dato allarmante, sebbene migliore di quell’88% registrato nel 2012.
Il punto è valutare se questo impatto sia sostenibile o meno, ovvero se gli effetti siano reversibili.
Come possono fare i consumatori per orientarsi per consumare pesce in modo sostenibile?
Il ruolo delle certificazioni
Sul mercato sono presenti standard ambientali di certificazione dei prodotti ittici su base volontaria. I più noti e diffusi sono Marine Stewardship Council (MSC) e Friends of the Sea, che insieme coprono circa il 25% del pescato globale. Questi marchi certificano la sostenibilità delle attività di pesca sulla base di una serie principi cui si associano degli indicatori quantitativi. Ad esempio MSC considera la consistenza degli stock ittici rispetto agli obiettivi di sostenibilità fissati dalle norme, l’impatto della pesca sulle specie non bersaglio, sugli habitat e gli ecosistemi marini, l’efficacia del sistema regolatorio e sanzionatorio dell’attività di pesca affinché questa sia gestita in modo sostenibile e secondo criteri di equità sociale.
Sebbene, in alcuni casi specifici, siano state avanzate alcune critiche rispetto all’efficacia di questi approcci nel tracciare l’effettiva sostenibilità del prelievo ittico, è ormai assodato che il percorso di certificazione contribuisce a migliorare le performance ambientali e sociali delle pratiche di pesca, favorendo anche una maggiore capacità di autocontrollo e organizzazione delle flotte pescherecce.
Va preferito il consumo di prodotto fresco, locale, possibilmente catturato con attrezzi da pesca passivi, per esempio reti da posta o nasse.
Cosa ci dicono le etichette
Tuttavia, larga parte dei prodotti ittici della pesca nazionale e mediterranea non sono certificati. Come orientarsi dunque in pescheria o al supermercato?
L’etichettatura, intanto, permette la completa tracciabilità dei prodotti, e i commercianti dovrebbero indicare chiaramente provenienza e attrezzo di pesca. Va preferito il consumo di prodotto fresco, locale, possibilmente catturato con attrezzi da pesca passivi, per esempio reti da posta o nasse. In questo modo si sostiene la piccola pesca, che ha impatti sulle risorse e sul clima minori rispetto alla pesca industriale. Inoltre, la pesca artigianale è legata alla nostra forte tradizione etnogastronomica, e aiutarla significa proteggere anche un pezzo della nostra storia e cultura.
I consigli per un acquisito sostenibile
A prescindere dall’attrezzo di cattura, meglio preferire esemplari di grande taglia in modo di assicurarsi che siano stati catturati da adulti. Per molte specie del Mediterraneo sono definite delle taglie minime di sbarco specifiche. Pretendete siano rispettate.
Osate sperimentare specie meno note. Il cosiddetto “pesce povero”, si trova a prezzi convenienti ed è ricco di gusto e tradizione. Valorizzando questo pesce, ridurrete lo scarto della pesca, aiuterete i pescatori e scoprirete tradizioni perdute.
Se potete, fatevi guidare dai consigli di qualche pescatore, da sempre ottimi cuochi. Certo, dovrete investire il bene più prezioso che abbiamo, il nostro tempo. E superare la sindrome del “filetto già spinato e preparato” perché “ho poco tempo”. Investire nella sostenibilità è anche questione di tempo.