Ogni anno, due miliardi di tonnellate di cibo vengono buttate.
Per ripensare il modello con cui nutrire il pianeta si deve partire dalla riduzione degli sprechi. L’Istituto Fraunhofer per la Biologia molecolare e l’ecologia applicata stima che tra il 30 e il 50% della produzione alimentare venga eliminata prima di raggiungere le nostre tavole: ogni anno due miliardi di tonnellate di cibo vengono buttate. Ciò è dovuto a date di scadenza troppo stringenti, alle offerte “prendi tre e paghi due” che portano il consumatore ad acquistare più cibo di quello di cui ha effettivamente bisogno, alla richiesta di cibi esteticamente perfetti, a pratiche agricole, infrastrutture e magazzini per lo stoccaggio inadeguati. A causa del rifiuto dei supermercati di vendere frutti e verdure imperfette il 30% dei vegetali coltivati nel Regno Unito non viene neppure raccolto. 500 miliardi di metri cubi di acqua vengono sprecati così ogni anno per coltivare prodotti che non raggiungeranno mai le nostre tavole.
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Gli insetti vivono ovunque e si riproducono velocemente, sono nutrienti, con contenuti elevati di proteine, grassi e minerali.
Nel Sudest asiatico, per esempio, le uova di formica tessitrice – fritte, in insalata o nelle omelette – sono una costosa prelibatezza. In Botswana, Zimbabwe, Sudafrica e Namibia, le larve della falena mopane (Gonimbrasia belina) sono fondamentali sia per l’alimentazione sia per l’economia locale. In Sudafrica vengono prodotti all’incirca 1,6 milioni di chilogrammi di larve di mopane all’anno e lo Zimbabwe ha persino dedicato una propria moneta a questo insetto. Essiccate, affumicate, mangiate fresche o cucinate con verdure, il loro gusto è delicato e ricorda quello delle foglie di tè. Nel mondo si consumano quasi duemila specie di insetti: coleotteri, lepidotteri, api, vespe, formiche, cavallette, locuste, grilli e molte altre. Gli insetti vivono ovunque e si riproducono velocemente, sono nutrienti, con contenuti elevati di proteine, grassi e minerali. Inoltre, possiedono un alto tasso di crescita e di conversione alimentare. In media gli insetti possono convertire 2 chilogrammi di cibo in 1 chilo di massa, mentre per aumentare della stessa quantità il peso corporeo di un bovino servono 8 chili di mangime. L’impatto ambientale di un allevamento d’insetti inoltre è basso: possono essere nutriti con rifiuti organici come resti di cibo e prodotti umani, compost e liquami, richiedono poca acqua e terreno e producono pochi gas serra. Dal 2003 la FAO sta studiando le potenzialità di insetti e aracnidi non solo per l’alimentazione umana, ma anche per quella animale. Il ricorso su larga scala degli insetti, interi o ridotti in farine e quindi amalgamati ad altri ingredienti, è sempre più diffuso e nei prossimi dieci anni la loro adozione, almeno come mangime nell’acquacoltura e nell’alimentazione di pollame, diverrà verosimilmente la regola. Certo, affinché questo avvenga, sarà necessario ottimizzare e automatizzare modelli di allevamento economicamente vantaggiosi, energeticamente efficienti e microbiologicamente sicuri. Così come nuove tecnologie per la loro raccolta e trattamento, nonché opportune procedure sanitarie che assicurino la sicurezza degli alimenti e dei mangimi. Superate queste criticità, il confronto con la filiera della carne, quantomeno in termini di sostenibilità, sarà imparagonabile.
Fino a una decina di anni fa il pesce crudo suscitava il medesimo rigetto. Eppure, i ristoranti di sushi oggi si contendono una folta clientela di avventori.
Tuttavia, il principale ostacolo allo sbarco degli insetti sulle tavole occidentali è costituito dalla repulsione che suscitano nella maggioranza delle persone. Fino a una decina di anni fa il pesce crudo suscitava il medesimo rigetto. Eppure, i ristoranti di sushi oggi si contendono una folta clientela di avventori. Se presentati nel modo giusto, anche gli insetti potrebbero divenire pietanze alla moda. E dunque facilitare il superamento di questa idiosincrasia ancestrale.
Qualunque sia lo scenario che ci attende, per poter adattare l’agricoltura al nuovo clima dovranno essere sviluppate nuove soluzioni.
L’aumento della resa agricola, la diversificazione delle colture e l’apertura a nuove risorse rappresentano le fondamenta portanti su cui basare l’alimentazione del prossimo futuro. Purché l’architettura finale non si riveli un castello di carte, reso pericolante dalle folate del cambiamento climatico. Elevate temperature, alte concentrazioni di anidride carbonica nell’atmosfera, variazioni delle precipitazioni, invasione di specie infestanti e parassiti altereranno la disponibilità e stabilità delle risorse alimentari. Secondo alcuni analisti, tra il 2080 e il 2100 il cambiamento climatico ridurrà la produzione agricola africana di una percentuale compresa tra il 15 e il 30%. Di certo, non sarà equamente distribuito. I Paesi dell’emisfero australe saranno i più colpiti, mentre le latitudini più elevate potrebbero perfino beneficiare dei mutamenti, grazie all’aumento delle aree coltivabili e della resa dei raccolti, nonché alla dilatazione della stagione favorevole alla coltivazione. Qualunque sia lo scenario che ci attende, per poter adattare l’agricoltura al nuovo clima dovranno essere sviluppate nuove soluzioni. Alcune potrebbero passare per i laboratori. Fin da quando ha iniziato a coltivare piante e allevare animali a scopi alimentari, l’essere umano ha cercato di selezionare quelli con le caratteristiche più vantaggiose, attuando un inconsapevole, ma voluto, miglioramento genetico. Tali caratteristiche rispecchiavano variazioni genetiche che, avvenute casualmente in natura, avevano come risultato, per esempio, un aumento della resa agricola o della resistenza a malattie o pressioni ambientali. Lo sviluppo della genomica ha reso possibile modificare il materiale genetico per esaltare particolari caratteristiche o ottenerne di inedite in piante, animali, batteri e funghi. Una grande rivoluzione, i cui esiti avremo modo di osservare, e forse gustare, già nei prossimi decenni.
Questo articolo è la seconda e ultima parte di una serie sull’alimentazione nell’Antropocene. Leggi la prima parte: “La dieta dell’Antropocene”.