La dieta dell’Antropocene

Nel mondo, gli adulti sovrappeso sono quasi 2 miliardi. L’epidemia dell’obesità si diffonde velocemente, soprattutto nei paesi a basso e medio reddito, dove stanno cambiando gli stili di vita, le tecnologie e il tasso di inurbamento, per abbracciare l’insostenibile modello occidentale.

10 minuti | 24 Gennaio 2021

Fotografie di Lisa Krantz
Una gara a chi perde più peso. A lanciare la singolare sfida agli altri leader delle nazioni dell’Oceania è stato nell’agosto 2018 il premier delle isole Tonga, ’Akilisi Pohiva, preoccupato per la salute degli abitanti. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel 2016 tutti i dieci Paesi con il più alto tasso di obesità erano isole del Pacifico. Qui tra il 50 e il 90% della popolazione adulta è sovrappeso, e tra i bambini la situazione non è migliore. Un’epidemia che non conosce confini: a livello globale nel 2014 gli adulti sovrappeso erano 1,9 miliardi, quasi cinque volte di più di quelli sottopeso. Sebbene la denutrizione rimanga tuttora la causa di quasi la metà delle morti nei bambini sotto i cinque anni, allo stesso tempo si osserva nei Paesi a basso e medio reddito un aumento dell’obesità infantile, che cresce molto più rapidamente che nelle nazioni ricche. Otto delle venti nazioni in cui i tassi di obesità stanno aumentando più velocemente si trovano in Africa. Nel Burkina Faso la prevalenza dell’obesità negli adulti è aumentata del 1400% negli ultimi quarant’anni. In Ghana, Etiopia e Benin del 500%. Si tratta di una vera e propria emergenza che, sospinta da una crescita economica sbilanciata, ha finito per stravolgere ogni aspetto delle società, arrivando a modificare il fisico delle persone.

Secondo le stime dell’Imperial College di Londra, dal 1980 al 2014 la prevalenza del diabete nel continente africano è pressoché raddoppiata.

L’Organizzazione mondiale della Sanità parla di doppio onere della malnutrizione: nella stessa popolazione, nella stessa famiglia e anche nella stessa persona possono coesistere sovrappeso o sottopeso e deficit nutrizionali. Nelle isole Figi, in Papua Nuova Guinea e a Vanuatu, problemi alla tiroide causati dalla carenza di iodio sono endemici. In molte isole del Pacifico sono frequenti i deficit di ferro, con conseguenti casi di anemia nelle donne incinte e nei bambini, nonché di vitamina A, con possibili conseguenze per la vista. L’obesità, poi, è correlata a malattie quali il diabete, l’ipertensione, le malattie cardiovascolari, come ictus e infarto, e a un maggior rischio di sviluppare alcuni tipi di tumori. Nella regione del Pacifico si registrano i più alti tassi di diabete di tipo 2 del mondo: nell’isola di Samoa il 47% della popolazione è affetto dalla patologia, contro il 13 per cento degli statunitensi. Secondo le stime dell’Imperial College di Londra, dal 1980 al 2014 la prevalenza del diabete nel continente africano è pressoché raddoppiata.
Hector Garcia Jr. si alza dalla sua sedia a rotelle e si appoggia a un deambulatore per salire sul sedile posteriore dell’auto di sua madre, nel febbraio 2011. Hector era stato confinato in casa per molti mesi, ma dopo aver iniziato a perdere peso era riuscito ad andare al centro commerciale Sam’s Club per una visita dall’oculista.
I sistemi sanitari dei Paesi a medio-basso reddito non sono preparati ad affrontare questa epidemia. Anche per questo l’aspettativa di vita può ridursi di molto: a causa delle morti precoci in genere dovute a malattie non trasmissibili, come ictus o infarto, nelle isole Figi solo il 16 per cento della popolazione ha più di 55 anni. La situazione non è migliore nei paesi ad alto reddito dove il problema dell’obesità è una realtà da diversi decenni: negli Stati Uniti è sovrappeso od obeso il 38% della popolazione e persino in Italia, patria della dieta mediterranea, il 10% degli adulti è obeso. L’eccesso di peso non è equamente distribuito nelle diverse fasce della popolazione ma grava soprattutto sulle persone con bassi livelli di educazione e stato socioeconomico. La causa di questa pandemia è il cambiamento dello stile di vita. I mestieri tradizionali quali la pesca, la caccia, l’agricoltura, che richiedevano un notevole sforzo fisico, sono sempre più spesso abbandonati in favore di lavori sedentari. La diffusione dei mezzi di trasporto moderni ha ridotto ulteriormente l’attività fisica. A questi si associano l’abbandono della dieta tradizionale, ricca in pesce, cereali integrali, legumi, a favore di cibi altamente processati, bevande zuccherine e alcol. Ricerche condotte nelle isole del Pacifico hanno rilevato che oltre metà delle calorie consumate quotidianamente derivano da grassi (l’OMS raccomanda una proporzione di un terzo).

Durante le carestie la selezione naturale favorisce gli individui che […] tendono a convertire le calorie in adipe, da sfruttare nei periodi di ristrettezze.

Al giorno d’oggi i banchetti oceaniani sono poveri di frutta e vegetali, ma abbondano in costicine di agnello e cibi fritti. Nonché di code di tacchino, le quali possiedono un contenuto di grassi pari al 75 per cento. Si tratta di una ghiandola ripiena di olio che l’uccello usa per rizzare le penne. Il palato occidentale è troppo raffinato per questi manicaretti, e così le code dei 245 milioni di tacchini allevati ogni anno negli Stati Uniti finiscono sulle tavole del Pacifico dove sono considerate una vera prelibatezza. Nel 2007, quando il governo decise di bandirle, i samoani consumavano in media 20 chilogrammi di code di tacchino a testa. Il divieto scontentò la popolazione e finì per essere abrogato appena sei anni più tardi, su pressione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Parte del problema affonda le radici nel retaggio culturale – in molti Paesi africani, ma anche nello stesso Pacifico, l’obesità è vista come una manifestazione di prosperità – e nella genetica. Secondo un’ipotesi elaborata nel 1962 da James Neel, genetista dell’Università del Michigan, durante le carestie la selezione naturale favorisce gli individui che possiedono un corredo di geni da risparmiatore. In altri termini, coloro i quali tendono a convertire le calorie in adipe, da sfruttare nei periodi di ristrettezze. Sono geni che tutte le persone possiedono, ma è plausibile che le popolazioni la cui storia è stata funestata più volte da periodi di privazione ne abbiano versioni più efficienti. Nell’attuale contesto di abbondanza, questo corredo le predispone a sviluppare patologie potenzialmente letali: malattie cardiache e vascolari, diabete, ipertensione. Il cambiamento nello stile di vita è la combinazione di quattro macro-fattori economici: l’urbanizzazione, l’aumento del reddito pro capite, la tecnologia e l’apertura dei mercati. L’Accordo Generale sulle Tariffe e sul Commercio (GATT), sottoscritto nel 1947 dagli stati membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio ha consentito un ampliamento del mercato dei servizi e dei beni. Il primo passo verso la globalizzazione di dieta e stile di vita.

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«Dopo aver perso più di 135 chili e aver subito degli interventi chirurgici per l’impianto della protesi al ginocchio, Hector non era in grado di fare esercizio fisico e cadde in depressione durante la riabilitazione», spiega Krantz. «A giugno 2014, il peso di Hector Garcia Jr. era salito di nuovo a quasi 220 chili. Dopo quattro operazioni chirurgiche, aveva bisogno di nuovo di un deambulatore per camminare e aveva perso stabilità nelle ginocchia. Quando andavano nei negozi, i Garcia avevano spesso difficoltà a trovare degli scooter elettrici, ma in questo caso al supermercato ne trovarono uno per Garcia e uno per sua madre, Elena».
Il progresso tecnologico ha permesso lo sviluppo di strumenti per il lavoro – quali trebbiatrici, mietitrici, linee di assemblaggio meccanizzate, computer – ma anche ampliato l’offerta di dispositivi per il tempo libero – come televisori, smartphone, videogiochi – e di mezzi di trasporto, che hanno rivoluzionato la vita quotidiana di miliardi di persone, favorendo la sedentarietà. D’altra parte, le moderne tecnologie hanno garantito una maggiore sicurezza alimentare e ridotto gli sprechi. Per esempio, hanno consentito la distribuzione di latte pastorizzato a lunga conservazione, fornendo una fonte sicura ed economica di sostentamento. Grazie al ciclo del freddo è oggi disponibile un’ampia varietà di alimenti in qualunque stagione. A un numero sempre più ampio di persone, l’aumento del reddito ha dispiegato un ventaglio di possibilità nutritive che ha modificato le loro diete. Le persone indigenti tendono ad assumere pochi alimenti di base, ma quando si arricchiscono integrano la dieta con cibi più nutrienti come frutta, verdura e prodotti animali. Si tratta di un cambiamento altamente desiderabile, tuttavia non privo di effetti collaterali. Lo sviluppo economico, l’inurbamento della popolazione e la globalizzazione contribuiscono a modificare le preferenze e i consumi, indirizzandoli verso standard occidentali. L’inurbamento – il cui ritmo nell’ultimo secolo si è fatto serrato – è storicamente associato a una maggiore varietà della dieta, all’aumento del consumo di cibo prodotto, processato e cucinato da altri, nonché alla modernizzazione della vendita al dettaglio, che determina cambiamenti nell’offerta alimentare: dal tipo di prodotti, ai prezzi nonché alla dimensione delle porzioni. Secondo i dati della Banca Mondiale, nel 1980 solo il 28% degli africani viveva in area urbane, oggi sono il 40 per cento e nel 2030 oltrepasseranno il 50%. Nelle città dei Paesi in via di sviluppo, sempre più persone acquistano il cibo nei supermercati anziché nei mercati tradizionali: se nel 1990 solo il 15 per cento della vendita al dettaglio dell’America meridionale avveniva nei supermercati, dieci anni più tardi questa percentuale era lievitata al 60. A eccezione di alcuni centri commerciali situati nelle città più grandi, la maggioranza dei supermercati vendono soprattutto cibi confezionati e pochi prodotti freschi. Uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Gottinga in Kenya conferma che fare la spesa in questo tipo di negozi porta a una maggior rischio di diventare sovrappeso oppure obesi. D’altra parte, la presenza dei supermercati che spesso offrono prodotti meno costosi rispetto ai negozi tradizionali, può contribuire a ridurre il rischio di denutrizione infantile. Inoltre, qualità, varietà e sicurezza del cibo sono in genere migliori.
«Hector Garcia Jr. accende le candeline sulla torta per il suo 49esimo compleanno, il 19 novembre 2014, mentre sua madre Elena Garcia inizia a cantare, nella loro casa a San Antonio. A questo punto Hector era di nuovo confinato alla sua sedia, e camminava solo fino al bagno o al suo letto. Nel gennaio 2013, a Hector era stata diagnosticata una broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), che peggiorò man mano che il suo peso aumentava. Hector morì solo poche settimane dopo, l’8 dicembre».
E così, mentre l’inurbamento, l’aumento del reddito pro capite, la tecnologia e l’apertura dei mercati portavano a un declino nell’attività fisica e un cambiamento nelle diete, mutava anche l’agricoltura e quindi l’offerta alimentare. Dalla Seconda guerra mondiale, l’agricoltura persegue l’obiettivo di sconfiggere la fame mondiale, concentrandosi sulla coltivazione di alcuni farinacei e in maniera minore sulla produzione di alimenti di origine animale. Sono state così selezionate delle colture da reddito, come la canna da zucchero o l’olio di palma, a discapito di altre, come legumi o altre verdure. Oggi, circa il 60 per cento delle calorie consumate in tutto il mondo proviene da appena tre cereali: grano, riso e mais. Inoltre, gli agricoltori hanno selezionato specie che forniscono raccolti abbondanti ma che sono povere dal punto di vista nutritivo. Nel frattempo, lo sviluppo di tecnologie per l’estrazione rapida ed economica di oli da mais, soia, semi di cotone, semi di palma e la selezione di specie ad alto contenuto di oli ha portato a un incremento della disponibilità di questi materiali nella produzione alimentare. Dal 1985 al 2010 il consumo di oli vegetali è aumentato dalle tre alle sei volte nei diversi Paesi in via di sviluppo. L’aggiunta di grassi e zuccheri migliora il sapore dei cibi ed è per questo che è così gradita dalle aziende alimentari. Oggi si calcola che il 75% dei cibi e delle bevande acquistati negli Stati Uniti contenga zuccheri aggiunti. Non solo biscotti o merendine, ma anche alimenti salati come il pane o il ketchup possono contenere zucchero. La maggiore fonte di consumo sono però le bibite: una lattina di cola contiene 39 grammi di zucchero. In Messico in media il 21% delle calorie consumate quotidianamente dalla popolazione proviene dalle bevande. Nei Paesi a basso o medio reddito è aumentato pure il consumo di prodotti di origine animale: manzo, maiale, pollo, uova, latticini. Alimenti che, fino a qualche decennio fa, erano assenti nelle diete di queste popolazioni, stanno diventando sempre più presenti. Questa tendenza si è rivelata un’arma a doppio taglio. Da una parte il loro consumo può migliorare la qualità dell’alimentazione, dall’altra può portare a un’assunzione eccessiva di grassi saturi.

Questo articolo è la prima parte di una serie sulla dieta nell’Antropocene. Leggi la seconda parte: “L’insostenibile appetito della crescita demografica”.

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  • Irene Campagna

    Irene Campagna è medico e svolge attività di ricerca sulla sicurezza dei vaccini. Si distrae da analisi di dati e articoli scientifici scrivendo soprattutto di psicologia e neuroscienze.

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    Lisa Krantz è una pluripremiata fotografa statunitense e fotoreporter presso il San Antonio Express-News di San Antonio, in Texas. Il focus principale della sua ricerca fotografica sono progetti a lungo termine che raccontano storie della sua comunità locale. Le foto di questo articolo fanno parte di A Life Apart: The Toll of Obesity, la storia di un giovane obeso, Hector Garcia jr., e dei suoi ultimi quattro anni di vita (Video).
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