La scoperta è stata quella di un immenso geode, una di quelle strane sfere rocciose che al loro interno contengono cristalli intrecciati tra loro, una sorta di microcosmo che sembra venire da un altro pianeta.
Per raggiungere il più grande geode del Pianeta Terra bisognava immergersi con la camioneta in un tunnel aperto sul fianco di una sierra brulla e rocciosa, circondata dall’albedine del deserto di Chihuahua. Attraverso il tunnel penetravi nella notte perenne di una miniera nel ventre litico della Sierra di Naica, nel Messico settentrionale.
UNA SCOPERTA INASPETTATA
Inizialmente era polverosa, poi diventava umida e torrida. Ci volevano venti minuti tutti in discesa lungo il tunnel involuto, poi la camioneta si fermava in un antro illuminato da lampade al neon. Ci si trovava di fronte a una piccola porta di metallo. Lì dietro c’era l’ultima meraviglia terrestre.
Aperta la porta ci si trovava in una selva di giganteschi cristalli traslucidi. Cristalli così grandi da ricordare una foresta abbattuta dal vento e poi pietrificata. Alcuni erano lunghi fino a 15 metri e larghi uno, li potevi abbracciare. Era la Cueva de los Cristales: il paradiso-inferno in cui si trovano i cristalli più grandi che l’umanità abbia mai osservato.
Nel 2007, quando ho avuto la possibilità di visitarla, gli speleologi italiani del team La Venta la stavano ancora esplorando e studiando. Oggi cercano di salvarla dall’oblio.
UN AMBIENTE OSTILE
La grotta è una sorta di bolla schiacciata, di 40 metri di diametro. Fu scoperta casualmente da due minatori. Entrandoci il corpo viene immediatamente ricoperto di condensa, è come entrare vestiti in un bagno turco. La temperatura è di circa 50 gradi centigradi. Il respiro è strozzato per la temperatura e l’umidità insopportabili.
Lo sguardo torna frequentemente verso l’uscita, da cui è meglio non allontanarsi troppo. Inizialmente qualche minatore si avventurò alla ricerca di cristalli, uno di loro che si allontanò troppo dall’ingresso morì con i polmoni pieni di acqua di condensa. Fu ritrovato praticamente cotto.
SPINGERSI AI LIMITI
Lo sa bene Tullio Bernabei, uno dei più esperti speleologi in Italia (nonché documentarista) che, insieme ad altri, in strane tute arancioni si era spinto fino al punto più remoto della grotta, scavalcando cristalli bianco-latte e mettendo a rischio la propria vita.
Delle sue prime esperienze ne abbiamo riparlato recentemente: «Una delle prime volte mi spinsi fino all’estremità della grotta, dove avevo individuato un’apertura. Poteva celare un ingresso a nuovi ambienti, nuovi cristalli, nuovi misteri. La tuta era difettosa, ma il desiderio di esplorare era irresistibile e così ho proseguito».
Poi mi ha confidato: «Ogni minuto passato lì dentro è un regalo della vita. Per uno speleologo trovare nuove prosecuzioni sotterranee è un’emozione impagabile, a me ha condizionato l’esistenza, farlo qui è stato il massimo», non fosse che una delle prime volte si spinse troppo lontano e nel tornare quasi perse la vita, come i primi minatori.
Una coincidenza geologica
La grotta è stata scoperta dai minatori per puro caso nel 2000, e si trova a 300 metri di profondità. Un’altra grotta più superficiale, la Cueva de las Espadas, possiede cristalli non altrettanto grandi ed era stata scoperta nel 1910.
L’antro è attraversato in ogni direzione da enormi prismi di minerali di selenite, che significa “pietra di luna”. Il nome veniva anticamente dato alla varietà più bella e lucida del cristallo di gesso. Una decina di questi trapassano la stanza da una parte all’altra, hanno superfici lisce. Alcuni cristalli terminano in punte acuminate. Altri, a riccio, ricordano un’esplosione congelata.
Ventisei milioni di anni fa un’enorme massa magmatica è risalita attraverso la crosta terrestre e si è fermata a duemila metri dalla superficie. Da allora si sta raffreddando, trasformandosi in roccia e dando origine ai giacimenti che venivano sfruttati fino a quasi 800 metri di profondità, abbattendo di altrettanti metri la falda acquifera.
Questo veniva fatto grazie a delle idrovore che pompavano centinaia di litri al secondo di acqua a 60 gradi in superficie. Le acque profonde sono risalite lungo faglie e fratture depositando ferro, piombo, zinco, argento, oro e fluoro.
L’EVOLUZIONE DELLA MINIERA
La miniera è stata a lungo la terza produttrice mondiale di zinco estratto dalle circa 600 mila tonnellate annue di roccia ridotta in brandelli dalle mine. Ha fornito lavoro per un migliaio di minatori, impiegati in cinque turni a ciclo continuo, sei giorni alla settimana.
I minatori e i materiali scendevano attraverso un tunnel tanto largo da lasciar passare due camionetas. Un sistema di aerazione abbassava la temperatura a un vivibile 40 gradi nei livelli più profondi. A 600-800 metri di profondità l’aria è praticamente satura di umidità, per i minatori era come lavorare in una sauna. Dalla volta cadevano gocce bollenti. Dal 2014 però la miniera è inagibile e si sta lentamente allagando.
Entrare nella Cueva era come essere una statuina in un immenso geode. Il tetto della stanza è rossastro. A molti la Cueva evocava una foresta pietrificata, fatata. Qui prendevano forma le fantasie infantili di un regno di castelli e palazzi di cristallo, o Krypton, il pianeta di Superman. Chi ci si avventurava si muoveva strisciando sulle superfici trasparenti dei cristalli.
TUTE SPECIALI
Gli speleologi avevano costruito delle tute arancioni per sopravvivere più a lungo. La tecnologia di queste tute fu possibile grazie al supporto di alcune accademie scientifiche e industrie specializzate in prodotti per le spedizioni. In queste tute c’erano dei lingotti di ghiaccio che permettevano alla pelle di non surriscaldarsi troppo rapidamente.
L’aria satura di vapore blocca infatti la traspirazione e il corpo non riesce a dissipare il calore, anche con la tuta gli speleologi lasciavano la grotta in uno stato febbricitante. Avevano anche dei respiratori collegati a un deumidificatore che sottraeva umidità dall’aria. Questo gli consentiva di stare all’interno di questo ambiente ostile alla vita fino a un’ora.
COME SI È FORMATA LA CUEVA DE LOS CRISTALES
Una delle domande che ci si pone di fronte a questi cristalli è come sia possibile che abbiano quelle dimensioni. «Si sono formati in circostanze naturali particolarissime», mi ha spiegato Paolo Forti, professore onorario di geomorfologia all’Università di Bologna.
Forti dice che le acque termali in circolazione nella roccia hanno dissolto antichi strati di anidrite (minerale simile al gesso, ma privo di acqua) nelle fratture delle rocce circostanti, ha così convogliato in questa grotta gli atomi di calcio e gli ioni solfato necessari per dare origine ai cristalli di selenite.
Lo spazio vuoto della grotta è stato riempito con acqua calda satura di quegli elementi necessari a formare i cristalli ed è rimasto così, nella quiete idrotermale della pancia di Naica, per centinaia di migliaia di anni. Durante questo tempo, la temperatura dell’acqua è stata stabile a oltre 50 °C.
«È la combinazione di tempi estremamente lunghi e pochi atomi disponibili ciò che ha permesso ai cristalli di formarsi e crescere in totale calma fino a raggiungere dimensioni immense. Qualche grado o atomo in più e i cristalli sarebbero stati molti, ma piccoli come in tante altre grotte», dice Forti.
UN DEPOSITO ANTICO
Una coincidenza, insomma. «Sì, ma formidabile perchè è durata centinaia di migliaia di anni», ha detto Forti. Usando come misura il decadimento di alcuni elementi radioattivi, in particolare dell’Uranio contenuto nei minerali, i vari ricercatori che si sono avvicendati sul calcolo della loro età hanno stabilito che hanno tra i 300.000 e 600.000 anni di età.
Più recentemente, una astrobiologa della NASA ha perfino annunciato di aver trovato microbi e virus in inclusioni d’acqua all’interno dei minerali. L’interesse della NASA per questa grotta non stupisce. La Cueva rappresenta l’ambiente di un altro pianeta o, per certi aspetti, gli ambienti primordiali del nostro pianeta.
Il ritorno nell’oblio
Però questa è storia passata. La grotta è prossima all’abbandono e presto sarà nuovamente colma di acqua termale. Quando sarà nuovamente sommersa, la grotta porterà con sé molti altri segreti. Per esempio Forti, in inclusioni di circa 35.000 anni fa, aveva trovato spore e pollini di tassi, cipressi, e altre piante di foreste umide di latifoglie, come quelle che ora si trovano nelle regioni sud-occidentali degli Stati Uniti.
«Questo ci ha fatto capire come 35.000 anni fa l’area di Naica fosse caratterizzata da un clima molto più umido di quello presente oggi», ha spiegato ancora il geologo. «Ci sarebbe ancora molto altro da imparare, studiando quella grotta».
Però ora l’intera miniera è chiusa dal 2014. «La miniera era comunque in esaurimento e poi una inondazione l’ha resa inagibile, almeno secondo la direzione della miniera», spiega Bernabei senza nascondere una certa delusione.
LA RISALITA DELL’ACQUA
«Hanno spento la maggior parte delle idrovore e ora l’acqua è già risalita fino a quota -340 metri. La Cueva è a -295 metri e il livello sale, dicono, a un ritmo di 3-4 centimetri al giorno». Anche l’acqua bollente della falda richiede il suo tempo per riprendere gli spazi che l’essere umano le ha sottratto.
Ora Naica, la città sorta nel deserto per accogliere i minatori e le famiglie, è quasi una città fantasma. La maggior parte degli uomini lavorano in altre miniere, molte donne e giovani sono invece rimasti indietro, a Naica. «C’è un tasso di alcolismo elevato, è del tutto priva di un tessuto sociale, è un luogo anche poco sicuro», dice Bernabei.
Ricreare la Cueva de Los Cristales
«La miniera è chiusa, non si può entrare, non se ne sa più nulla. Quello che sappiamo è che, secondo i nostri calcoli, abbiamo solo due anni per cercare di donare all’umanità una versione virtuale della grotta, affinché ne rimanga una testimonianza alla portata di tutti», mi ha confidato Bernabei.
Il suo progetto, o forse un sogno, visto che la direzione della miniera, la Peñoles, e le istituzioni messicane non danno segni di aver accolto la visione dello speleologo e del team La Venta, che è di «ricostruire una replica della grotta, con i suoi cristalli, e proporla a un museo. I visitatori potrebbero esplorarla, riproducendo le condizioni ambientali, fornendo delle tute come le nostre, potrebbero sentirsi come degli esploratori».
Il progetto è ambizioso, ma fattibile. Bernabei ne è convinto, «però dobbiamo poterci tornare ancora e presto. Dobbiamo fare una scansione 3D dell’intero antro. I nostri appunti da speleologo sono molto dettagliati, ma non abbastanza», spiega.
UNA TESTIMONIANZA PER IL FUTURO
È passato dunque il tempo in cui all’ingresso della Cueva potevi sentire un lontano boato, quasi come se ti trovassi nei meandri di Moria, le miniere dei nani del Signore degli Anelli, e poi una carezza d’aria. Erano le mine che esplodevano a 800 metri di profondità: la ricerca di nuove vene minerali. E l’acqua termale, scaldata dall’antico magma ormai quasi interamente consolidato, sale incessantemente.
Bernabei e chi ha vissuto l’incanto della scoperta della Cueva spera ancora di poterla portare, seppur virtualmente, in superficie e poterla così tramandare alle prossime generazioni.
A breve La Venta pubblicherà un volume fotografico sulla grotta. Ma intanto il tempo passa e tra non molto la Cueva con i suoi cristalli sarà restituita al luogo a cui appartiene: le profondità, irraggiungibili, della litosfera terrestre.