Come i nomadi della Mongolia si adattano ai cambiamenti climatici

Inverni più rigidi ed eventi estremi sempre più frequenti stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza dei nomadi della Mongolia. Ma alcune famiglie stanno creando nuove comunità per affrontare il problema.

3 minuti | 30 Ottobre 2020

In Mongolia gli inverni sono diventati più rigidi e gli eventi meteorologici estremi più frequenti. Tutto ciò mette a dura prova lo stile di vita dei nomadi della Mongolia.

Il riscaldamento globale colpisce il paese asiatico più velocemente rispetto a molte altre parti del mondo. «Negli ultimi 70 anni, la temperatura media dell’aria è aumentata di 2,1 °C, uno dei più alti aumenti registrati sulla Terra», spiega Tunga Ulambayar, ecologa e direttrice di Saruul Khuduu Environmental Research, Training and Consulting.

«Gli eventi estremi stanno crescendo in diverse regioni. I casi di dzud, o inverni estremamente rigidi nella lingua mongola, sono in aumento. Alcune province subiscono forti piogge estive che erodono il terreno, altre sono colpite da tempeste invernali sempre più intense».

A causa dello dzud, l’inverno del 1999 ha causato la perdita del 30% del bestiame a livello nazionale (in prevalenza capre e pecore, ma anche bovini e cammelli). Come riportato da Ulambayar sulla rivista scientifica World Development nel 2015, 2 milioni di capi di bestiame, ovvero il 20% dei capi di bestiame nazionale, sono andati persi durante lo dzud del 2009.

Ai margini del mondo abitabile

La Mongolia è uno degli ultimi paesi pastorali rimasti sulla Terra. La sua economia dipende dalla produzione di bestiame e circa l’80% del suo territorio è coperto da praterie. Vivendo ai margini del mondo abitabile, tra deserti o le regioni sub-artiche della vicina Russia, i nomadi della Mongolia sono vulnerabili ai cambiamenti ambientali e sociali.

Alcune famiglie di pastori si sono uniti nella gestione dei pascoli e delle risorse naturali, assistiti da organizzazioni non governative.

La migrazione di famiglie dalle steppe alla capitale continua, ma alcuni pastori stanno formando comunità e unendo le loro risorse nella speranza che ciò gli consenta di mantenere il loro stile di vita tradizionale, il nomadismo, e di sopravvivere.

E così, dopo i disastrosi inverni all’inizio degli anni Duemila, alcune famiglie di pastori si sono uniti nella gestione dei pascoli e delle risorse naturali, assistiti da organizzazioni non governative.

mettere in comune le risorse per sopravvivere

Tunga Ulambayar, l’ecologa mongola intervistata nel video prodotto dal videomaker Ross Ziegelmeier e dal fotogiornalista Jacopo Pasotti, ha studiato la capacità di adattamento dei pastori in quattro distretti e ha scoperto che coloro che si sono uniti e hanno messo in comune le proprie risorse hanno ridotto la vulnerabilità della famiglia durante i casi di eventi meteorici estremi. Questi pastori stanno sperimentando una forma di adattamento e mostrando caratteri di resilienza ai cambiamenti che avvengono nel loro territorio.

Il capo della comunità Uvurkhangai, Batkhuyag Tseveravajaa, è convinto che questa potrebbe essere una soluzione per molti pastori. «Insieme, raccogliamo fieno e foraggio per l’inverno. Coltiviamo ortaggi, curiamo capre, pecore e assicuriamo che il nostro fiume rimanga pulito. Se svolte insieme, queste attività sono anche più veloci».

La produzione del video è stata supportata dalla Bill and Melinda Gates Foundation Grant for Development Reporting.

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    Ross Ziegelmeier è un videomaker nato in Sudafrica che ora vive nel Regno Unito. Si è laureato in Biologia presso l’Università di Nottingham. Attualmente lavora per la Linnean Society of London per la quale produce contenuti video.
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