Fa freddo. Il vento punge e, insieme a un concerto di scricchiolii, rompe un silenzio altrimenti assordante. Un’immensa distesa bianca riempie l’orizzonte, e probabilmente si spinge oltre. È impossibile stabilire dove finisca: lo sguardo si perde tra la neve, i pesanti blocchi di ghiaccio, i crepacci azzurrissimi, apparentemente senza fondo. Si è soli, qui, in pace: immersi nella natura più selvaggia, ostile ed estrema, dove le basse temperature, il sole e la carenza di nutrienti e di acqua rendono la vita quasi impossibile. Questi luoghi così inospitali coprono circa il 40% della superficie terrestre. È paradossale pensare che quasi la metà del nostro pianeta sia desolata, disabitata, priva di vita. In effetti, non lo è: i ghiacciai e il permafrost, cioè suoli perennemente ghiacciati, sono luoghi estremamente affollati. Una miriade di microrganismi, moderni e antichi, popolano gli immensi spazi gelidi.
Alcuni di questi abitanti invisibili sono metabolicamente attivi e si replicano, seppur lentamente, sfruttando i pochi nutrienti e l’acqua allo stato liquido presente nelle piccole vene e crepe tra i cristalli di ghiaccio. Molti altri, invece, sono dormienti ma vivi, pronti a risvegliarsi nell’eventualità di condizioni più favorevoli.
Vista aerea della tundra siberiana, 2016. La tundra siberiana in inverno si ricopre di neve e di gelo, ma il terreno cela il permafrost, che per definizione sarebbe “permanentemente gelato”, ma di fatto non lo è e si sta fondendo.
Microrganismi e cambiamento climatico
Questi ambienti stanno però sperimentando cambiamenti drammatici. Da quarant’anni, buona parte dei ghiacciai si sono ritirati e ridotti, altri sono già scomparsi o lo faranno a breve: nonostante le dimensioni, perfino queste sconfinate distese bianche sono troppo piccole per resistere al riscaldamento globale. In Venezuela si è verificato uno dei più critici stravolgimenti ambientali: è il primo paese del mondo ad aver perso tutti i suoi ghiacciai.
Similmente, la temperatura del permafrost è aumentata costantemente dal 1980, sciogliendo gli strati più superficiali e riducendo la profondità del terreno ghiacciato. Il fenomeno è destinato ad accelerare nei prossimi anni. Una recente ricerca ha quantificato la perdita globale di ghiaccio dal 1994 al 2017 in circa 28 trilioni di tonnellate. Per comprenderne l’entità, basti pensare a un cubo di ghiaccio di 10 chilometri per lato, cioè ben più alto del Monte Everest.
In questo scenario di rapida fusione, i microrganismi che popolano i ghiacci vengono liberati nell’acqua che, scorrendo nei crepacci e tra le rocce, può viaggiare per lunghissime distanze fino a raggiungere nuovi ecosistemi, sia terrestri che acquatici. La densità di microrganismi nei ghiacciai varia da circa cento a dieci milioni per millilitro, mentre nel permafrost è tra i centomila e i dieci miliardi per grammo: dalla sola fusione dei ghiacci alpini vengono rilasciati quattro triliardi di microrganismi. Il loro impatto sulla flora e la fauna, e anche sull’uomo, può essere imprevedibile.
Immagine satellitare di una piccola parte dell’Altopiano Tibetano (laghi a ovest dei Monti Tanggula), scattata nell’ottobre del 1987. Fonte: NASA Earth Observatory/Joshua Stevens. Landsat data from the U.S. Geological Survey.
La stessa zona, ripresa nell’ottobre del 2021. Rispetto al 1987, i ghiacciai si sono drammaticamente assottigliati e ristretti, causando l’espansione dei laghi. Sebbene alcune differenze tra le due immagini siano dovute alla diversa copertura nevosa, i fronti dei ghiacciai si sono significativamente ritirati. In particolare, l’80% dei ghiacciai dell’Altopiano Tibetano si è ritirato, perdendo il 4.5% della superficie. Fonte: NASA Earth Observatory/Joshua Stevens. Landsat data from the U.S. Geological Survey.
Patogeni intrappolati nei ghiacci
La letteratura scientifica è ricca di ritrovamenti di microrganismi potenzialmente patogeni intrappolati nei ghiacci, individuati con tecniche di microscopia, metodi molecolari o mediante riattivazione in laboratorio in condizioni controllate.
Per esempio, nel 2020 è stata dimostrata la presenza di batteri, potenzialmente in grado di causare malattie, in campioni ambientali raccolti nell’arcipelago delle Svalbard, nell’Artico norvegese. Un gruppo di ricerca brasiliano ha invece trovato funghi resistenti ai farmaci in campioni di rocce, suolo e acqua dell’Antartide. In alcune mummie riesumate in Alaska e Siberia sono state documentate tracce genetiche del virus dell’influenza spagnola e di un virus imparentato con quello del vaiolo.
Sebbene tutti questi microrganismi fossero strettamente correlati ai ceppi microbici moderni, diversi studi riportano anche la presenza di microrganismi potenzialmente patogeni in campioni di ghiaccio molto antichi. Per esempio, nel 1997 un’ampia varietà di batteri coliformi risalenti a circa 2000 anni fa è stata riattivata e isolata da campioni di ghiaccio dell’Artico canadese.
Nel 2014 e 2015 due virus giganti, ancora infettivi dopo più di 30 mila anni, sono stati identificati nel permafrost siberiano. A dicembre 2022 è stato invece pubblicato uno studio preliminare, ancora in attesa di revisione da parte della comunità scientifica, in cui è stato scongelato e riportato in vita un virus gigante, rimasto sepolto per 48.500 anni sotto uno strato di permafrost in Jacuzia. Se confermato, il virus sarebbe il più antico mai “resuscitato” finora.
Sebbene in grado di infettare solo ameboidi e microalghe, il ritrovamento di questi virus giganti ha sollevato apprensione: lo scioglimento del permafrost potrebbe esporre l’uomo moderno a patogeni che infettavano uomini ancestrali, come Neanderthal e Denisova, che una volta vivevano nella regione siberiana. Inoltre, è sempre più riconosciuto che i virus giganti potrebbero avere un impatto importante sulla salute umana.
Batteri resistenti agli antibiotici
Nel 2008 e nel 2017, invece, due diversi gruppi di ricerca hanno riportato il ritrovamento di batteri, vecchi di 3 milioni di anni, nel permafrost della Siberia e della Jacuzia centrale. Curiosamente, nonostante l’ambiente desolato, molti di questi batteri possedevano dei geni per resistere ad almeno 12 antibiotici.
Il fatto che i batteri sviluppino resistenza è un naturale processo evolutivo. Tuttavia, questo fenomeno può essere accelerato e aggravato da un uso eccessivo di questi farmaci: ogni batterio che sopravvive a una cura antibiotica può diventare resistente, moltiplicarsi e trasferire la sua capacità di resistere ad altri. Ovviamente, batteri così antichi non si sono evoluti in risposta all’abuso di farmaci ma per competere con altri microrganismi. Infatti, alcuni batteri e funghi producono naturalmente composti per primeggiare sugli altri, che a loro volta possono evolvere delle resistenze a queste sostanze.
Questo spiega perché i batteri antichi scoperti in Russia, rimasti isolati per milioni di anni, sono resistenti agli antibiotici di origine naturale ricavati da batteri e funghi (il 99% di quelli che usiamo) ma non a quelli creati ex novo dall’uomo.
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Antrace in Siberia
È il 2016 nella penisola Yamal, in Siberia, Russia. Alle basse latitudini, piccoli abeti e arbusti fronteggiano con successo il clima polare, per poi cedere il passo a una landa piatta e apparentemente deserta e desolata, gelata per gran parte dell’anno. In questo luogo inospitale, hanno trovato casa migliaia di renne e il popolo Nenci, veri e propri nomadi della tundra che sfruttano le renne per il loro sostentamento.
Le tende dei Nenci, le renne e il sole sono gli unici punti di riferimento nella sconfinata distesa di neve. Il cielo sopra alla penisola Yamal è spesso terso: i tramonti sono spettacolari. In inverno, l’aurora boreale rende l’ambiente ancor più meraviglioso. Siamo però in luglio e le notti sono troppo corte e luminose per poterlo ammirare.
Fa un caldo eccessivo per la stagione. La superficie gelata si scioglie e fa affiorare carcasse di renne rimaste sepolte nel permafrost per chissà quanto tempo. Improvvisamente, un’epidemia di antrace sconvolge la comunità: la popolazione di renne viene decimata, un bambino perde la vita e più di un centinaio di Nenci vengono ricoverati in ospedale. Studi successivi dimostreranno che il bacillo di antrace alla base di questa epidemia era identico ad altri, isolati dai tessuti di animali morti e poi riemersi dal permafrost dopo secoli.
Certamente, l’evento è stato eccezionale. Alcuni batteri, tra cui Bacillus anthracis, hanno specifiche capacità di sopravvivenza a lungo termine in condizioni ambientali ostili grazie alla produzione di endospore, in grado di mantenersi nel tempo anche con bassa presenza di nutrienti, temperature estreme o in presenza di radiazioni ionizzanti e quindi, di risvegliarsi quando le condizioni sono più favorevoli. Tuttavia, per la prima volta, un agente patogeno sepolto nel ghiaccio è tornato in vita e ha infettato uomini e animali.
Roberto Ambrosini, microbiologo dell’Università Bicocca di Milano, raccoglie campioni di sedimenti sopra un ghiacciaio, alla ricerca di microrganismi capaci di resistere al gelo. Pakistan, 2015.
Perché il rischio è ancora basso
Dobbiamo preoccuparci? «La comunità scientifica mette in luce che questo processo esiste: i microrganismi si possono risvegliare, in particolar modo i batteri», spiega Andrea Franzetti, professore associato di microbiologia all’Università degli Studi di Milano-Bicocca ed esperto di scienze ambientali e di microrganismi in ambienti estremi. «Lo stesso vale per la riattivazione di virus. C’è però una differenza in termini di percezione di quanto questo possa essere rischioso: ci sono posizioni più prudenti e altre più allarmistiche, ma tutti gli esperti sono d’accordo nel dire che ci sono ancora pochi dati per poter stimare un effettivo rischio di trasmissione di malattie a seguito della liberazione di questi microrganismi».
«Un margine di pericolosità c’è», continua Franzetti. «Però, affinché si realizzi l’evento, serve l’esposizione: gli ambienti sono freddi e remoti, la Siberia o i ghiacciai alpini sono luoghi poco frequentati e quindi la probabilità di contatto tra uomo e sorgente di agenti patogeni è molto bassa. D’altro canto, il cambiamento climatico porta un maggiore afflusso turistico in queste zone, che diventano sempre più abitate. Questi fenomeni vanno sicuramente studiati e quantificati, però mi sembra ragionevole pensare che, ad oggi, il rischio sia minimo. A seguito del cambiamento climatico il rischio è destinato ad aumentare, ma rimane comunque basso».
Il rischio di contatto con microrganismi patogeni sarà tanto più probabile quanto più continueremo a esplorare e spingerci nelle profondità dei ghiacci, e a soggiornare per lunghi periodi nei territori ghiacciati per ragioni scientifiche, commerciali o turistiche.
Prevenire le minacce
Gli scienziati stanno comunque studiando in modo sempre più dettagliato questi microrganismi per capire, e possibilmente prevenire, potenziali minacce. Uno studio pubblicato sulla rivista Nature Biotechnology nel giugno del 2022 ha riportato il ritrovamento di quasi mille nuove specie di microrganismi nell’Altopiano Tibetano. Sulla base dei dati raccolti, i ricercatori hanno generato un catalogo, offrendo per la prima volta al mondo scientifico un database per l’archiviazione, l’analisi e il confronto dei diversi ecosistemi glaciali. Questa piattaforma è un primo strumento importante per esplorare in modo sempre più approfondito la biodiversità di questi ambienti e per valutare le potenzialità e i rischi per la salute pubblica, derivanti dal loro scioglimento.
Essere preparati a gestire precocemente future epidemie e pandemie è un obiettivo e una necessità condivisa anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che nel giugno del 2021 ha firmato un accordo con il governo svizzero per lanciare il suo primo BioHub. La Svizzera ha messo a disposizione il laboratorio di biocontenimento di Spiez, situato a qualche decina di chilometri dalla capitale Berna, come centro globale di conservazione, analisi e condivisione di agenti patogeni tra i laboratori di tutto il mondo. L’analisi tempestiva di nuovi microrganismi e la condivisione delle informazioni potrebbero garantire una risposta rapida per l’intervento e lo sviluppo di diagnosi e trattamenti, contribuendo al contenimento precoce delle malattie.
Scienziati italiani al lavoro ad una centralina meteo. Antartide, 2011.
Le potenzialità dei microrganismi
Non tutti i mali vengono però per nuocere. Se da una parte i microrganismi possono rappresentare una minaccia, dall’altra hanno enormi potenzialità biotecnologiche, che spaziano in campi come la nutrizione, la criopreservazione, la cosmetica, l’agricoltura, la criochirurgia, il controllo del clima, i biocarburanti, la medicina.
«Gli ambienti glaciali sono una riserva di biodiversità immensa, sfruttabile nell’immediato futuro per ottenere nuovi prodotti biotecnologici», conferma Andrea Franzetti. «Non è un caso che molte delle aziende che producono enzimi [sostanze di natura proteica prodotte dalle cellule, in grado di favorire o accelerare determinate reazioni chimiche negli organismi viventi, ndA] funzionanti anche a temperature basse o con particolari capacità, sfruttino il bacino degli ambienti freddi. Questo è sicuramente un aspetto che nei prossimi anni avrà un impatto importante e le nazioni che si sono più attrezzate avranno un vantaggio economico».
Infatti, i microrganismi devono affrontare numerose sfide per sopravvivere in ambienti ostili come quelli dei ghiacci. L’irraggiamento solare estremo, le temperature sotto lo zero, la scarsità di risorse e i ripetuti cicli di congelamento e scongelamento danneggerebbero le cellule non adattate. Quelle dei microrganismi che popolano questi ambienti, invece, si sono evolute per resistere a queste condizioni. La ricerca di base ha indagato e chiarito alcuni meccanismi di azione, gettando le basi per lo sviluppo di nuovi strumenti biotecnologici.
Conservare e bonificare
Le proteine anti-congelamento, per esempio, hanno il compito di proteggere le membrane cellulari dai danni da freddo. Legandosi ai piccoli cristalli di ghiaccio, queste proteine ne impediscono una crescita eccessiva che sarebbe fatale per le cellule. Basse concentrazioni di queste proteine possono essere sfruttate nell’industria alimentare per migliorare la conservazione del cibo.
Sorprendentemente, invece, si è scoperto che alte concentrazioni delle stesse proteine sono in grado di formare strutture di ghiaccio simili ad aghi, che possono penetrare e distruggere le cellule. Questa singolare proprietà è attualmente in studio per una possibile applicazione in chirurgia, per esempio per la rimozione di tumori.
Altri nuovi strumenti biotecnologici potrebbero essere le sostanze polimeriche extracellulari, macromolecole multifunzione prodotte ad altissime concentrazioni dalle cellule di alcuni microrganismi, per creare una sorta di scudo protettivo contro le basse temperature. Esse hanno anche la capacità di proteggere le cellule da metalli pesanti e inquinanti organici, assorbendoli. Essendo biodegradabili e non tossiche, queste macromolecole sono considerate potenziali alternative a polimeri di sintesi in numerose applicazioni, dall’industria farmaceutica e cosmetica a quella alimentare, fino al trattamento di acque reflue e fanghi.
Tra gli altri strumenti biotecnologici, questi batteri potrebbero anche aiutarci a sviluppare tecnologie per eliminare le sostanze che contaminano l’ambiente. Spiega Roberto Ambrosini, professore associato di ecologia all’Università degli Studi di Milano: «Essendo microrganismi adattati agli ambienti scevri di risorse o con risorse molto variabili, ci si può immaginare abbiano evoluto una serie di strategie per mangiare tutto quello che trovano, e quindi di digerire anche i composti più indigesti ai batteri di altri ambienti, come i contaminanti».
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Microrganismi da cui nascono farmaci
La promessa più importante dei microrganismi degli ambienti glaciali è però quella della scoperta di nuovi farmaci. Negli ultimi anni, infatti, antibiotici comunemente utilizzati per curare le infezioni batteriche sono divenuti meno efficaci o non funzionano più a causa dell’aumento dei fenomeni di resistenza. Il problema della resistenza agli antibiotici è così impellente che, nel 2019, l’OMS l’ha inserito nella lista delle dieci maggiori minacce per la salute mondiale.
Nel 2010, per esempio, in un campione di suolo dell’Argentina si è scoperta l’esistenza di un microrganismo capace di produrre un composto, battezzato Serraticina A, con attività antibiotica. Ancora più promettente è stato il ritrovamento di numerosi microrganismi con attività antimicrobica in Artide, Antartide e anche nelle Alpi. Nel 2014, dal suolo del Südtirol, sono stati isolati 47 ceppi batterici, di cui circa due terzi hanno mostrato attività antibiotica ad ampio spettro. Ciò dimostra che ci sono tantissimi composti pronti per essere isolati e caratterizzati, che presto potranno essere aggiunti alla lista delle nuove molecole bioattive, utili per fronteggiare la resistenza antibiotica.
Fa freddo. Sul ghiacciaio, il vento continua a pungere. Il concerto di scricchiolii ambientali dà ora voce a tutti gli abitanti invisibili che incredibilmente affollano questa sconfinata distesa gelata. Lo sguardo si perde tra la neve, i pesanti blocchi di ghiaccio, i crepacci azzurrissimi, apparentemente senza fondo. Non si è mai davvero soli, qui.
I ghiacciai antartici scorrono dal plateau antartico verso l’oceano. Antartide, 2011.